Wirtschaft | Economia globale

Bisogna rassegnarsi a essere più poveri?

La frammentazione dell’economia globale, gli equilibri geopolitici, l’inflazione galoppante. E il conto (salato) lo pagano i lavoratori.
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Foto: Adobe Stock Images

È uno scenario geopolitico molto turbolento quello a cui stiamo assistendo. Lo ha detto, senza mezzi termini, la presidente della BCE Christine Lagarde, in un recente discorso tenuto a New York, parlando di una sempre maggiore frammentazione dell’economia globale e di un’instabilità duratura con crescita debole e costi elevati. Di questo e dell’impatto sulle condizioni dei lavoratori abbiamo parlato con Maria Elena Iarossi, ricercatrice dell’IPL | Istituto Promozione Lavoratori.

salto.bz: Dal punto di vista economico quali sono gli aspetti più salienti dell’attuale situazione?

Maria Elena Iarossi: Mi ha particolarmente colpito il discorso della presidente della Banca centrale europea che definirei quasi storico, data l’esplicita e forte presa d’atto che contiene rispetto allo scenario economico corrente. Tutto parte dal fatto che le sanzioni dell’UE alla Russia a seguito dell’invasione dell’Ucraina invece che indebolire hanno rafforzato l’area economica dei paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e i partenariati bilaterali grazie anche all’utilizzo di valute diverse dal dollaro. Dall’altra parte la Banca centrale degli Stati Uniti (FED), alle prese anche con la crisi bancaria esplosa con il fallimento di Silicon Valley Bank (la peggiore crisi dal 2008), continua ad aumentare i tassi di interesse per attirare capitali ed evitare la fuga di depositi. Un’arma a doppio taglio, inoltre, si è rivelata essere la confisca dei beni di miliardari di paesi non allineati all’interno del blocco occidentale che ha contribuito alla fuga di capitali. Il mercato occidentale può essere insomma percepito come insicuro. La BCE con le sue decisioni si muove sul filo del rasoio e il primo effetto è quello del rialzo dei tassi d’interesse, che per i lavoratori si traduce in una nuova batosta sulle rate di mutui e prestiti.

Quale può essere l’effetto di tutto questo sugli aspetti produttivi?

Un altro potenziale problema è quello degli investimenti che, per il momento, a fronte di questo aumento dei tassi d’interesse, sembrano tenere ma di fatto ci vorranno fino a due anni di tempo per avere dati più realistici e precisi in questo senso. Dal punto di vista produttivo, il cambio delle rotte e degli accordi commerciali potrebbe condurre a una regionalizzazione e quindi alla manifattura di beni (finora importati) all’interno dell’area occidentale. Ciò porta a un problema che in verità si è già concretizzato, ovvero il contenimento dei costi attraverso il contenimento dei salari.

A proposito di condizioni dei lavoratori, l’occupazione in Alto Adige è in crescita, questo è un segnale positivo o nonostante tale dato ci sono delle criticità che al momento non sono evidenti?

L’economia non va esattamente a gonfie vele e quelli che in passato potevano essere considerati solo segnali positivi oggi nascondono anche altro. I salari non aumentano e nel contempo resta la necessità di essere competitivi. Le condizioni di lavoro così non migliorano granché, soprattutto a livello di contratti. Osserviamo infatti che il lavoro stabile scarseggia mentre aumentano i contratti a tempo determinato e part-time. Ad esempio, in Alto Adige i contratti part-time maschili sono cresciuti del 30% in 10 anni. È quantomeno anomalo che se da una parte c’è sì necessità di lavoro, dall’altra ad aumentare sono soprattutto i contratti non standard. Peculiari sono state le parole del capo economista della Banca d’Inghilterra, Huw Pill, che ha detto esplicitamente: “Cari britannici, rassegnatevi ad essere più poveri”; anche il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha dichiarato che non è possibile aumentare i salari per sostenere il potere d’acquisto delle famiglie, anche se i prezzi lievitano. Parliamo di dichiarazioni ufficiali, volte a stroncare le aspettative dei lavoratori. 

L’aumento dei tassi non ha peraltro frenato l’inflazione.

Si è usato il metodo classico per drenare denaro ma questa è un’inflazione che dipende dall’aumento dei costi delle materie prime e degli approvvigionamenti, non dalla troppa moneta in circolazione, e i salari erano già bassi. Dunque, per frenare l’inflazione lo strumento in questo caso non sembra dei più adatti e i prezzi infatti continuano a salire. 

Possiamo aspettarci interventi di spesa pubblica a sostegno dell’economia?

Fra le varie dichiarazioni, decisamente poco rassicuranti, che si sono susseguite, c’è stata anche quella relativa a un nuovo Patto di stabilità, proposta dalla Commissione Europea. Con l’esperienza della pandemia si parlava di un cambiamento di rotta della politica economica, si era detto che si sarebbe potuto spendere di più, che era necessario aumentare la spesa pubblica per sostenere le economie in crisi - in linea con il pensiero keynesiano – agendo in senso anticiclico; l’ultimo annuncio ora è che si torna al Patto di stabilità, con vincoli molto simili al passato, se non più stringenti, al fine di scongiurare disavanzi pubblici eccessivi e contribuire alla stabilità monetaria. Anche questa volta i primi paesi a dover contenere la spesa saranno Italia e Grecia, che hanno come noto un debito pubblico molto elevato rispetto al PIL. Concretamente l’Italia è chiamata a tagli importanti. Si pensi che per il 2026 si richiede di conseguire un calo del deficit al 2,5% (un taglio di circa 45 miliardi). Si prevedono dunque sacrifici pesanti.

È possibile dare un consiglio ai lavoratori?

Occorre prendere atto che il momento è difficile e migliorare le proprie competenze finanziarie per non ritrovarsi eccessivamente indebitati, come ha sottolineato anche la relatrice della Banca d’Italia nel corso della Giornata Equal Pay Day a Bolzano. In una situazione economica così poco rassicurante bisogna contare sulle proprie competenze, perciò è estremamente importante potenziarle.