Politik | L'intervista

“Ecco perché Lega e M5s ci ripensano”

Francesco Palermo sull'attuale crisi istituzionale, i poteri di Mattarella (questi sconosciuti), la sindrome del Barone di Münchhausen e i velocisti della politica.
Palermo, Francesco
Foto: Udu Trento

salto.bz: Professor Palermo, è la prima volta nella storia repubblicana che si assiste a uno stallo come quello che si è creato dopo le elezioni del 4 marzo, ma lei ci ha creduto, per una frazione di secondo, che il quinto giro di consultazioni sarebbe potuto andare a buon fine?

Francesco Palermo: Direi di no. Però continuo a pensare che non sia così probabile che si torni a votare. E se proprio si deve allora meglio prima che dopo, perché la cosa peggiore è la campagna elettorale, tanto più se permanente.

“Prima” significherebbe farlo con la stessa legge elettorale che già in partenza si sapeva non avrebbe consegnato vincitori. 

Era altamente improbabile, in effetti, a meno che una coalizione non fosse riuscita a ottenere il 40%. È vero che le cose cambiano ad horas ed è difficile sbilanciarsi in previsioni, ma a mio parere ci sono parecchi motivi, prevalenti, per non votare. In primis, appunto, la legge elettorale. Se resta la stessa è plausibile che dia risultati analoghi a quelli del 4 marzo e che ci si ritrovi al punto di partenza, senza contare che le elezioni sono costose e incerte oltre che complicate da mettere in moto. Ci sono poi da considerare altri aspetti, più tecnici, ma piuttosto significativi.

Ovvero?

Intanto va detto che il Parlamento ha iniziato a lavorare, sebbene in maniera ridotta, ci sono le Commissioni speciali per ciascuna delle due camere che sono all’opera. È dunque anche difficile fermare una macchina che, seppur faticosamente, è già entrata in movimento. C’è poi un altro punto di cui nessuno parla, una questione di diritto costituzionale, ed è il motivo per cui il presidente Mattarella partirà lo stesso con un governo, perché ha il potere di insediarlo. Si tratta di un governo che non ha bisogno di avere la fiducia delle camere per poter esistere (solo per essere nella pienezza delle sue funzioni). Il governo Gentiloni non potrebbe andare avanti perché è basato su una maggioranza parlamentare che non sussiste più, la nuova versione potrebbe funzionare attraverso due ipotesi: con la formazione di una maggioranza politica, e più si va avanti più è possibile che ciò accada, oppure limitandosi a gestire il passaggio a nuove elezioni. 

Un governo a mezzo servizio, per così dire.

Sì, ma che quantomeno si basi sui rapporti parlamentari di oggi e non di ieri. 

Il problema è che per portare a casa gli accordi politici bisogna avere la predisposizione a farli

Un governo del presidente per partiti come Lega e 5 stelle, però, equivale a un governo tecnico, da evitare come la peste nera.

Vero, ma sarebbe un modo per spingere questi due partiti ad allearsi.

Cosa che sta effettivamente accadendo.

Proprio per evitare il governo del presidente cercheranno un accordo, altrimenti si troveranno davanti a questa alternativa indigesta per un periodo di tempo che potrebbe non essere brevissimo. Naturalmente poi si può fare una valutazione politica e discutere se la prospettiva di un governo Lega-5 stelle sia buona o meno.  

Fra veti incrociati e forni in un sistema tripolare come quello attuale non c’è mai stato veramente spazio per un accordo politico, non è così?

Il problema è che per portare a casa gli accordi politici bisogna avere la predisposizione a farli. I partiti che hanno vinto le lezioni hanno fatto un ragionamento diverso, ovvero hanno sempre insistito sul non voler fare compromessi. Gli elettori hanno bocciato i partiti che erano più o meno disposti a farlo questo compromesso, cioè Pd e Forza Italia, che già si preparavano a fare un governo insieme, perché questo era lo schema che stava dietro alla legge elettorale. E lo dico con cognizione di causa avendo vissuto quel momento in prima persona. L’agenda è ormai dettata, tuttavia, dalla comunicazione, ed è un attimo che tutto cambia. 

Il Parlamento senza i partiti non funziona e oggi siamo in una situazione in cui ormai i partiti presenti in Parlamento sono praticamente tutti anti-sistema e si arroccano su posizioni più o meno istituzionali a seconda della convenienza

Ma questa è una crisi di governo o una crisi di sistema?

Sicuramente una crisi di sistema che ha radici antiche ma di avvisaglie ce ne sono state. Vede, in Italia abbiamo una forma di governo parlamentare, ma il Parlamento senza i partiti non funziona e oggi siamo in una situazione in cui ormai i partiti presenti in Parlamento sono praticamente tutti anti-sistema e si arroccano su posizioni più o meno istituzionali a seconda della convenienza. Tutto ciò diventa una contraddizione difficilmente superabile. Ed è anche per questo che le elezioni risolvono poco. 

A proposito di legge elettorale si fa un gran parlare del doppio turno alla francese come panacea di tutti i mali, la sua opinione in merito?

Il problema del doppio turno è la doppia camera che comunque non garantisce una maggioranza sicura, perché può andare in un modo alla Camera e in un altro al Senato e questo non c’è verso di impedirlo. Astrattamente un sistema di questo genere, sulla base della giurisprudenza della Corte costituzionale in merito alla legge elettorale, sarebbe assolutamente contemplabile. Il sistema alla francese funziona così: il candidato è eletto direttamente nel collegio uninominale se ottiene il 50% dei voti al primo turno, se non li ottiene vanno al ballottaggio coloro che hanno ottenuto più del 12,5%, quindi non è un ballottaggio tra due ma eventualmente anche fra più partiti. Una scrematura che sarebbe perfettamente in linea con i criteri della Corte. Ma come si può applicare questo sistema su Camera e Senato?

Noi in Italia, da vent’anni, pensiamo che con lo strumento, la legge elettorale, si risolva il problema. Sembra la sindrome del Barone di Münchhausen che si tira fuori dalle sabbie mobili tirandosi da solo per i capelli

Come se ne esce, allora?

Io credo che bisognerebbe prima chiarire gli obiettivi e poi trovare gli strumenti tecnici che proseguono il ragionamento. Noi invece in Italia, da vent’anni, facciamo il percorso opposto, cioè pensiamo che con lo strumento, la legge elettorale, si risolva il problema. Sembra la sindrome del Barone di Münchhausen che si tira fuori dalle sabbie mobili tirandosi da solo per i capelli. Tutto dipende se si vuole dare realmente un governo al Paese, e allora la riforma costituzionale ed elettorale di Renzi era la soluzione perfetta che garantiva un governo stabile, una maggioranza sicura, una sola Camera che concedeva la fiducia; o se invece si vuole dare un governo ma non a tutti i costi bisogna trovare delle formule compromissorie. 

Quale modello di governo suggerirebbe?

La mia preferenza, anche se mi rendo conto essere fuori moda, è il governo di tutti, il modello svizzero inteso come forma di governo, ossia un consiglio di amministrazione del Parlamento dove sono rappresentati obbligatoriamente tutti e dove non c’è un rapporto di fiducia, il governo è semplicemente uno specchio ridotto del Parlamento e tutti hanno delle responsabilità. Noi invece siamo ubriacati di pseudo-ideali maggioritari che però in Italia non funzionano. Questo slogan per cui si deve sempre sapere chi vince il giorno delle elezioni alla fine ha il solo effetto di deresponsabilizzare chi perde. Perché quando si sta all’opposizione gli altri sono tutti scarsi. Siamo dunque in grado come società, e ho i miei dubbi al riguardo, di capire cosa vogliamo? 

E intanto Grillo è tornato a insistere di nuovo sull’uscita dall’euro. In un Paese con quasi 2300 miliardi di debito pubblico.

Prima di tutto un referendum sull’euro non si può fare se non si cambia la costituzione, quindi parliamo del nulla, del vuoto pneumatico. Sul piano politico c’è da dire che è evidente che sia in atto un distacco progressivo fra l’ala istituzionale-governativa che fa capo a Di Maio e quella estremista, movimentista, di chi non ha mai visto il Parlamento, come Grillo, e che quindi può spararle grosse. La prima, più responsabile come è ovvio che sia per un partito che ha preso molti voti, quanto più prende piede tanto più si assiste a questi colpi di coda che sono l’espressione della difficoltà di relazionare queste due posizioni. Fa tutto parte del processo di emancipazione da Grillo.

Questo slogan per cui si deve sempre sapere chi vince il giorno delle elezioni alla fine ha il solo effetto di deresponsabilizzare chi perde. Perché quando si sta all’opposizione gli altri sono tutti scarsi. Siamo dunque in grado come società, e ho i miei dubbi al riguardo, di capire cosa vogliamo? 

Fare politica attiva non le manca?

Alcune cose mi mancano, ma fa parte del gioco. A dir la verità della politica attiva non sono mai stato veramente parte. Ho sempre portato avanti con fatica e difficoltà, in molti casi ottenendo soddisfazioni, in altri ingoiando dei rospi, una visione diversa. Quando fai parte della macchina devi anche giocare nell’immediato, naturalmente, ma io ho sempre guardato al dopodomani, alle cose che c’erano da fare. Tutte le battaglie che ho cercato di fare non sono state mai per questioni contingenti ma per gettare semi per soluzioni a lungo termine. 

Non la seduce nemmeno l’ipotesi di un posto in consiglio provinciale?

Non dal punto di vista elettorale. Visto che abbiamo un’autonomia molto sviluppata la gran parte delle cose che ci riguardano si risolvono qui. E bisognerebbe affrontare i temi a lunga scadenza, cosa che non si sta facendo affatto perché la politica è troppo quotidiana. Il fatto è che io sono un passista e non uno scattista, la politica è fatta per i centometristi e io non ho il fisico adatto [ride].