Wirtschaft | Commons in the city

“Pensa locale, agisci globale”

Il ricercatore Paolo Venturi rovescia il motto “Think globally, act locally”: “Oggi sono i territori che fanno le aziende competitive”. Sarà a Bolzano il 29 ottobre.
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Foto: ©Officine Vispa

salto.bz: Paolo Venturi, ricercatore e direttore del centro studi sul no profit AICCON, il 29 ottobre lei sarà ospite a Bolzano per il ciclo di incontri Commons in the city-Dialoghi sul bene comune promosso da OfficineVispa nell’ambito del progetto Public Space Innovation. L’occasione per parlare del libro “Dove. La dimensione di luogo che ricompone impresa e società”, scritto assieme a Flaviano Zandonai. Che legame hanno i luoghi con il concetto di bene comune che ha aperto il programma?

Paolo Venturi: il link tra la dimensione di luogo e i beni comuni è stretto e forte. Di fatto i beni comuni hanno una consistenza di luogo, nel senso che sono spazi la cui fruizione postula a una convergenza di interessi e anche di modelli di gestione che appunto sono collettivi. La differenza tra beni pubblici e comuni sta proprio in questo: il premio Nobel Elinor Ostrom diceva che i modelli di gestione devono essere coerenti con la natura dei beni. Quindi, se i beni di comuni anche i modelli di gestione devono esserlo. Vale per tutta una serie di servizi, utilities, luoghi, spazi che diventano comuni e in quanto tale assumono un significato.

Quindi nello specifico le due categorie come si differenziano?

Sia beni pubblici che comuni sono di tutti, ma mentre per i primi la dimensione che li governa è quella istituzionale, per i secondi occorre che ci sia la partecipazione, il ruolo attivo della comunità. Basti pensare agli usi civici delle Dolomiti, agli asset territoriali o paesaggistici arrivati a noi. Non tanto perché c’era una legge che li tutelava ma perché c’erano delle comunità che li hanno conservati.

Il libro parla di queste esperienze territoriali?

Il tentativo fatto assieme a Flaviano Zandonai è raccontare questi spazi che dotati di significato diventano luoghi, presidi con la porta aperta in cui i meccanismi di governance sono condivisi con la cittadinanza. Ma il libro non è uno storytelling di esperienze, ma attraverso numeri e casi porta all’attenzione tre ambiti.

Quali sono gli ambiti trattati?

Il primo è la rigenerazione dei beni abbandonati, in disuso, che viene raccontata descrivendo l’esito del bando nazionale Culturability. Ormai una delle azioni più significative pensata per promuovere la rigenerazione di asset dando a questi una nuova vita in termini di attività culturali, economiche e di sviluppo locale. Il secondo riguarda tutt’altro, gli spazi di coworking: che sono un dispositivo non solo dove fruire di una scrivania o di una connessione, ma diventano luoghi di relazione nei quali costruire nuove opportunità e accedere a nuove risorse. Terzo, le imprese sociali e di comunità: nella sezione vengono raccontati alcuni dati sullo sviluppo di queste realtà in Italia ed emerge l’importanza dei luoghi.

Il “dove” diventa un valore economico-sociale?

Oggi per generare servizi alla persona bisogna sempre di più progettare luoghi vicini ai nuovi bisogni. Servizi non più erogati a sportello ma che trovano sede in posti spesso improbabili: penso alle edicole che si trasformano, ai portierati o ai bar che intercettano nuove esigenze dei cittadini, aiutando la coesione sociale.

Invece i Tempi ibridi, il progetto di cui si è occupato, come entrano in questo ragionamento?

I Tempi ibridi sono un blog che è stato attivato quando assieme a Flaviano abbiamo prodotto un’area di ricerca che ha prodotto due pubblicazioni, una del Mulino e una dell’Egea, che era appunto orientata alle imprese ibride. Prima di raccontare i luoghi, abbiamo posto l’accento su queste nuove forme di impresa oggi sono abbastanza riconosciute. Il tema delle imprese ibride è diventato mainstream: di fatto racconta le imprese che forniscono servizi ma allo stesso tempo sono dei generatori di coesione sociale. Per molto tempo infatti si sono divisi i due concetti: da un lato la produzione della ricchezza, di beni e servizi orientata alla massimizzazione del profitto, dall’altro la concezione dell’impresa come soggetto di redistribuzione, basti pensare ad alcune cooperative sociali. Invece, ciò che oggi sta venendo avanti è che la dicotomia profit-non profit, dimensione commerciale-dimensione sociale si attenua e che i due ambiti tendono a contaminarsi. Generando nuove forme di imprese ibride: realtà con una gestione sì imprenditoriale ma la cui generazione di valore crea coesione e benessere.

Di che sfide attuali parlerà nell’incontro a Bolzano?

Oggi siamo in un’epoca di grandi cambiamenti e la dimensione del dove è centrale. In altre parole i luoghi sono un grandissimo dispositivo per avviare i cambiamenti, una proposta concreta per innovare il nuovo welfare, i modelli di imprenditoriali e le forme dello stare assieme.

Esempi ce ne sono?

Tantissimi. I mercati globali sono sempre più interessati alla dimensione locale. Se prima si diceva è auspicabile pensare globale e agire locale, oggi bisogna fare il contrario: pensare locale e allargarsi al globale. Produrre valore a livello locale, perché è sul territorio che si crea il valore non delocalizzabile, quello unico. ‘Il valore risiede in ciò che è unico ad un luogo’, scriviamo nel libro. Proviamo a pensare a quanti sono i nostri prodotti tipici a cui il territorio dona una veste di unicità. L’altro tema fondamentale è che la dimensione territoriale è quella che costruisce la competitività delle imprese, le quali si insediano dove c’è un capitale sociale e un’identità. Se prima erano le imprese competitive a fare i territori competitivi, adesso è il contrario. Non c’è solo l’esempio della Silicon valley.