Gesellschaft | toponomastica

“Stazione Marincola, una scelta giusta”

Roma intitola fermata della metro al “partigiano nero” internato in via Resia. Lo storico Di Michele: “Italiani brava gente? Bisogna sapere cos'è stato il colonialismo”.
Andrea di Michele
Foto: Academia.bz

L’Assemblea di Roma Capitale ha approvato con 27 voti a favore, 4 contrari e 4 astenuti l’intitolazione della stazione della Metro C a Giorgio Marincola, il partigiano italo-somalo internato in via Resia a Bolzano e giustiziato dalle SS in Val di Fiemme. La mozione è stata fortemente sostenuta dalla sindaca Virginia Raggi, che ha invitato l’aula a superare i tecnicismi e a prendere una posizione simbolica in merito a una parte buia della storia italiana troppo spesso manipolata - quando non negata -, sottolineando l’indubbia adesione del consesso cittadino intero ai valori dell’antifascismo.
La stazione avrebbe dovuto prendere il nome della via adiacente, Amba Aradam, ma una petizione, promossa anche dal nipote del partigiano Antar Marincola, che si opponeva ad intitolare l’ennesimo luogo della città a una delle ferite più buie della storia del Paese, ha contribuito a far sì che il comune di Roma mettesse in atto un'importante inversione di rotta. Amba Aradam rappresenta una delle più cruenti battaglie combattute dall’esercito italiano in territorio etiope, vinta grazie all’impiego massiccio di gas tossici vietati dalle convenzioni internazionali e che ha provocato decine di migliaia di morti. 

 


E poi c’è Giorgio Marincola, figlio di un maresciallo maggiore di fanteria italiano e di una donna somala, ma figlio anche di quella precisa politica coloniale. La sua storia viene raccontata in più opere, in particolare all’interno del libro Razza Partigiana di Carlo Costa e dall’omonimo reading di Wu Ming 2 in cui viene portato alla luce il famoso episodio di Radio Baita. Molto spesso i partigiani imprigionati e torturati erano costretti dai nazisti a intervenire in queste trasmissioni con l’unico fine di denigrare la Resistenza e invitare i propri compagni a costituirsi. Ma Giorgio non si piegò. Durante la trasmissione si presentò come Renato Marino, un nome in codice volto a tranquillizzare i compagni perchè significava che i nazisti non erano riusciti a trovare i documenti più importanti. “La patria non è un colore sulla mappa. La patria è libertà e giustizia e non può esserci patria dove c’è dittatura” furono le parole pronunciate coraggiosamente da Mercurio, il nome di battaglia di Marincola, ai microfoni di Radio Baita, prima che i nazisti interrompessero violentemente la trasmissione. Dopo essere stato imprigionato nel campo di via Resia, liberato dagli alleati rifiutò di scappare in Svizzera per unirsi agli altri partigiani in Val di Fiemme e proteggere la popolazione dalle rappresaglie dei nazisti in ritirata. Trovò la morte a Stramentizzo, in quella che viene definita l’ultima strage nazista in Italia.

 

 

“I nomi, l’odonomastica e la toponomastica continuano a essere un campo di battaglia” spiega a salto.bz lo storico Andrea Di Michele. “La mia impressione sull’ipotesi iniziale di intitolare la fermata ad Amba Aradam è che sia avvenuta in parte in maniera inconsapevole per via del fatto che la metro si affaccia proprio sulla via omonima. Marincola era un partigiano, ma non un partigiano qualsiasi: era un partigiano di colore e questa intitolazione si contrappone a pieno al significato che avrebbe avuto Amba Aradam. Al di là di come la si pensi è un esempio evidente di come i nomi dei luoghi della città non siano mai neutri, a partire dalla consapevolezza che questi siano lo strumento per formare la cultura e la memoria storica della popolazione. Queste battaglie sono antichissime, si giocano dalla fine dell’800, e i meccanismi sono i medesimi. Il nostro territorio - ricorda - oltre alla contrapposizione ideologica deve fare i conti con la contrapposizione etnico-lingustica. Proprio qui era uscita la proposta di intitolare le vie e le piazze non più a personalità ma ad elementi neutrali, come ‘via del parco’ o ‘piazza municipio’. Non era una proposta provocatoria ma cercava di uscire da questa sorta di campo minato attraverso una toponomastica asettica e descrittiva”.

Qui si tratta di capire se le persone che quotidianamente attraversano questa strada sono consapevoli di cosa sia stato Amba Aradam

E in merito alla denominazione in questione Di Michele risponde: “Anche io avrei giudicato con una certa dose di imbarazzo intitolare una stazione della metro alla carneficina di Amba Aradam. La risposta critica ha un fondamento molto forte, anche se la proposta iniziale partiva dall'intitolazione di una via che c’è ed esiste tuttora. Qui si tratta di capire se le persone che quotidianamente attraversano questa strada sono consapevoli di cosa sia stato Amba Aradam. Da un certo punto di vista - prosegue - non so se sia la soluzione migliore cancellare automaticamente questi nomi che rimandano al nostro passato coloniale, nel momento in cui la presenza di nomi scomodi può diventare l’occasione per riflettere su cos’è stato il colonialismo italiano. Ribaltare il senso di queste intitolazioni può essere altresì un’occasione positiva per accrescere la consapevolezza storica della cittadinanza. Se cancelliamo ogni riferimento mi domando: è una scelta del tutto positiva o c’è il rischio di rimuovere il ricordo di questo passato doloroso? Io sono per una problematizzazione di questi nomi e una presa di coscienza rispetto a quello che si cela dietro a queste intitolazioni, ma ritengo che non esista una soluzione valida per tutti i casi, ognuno è un contesto a sé e dipende dalle dinamiche interne delle comunità. A mio avviso la soluzione migliore è accendere i riflettori su alcune questioni, come è stato fatto a Bolzano sul Monumento alla Vittoria, ma nel caso specifico, ritengo l'intitolazione della stazione a Giorgio Marincola una scelta giusta”.

Se cancelliamo ogni riferimento mi domando: è una scelta del tutto positiva o c’è il rischio di rimuovere il ricordo di questo passato doloroso?

Su che tipo di conti deve fare il nostro Paese sul suo passato colonialista lo storico afferma: “È una questione di conoscenza. Viene continuamente riproposta l’immagine dell’italiano buono, degli italiani brava gente letta in contrapposizione a quello che è stato il nazismo. Molto spesso quando ragioniamo sul passato c’è sempre quel meccanismo del confronto che ci porta a dire che nonostante il fascismo sia stata una dittatura, il nazismo è stato tutt’altro perchè ha messo in piedi la macchina dello sterminio tarata sul modello Auschwitz. Nonostante questo confronto possa avere alcuni legittimi fondamenti, esso viene utilizzato per perpetuare l’idea dell’italiano moderato che non ha raggiunto i suoi picchi di crudeltà nemmeno in tempi di dittatura. Questo mito a livello storiografico è stato messo in discussione. L’Italia è l’unico paese che ha due legislazioni razziste - una nei confronti degli ebrei e una nei confronti dei sudditi coloniali - oltre al fatto che nelle colonie africane gli italiani si sono resi responsabili di stragi di civili, dell’uso di gas tossici vietati, di repressioni violente anche nei confronti della popolazione civile. A mio avviso - conclude - manca ancora una consapevolezza generalizzata, che già esiste a livello storiografico, che superi a livello capillare la concezione dell’italiano che si reca nelle colonie e fraternizza con le popolazioni civili e che nonostante canti ‘Faccetta Nera’ non interferisce sulla popolazione locale. Questa è una visione sbagliata”.