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Dove arrivano le acque

Anja Kampmann racconta cos’è il lavoro sulle piattaforme di trivellazione petrolifera seguendo il protagonista sulla terraferma.
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Foto: salto.bz/Keller

Il 5 dicembre 2020 durante una tempesta di Scirocco sparisce la piattaforma Ivana D che si trovava in centro al golfo di Venezia tra la costa veneta, l’Emilia e l’Istria. Dopo una settimana il suo relitto viene trovato sul fondo dell’Adriatico tra il delta del Po e Pola in Istria. Ivana D era una struttura controllata da remoto e forse proprio perché disabitata della sua scomparsa se n’è parlato poco. Il destino di Ivana D ricorda quello di Màtyàs con la differenza che il corpo del secondo non è restituito dalle acque dell’Atlantico.

Di Màtyàs Anja Kampmann, autrice di Dove arrivano le acque uscito recentemente per Keller editore, parla attraverso i ricordi di Waclaw, il protagonista del romanzo. Compagni di lavoro in mezzo al mare e amici sulla terraferma, Màtyàs e Waclaw sono sulla stessa piattaforma di trivellazione petrolifera quando il primo scompare in una notte di tempesta. Il momento della sparizione coincide con il motore della trama che prosegue con i tempi e lo spirito del dolore della perdita. Con un tocco stilistico che tiene alla larga ogni forma di voyeurismo della sofferenza ma che restituisce tutte le sfumature del disorientamento di chi soffre, Kampmann segue Waclaw attraverso un pellegrinaggio che tocca il Marocco, l’Italia, Malta, l’Ungheria e la Germania. Queste terre vengono percorse con un carico di malinconia che sembra non sgravare mai: le camere prese in affitto per il periodo del congedo a terra, le città vissute per il tempo concesso tra un lavoro e l’altro, i paesi lasciati alla ricerca della fortuna, i paesi abitati per quella fortuna, sono luoghi familiari ma nessuno di questi restituisce la sensazione di “casa”.

Dove arrivano le acque è un libro sull’amicizia, è un viaggio attraverso il passato, è un racconto di formazione. Eppure, quello che rimane indelebile una volta terminata l’ultima pagina non è la forza delle relazioni o la fatica della ricerca di un senso della vita, ma la sensazione di vuoto e di precarietà di un’esistenza che prende la stessa forma di lavori che troppo spesso lasciano segni permanenti sul corpo e nell’anima. Al camionista, ai lavoratori di impianti di perforazione in congedo a terra, all’ex lavoratore delle miniere – tutti personaggi che Waclaw incontra nel suo viaggio – non conviene domandarsi se è il desiderio che li ha guidati nelle loro scelte. Quello di Kampmann non è un romanzo di denuncia, ma racconta senza giudizio come spesso sia il lavoro a determinare il corso della vita. Ciò si traduce nel consegnare al lavoro salariato il potere di scegliere dove vivere, con chi vivere, come vivere.

Quello di Kampmann è anche un romanzo di fermi immagine. Non si immagina, ma si vede il letto vuoto di Màtyàs quando Waclaw entra nella cabina condivisa, non si immagina ma si vede il viaggio verso nord che Waclaw intraprende alla guida di un Fiorino e questo è possibile dal fatto che Kampmann si prende tutto il tempo necessario per descrivere una scena, un ricordo o una sensazione. Dove arrivano le acque racconta di lavori che non lasciano il tempo per vivere ma non ne riproduce il ritmo, racconta di carriere che portano a vedere diversi luoghi del mondo ma non le incensa, racconta di amicizie profonde senza riportare l’entusiasmo e la gioia che queste possono garantire. Come Ivana D anche i personaggi che abitano il romanzo di Kampmann possono scomparire senza creare grande scompiglio, perché talvolta le vite spezzate, gli amori interrotti e le amicizie finite sono prezzi che si è disposti a pagare per soddisfare quello in alcuni casi sembra essere il valore imprescindibile: il lavoro.