Letizia Battaglia - Shooting the mafia
Foto: Letizia Battaglia - Shooting the mafia
Kultur | Vertigo

Cinema (quasi) ritrovato

Pochi ma buoni. I film che resistono alla pandemia: Lacci, Letizia Battaglia - Shooting the mafia e The Elephant Man.

  Lacci

Pare agosto ma è Covid. Sale semivuote e pochi film in cartellone. Consoliamoci con Lacci, di Daniele Luchetti (Il portaborse, Mio fratello è figlio unico, La nostra vita), tratto dal romanzo di Domenico Starnone che è autore della sceneggiatura insieme al regista e a Francesco Piccolo. Storia della logorante fine di un rapporto di coppia (per infedeltà di lui), di legami riannodati in apparenza, e di come a volte a tenerci insieme sia il rancore, qualcosa di sbagliato, di spezzato, e di sadico anche. Un dramma familiare a cui manca però la potenza caratterizzante del libro, l’odore pungente della rabbia, l’“umami” a dirla in termini culinari. Una storia che non mostra le sue viscere quando tutti non aspettano che di vedere quelle. Bollino giallo e non ne parliamo più.


 

Letizia Battaglia - Shooting the mafia

Basta il trailer a dare i brividoni. Letizia Battaglia: Shooting the Mafia è un documentario di Kim Longinotto che racconta attraverso spezzoni di interviste, diapositive, filmati familiari in Super 8, la vita della fotografa che ha immortalato la guerra di mafia tra gli anni Sessanta e Novanta. Assunta al quotidiano L’Ora di Palermo, come prima donna fotoreporter in Italia, dopo pochissimi giorni iniziano a inviarla sulle scene degli assassinii di mafia. “Il primo omicidio ti rimane in testa forte forte forte”, dice Battaglia nel docufilm. È stata la prima fotogiornalista ad arrivare in via della Libertà, dove il 6 gennaio 1980 Piersanti Mattarella fu ucciso sulla sua Fiat 132, per dirne una.
Io dico “si va”.


 

The Elephant Man

Al Filmclub di Bolzano rispolverano The Elephant Man, e quindi questa è per quei pochi incoscienti che non l’hanno ancora mai visto. Del resto è solo un film di uno dei più grandi maestri del cinema americano. Bazzecole. Protagonista del racconto di David Lynch, ambientato in una Londra vittoriana dai richiami dickensiani, è John Merrick, l’uomo elefante, deformato dalla neurofibromatosi e ridotto a fenomeno da baraccone (Freaks, anyone?). Un horror sentimentale, alla larga da moralismi e furberie, solo grandi performance (John Hurt, Anne Bancroft e Anthony Hopkins che così giovane non l’avete mai visto) e secchiate di lacrime.