Gesellschaft | Gastbeitrag

La Tunisia sul palco del futuro

Luca De Filicaia della Ong GVC-WeWorld, sulle recenti elezioni, i giovani e il fenomeno della radicalizzazione, e il ruolo della Provincia di Bolzano.
Tunisia
Foto: Sreenshot

Luca De Filicaia, rappresentante regionale della Ong italiana GVC-WeWorld, domenica scorsa si è votato in Tunisia per il rinnovo del Parlamento, qual è il ruolo dei giovani in queste recenti elezioni politiche?

I giovani sono grandi consumatori di media digitali, aperti al mondo virtuale, pieni di esempi, informazioni, conoscenze ed eccessi. Appassionati di Comics ed emozioni, atipici e non convenzionali. Le aspettative post rivoluzione dei gelsomini del 2011, sono state disattese, creando un sentimento di frustrazione e sfiducia nella classe politica attuale. Le condizioni economiche dei giovani infatti non sono migliorate. I prezzi in Tunisia sono aumentati vertiginosamente e la disoccupazione rimane ostinatamente al 15 percento, superiore ai livelli pre-rivoluzione. I giovani sono stati i più colpiti dalla mancanza di posti di lavoro, con una disoccupazione che arriva al 33% a livello nazionale e che ha superato il 50% in alcune regioni. Componendo il 60 percento della popolazione complessiva, i giovani rappresentano un blocco elettorale significativo e diversificato, ma le tendenze recenti già suggerivano che i giovani sarebbero stati sottorappresentati alle urne. Meno del 20% delle persone di età compresa tra 18 e 35 anni ha votato alle elezioni parlamentari del 2014 e nel 2017 il 70% dei giovani ha dichiarato di non fidarsi dei partiti politici.

E sul piano della partecipazione giovanile cos’è cambiato rispetto all’ultima tornata elettorale?

Partiamo col dire che il voto di domenica è stata la seconda elezione presidenziale libera del paese dopo la rivoluzione e il campo politico è affollato e imprevedibile. C’erano 26 candidati in gara e nessuna leadership chiara, cosa che ha reso il voto ancora più imprevedibile. Tra i principali candidati vi erano il primo ministro Youssef Chahed, il ministro della Difesa Abdelkarim Zbidi, il magnate dei media incarcerato Nabil Karoui e Abdelfattah Mourou, il primo candidato presidenziale presentato dal partito islamista Ennahda. Al voto è andato il 49% degli aventi diritto, un numero molto basso, soprattutto comparato al 64% del 2014. Questo, aspettando i risultati finali, ci consente di affermare con una certa sicurezza che il numero di giovani che ha partecipato al voto è inferiore al 2014. 
Alla fine hanno prevalso due “outsider” come Kais Saied e e Nabil Karoui, un volta spalle chiaro all'élite politica del paese. Un grande impulso per Saied sembra essere provenuto proprio dai giovani tunisini. Un sondaggio condotto da Sigma Conseil ha rilevato che il 37 percento degli elettori tra 18 e 25 e il 20,3 percento dei 26-45 anni votavano per Saied, mentre gli elettori più anziani preferivano Karoui. La delusione della "rivoluzione mancata" ha prodotto nella gioventù tunisina il desiderio di un grande cambiamento contro la dilagante corruzione politica e i privilegi dei politici in carica.

Sappiamo che molti foreign fighters provengono proprio dalla Tunisia, può inquadrarci il fenomeno?

Purtroppo, l'estremismo violento è oggi un fenomeno che ha attratto migliaia di tunisini, uomini e donne, da molte regioni e città del paese. Le conseguenze delle loro azioni sono significative per le vittime delle loro azioni, ovviamente, ma anche per questi giovani stessi, le loro famiglie e la società in generale. In Tunisia, questa forma di violenza mina i progressi dello sviluppo attraverso il suo impatto sulla ripresa economica, sulla coesione sociale e sulla sicurezza. Ma questo fenomeno ci costringe anche a considerare: quale visione, valori e percorsi possono essere offerti per ispirare le nuove generazioni? Le cause profonde dell'estremismo violento si intersecano con questioni che riguardano da vicino i giovani e le loro speranze e rimostranze, come la mancanza di buon governo e inclusione socio-economica. La "prevenzione", quindi, diventa una necessità e un mezzo per combattere in modo più efficace e sostenibile contro l'ascesa dell'estremismo violento. La prevenzione può aumentare la resilienza degli individui e delle comunità e ridurre la loro permeabilità ai messaggi di odio. Questo approccio, che sostiene cambiamenti sociali e istituzionali a lungo termine, richiede un partenariato allargato in tutta la società sotto la guida di attori governativi e con il sostegno di partner internazionali.

La delusione della "rivoluzione mancata" ha prodotto nella gioventù tunisina il desiderio di un grande cambiamento contro la dilagante corruzione politica e i privilegi dei politici in carica

Quali fattori spingono i giovani tunisini a simpatizzare con l’estremismo violento?

Nella complessità del fenomeno della radicalizzazione in Tunisia possiamo identificare come principali fattori quelli ideologici, soprattutto come risultato del crescente razzismo e dell'islamofobia nei paesi di immigrazione economica, in particolare europea; socio economici ed istituzionali ovvero la esclusione economica dei giovani soprattutto in aree marginali ed i sentimenti di umiliazione ed ingiustizia sociale; ed infine i fattori religiosi, la cosiddetta dinamica di re-islamizzazione ovvero massificazione di un approccio rigoroso dell'Islam sunnita che tende a fondersi con il wahhabismo saudita.

Come può lo Stato affrontare le cause che sono state appena elencate?

Le autorità tunisine hanno adottato una serie di misure per affrontare alcune di queste cause. Molto è stato fatto per cercare di ridurre le opportunità di reclutamento, tra cui ripristinando imam ufficialmente nominati nelle moschee che sfuggivano al controllo delle autorità, chiudendo enti di beneficenza islamici con presunti legami con il terrorismo e definendo il movimento salafita Ansar Al-Sharia come organizzazione terroristica. Oltre a questo è importante che gli attori religiosi ufficiali vengano percepiti come credibili se vogliono competere con le voci estremiste dell’Islam. In particolare, hanno bisogno di uno spazio per poter adattare il loro discorso ai bisogni locali, proprio come fanno gli estremisti, e per renderlo attraente per i giovani. A tal fine potrebbe anche essere necessaria una formazione supplementare e un sostegno per raggiungere la comunità, in particolare i giovani.

Cos'altro si può fare?

Il miglioramento delle relazioni tra le autorità preposte all'applicazione della legge e i cittadini dovrebbe essere considerato un elemento critico per prevenire la radicalizzazione. I cittadini devono sentire che i servizi di sicurezza e la polizia sono lì per proteggerli. Ciò significa che le misure antiterrorismo devono essere in linea con lo stato di diritto e i diritti umani, e sostenute da solidi meccanismi di controllo, per evitare eccessi. Sono stati compiuti progressi al riguardo. Per affrontare l'emarginazione socioeconomica è necessaria una strategia di sviluppo regionale incentrata sulle regioni dell'interno e di confine a ovest e a sud. Le persone che vivono in queste zone devono vedere che c'è una rottura con le politiche del passato e beneficiare dello stesso livello di servizi delle zone costiere. Anche i vuoti di governance nei quartieri trascurati dei grandi centri urbani devono essere colmati e combinati con la creazione di spazi per attività sociali e ricreative per i giovani. 

È in questa direzione che va il lavoro della Ong WeWorld-GVC?

Proprio così, da anni WeWorld-GVC grazie a finanziamenti dell’Unione Europea e di enti locali come la Regione Trentino Alto Adige e la Provincia autonoma di Bolzano, promuove una serie di iniziative in Tunisia nei governatorati di Kasserine e di Sidi Bouzid, luogo da cui è nata la Rivoluzione dei Gelsomini ed oggi aree marginali soggette a radicalizzazione. In particolare le iniziative sono volte all’inclusione socio economica di donne e giovani attraverso il sostegno all’associazionismo locale, al mondo delle imprese sociali e solidali ed alla imprenditoria locale con la creazione di strutture di incubazione d’imprese.

 
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L'autrice di questa intervista, Alexandra Pöder, ha lavorato per molti anni presso l'ufficio cooperazione della Provincia, ha trascorso 10 anni in Africa e in Asia lavorando con la Ong GVC di Bologna e con Save the Children UK e attualmente lavora per il Fondo sociale europeo (FSE).