Gesellschaft | Zebra - Reportage

Imparare la Bellezza

La cooperativa “Lavoro e non solo” si occupa di gestire i terreni confiscati alla mafia. Asia Rubbo è stata ospite di questa cooperativa a Corleone.
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Foto: zebra
La scritta „Capitale Mondiale della Legalità“ campeggia sotto al cartello che indica l’entrata nella città di Corleone, in provincia di Palermo. Il colmo, per una città attualmente commissariata per infiltrazioni mafiose e, la cui storia, così strettamente legata a quella di Cosa Nostra, la rende ancora meta di “turismo mafioso” nonché vittima di stereotipi e pregiudizi. In questa stessa città però è in atto, ormai da moltissimi anni, una forte resistenza.

La cooperativa “Lavoro e non solo” si occupa di gestire numerosi terreni confiscati alla mafia e rappresenta un’opportunità di sviluppo legale in un contesto difficile. A fine luglio, assieme ad altri venti ragazzi e ragazze da tutto il Trentino-Alto Adige, sono stata ospite di questa cooperativa. Insieme abbiamo potuto dare un supporto concreto, lavorando volontariamente nei campi confiscati da loro gestiti. Per di più abbiamo avuto l´occasione di avvicinarci alla realtà siciliana, comprendere le dinamiche mafiose e scoprire che cosa significa fare antimafia quotidianamente e a livello locale. Troppo spesso il problema mafioso viene ignorato, relegato al passato e alla memoria istituzionale. Bisogna ammettere anche che l’attenzione da parte dei media e delle istituzioni, il più delle volte, non è sufficiente. Sembra che dopo gli attentati degli anni ‘90 la mafia siciliana non esista più e, quando avvengono fatti eclatanti ed impossibili da ignorare, il pensiero comune è che basti aumentare i controlli delle Forze dell’Ordine.
La scritta „Capitale Mondiale della Legalità“ campeggia sotto al cartello che indica l’entrata nella città di Corleone, in provincia di Palermo. Il colmo, per una città attualmente commissariata per infiltrazioni mafiose.
Lavorare la terra che prima apparteneva ad un boss mafioso, ci ha fatto rendere conto dell’attualità del problema e dell’importanza che questo ha, non solo per la Sicilia e il Meridione, ma per l’intero Paese. La mafia, infatti, non è un problema circoscritto, ma influisce, sebbene in maniera diversa, anche sulla quotidianità del Nord Italia. Solamente camminando per le strade siciliane, però, ci si accorge di che cosa voglia dire vivere con la mafia dietro l’angolo. È importante sottolineare che questa è sì un’organizzazione criminale, che possiede un ammontare di ricchezze inimmaginabili, attiva nell’economia legale e illegale, ma è anche una potenza locale, con una funzione regolatrice e garante della pace sociale. La mafia, infatti, a livello territoriale, riscuote ancora un forte consenso. Comprendere e accettare questa realtà, per una persona nata in un contesto diverso, può risultare molto difficile. Io, ad esempio, non riuscivo a spiegarmi come fosse possibile vivere conoscendo le facce dei boss del quartiere, senza sentirsi schiacciare o in dovere di denunciare. Un giorno, sul furgone di ritorno dai campi, un socio della cooperativa ha indicato una persona all’angolo della strada dicendo “guardatelo lì come ci osserva”. Quella persona all’apparenza sembrava un uomo qualunque, una persona assolutamente normale, malgrado fosse un uomo di mafia e, per giunta, uno tra i più importanti della città. Fare antimafia sociale e concreta in un luogo, dove la mafia è ancora di casa non è semplice. La cooperativa, fino ad oggi, non ha mai ricevuto intimidazioni dirette, ma ultimamente ha subito dei gravi danni. Nel mese di giugno, infatti, parecchi ettari di lenticchie sono andati bruciati per un danno di più di 20.000 euro. Ancora non è chiaro se sia stato un incendio colposo o doloso, ma il presidente Calogero Parisi sembra convinto che non si sia trattato di “autocombustione”.

La zona grigia

 
La Bottega della Legalità di Corleone, che contiene anche un punto vendita con prodotti dai beni confiscati e una mostra iconografica sulla mafia e l’antimafia siciliana, è un’altra realtà resistente nella città. La responsabile della Bottega, Annalisa Salpietra, oltre a guidare i gruppi di ragazzi all’interno del bene confiscato spesso li rende partecipi della sua lotta quotidiana. La Bottega della Legalità ha sede in un bene confiscato a Bernardo Provenzano e, ancora oggi, il fratello del boss abita proprio a due passi da lì. Quest’ultimo ha tentato varie volte di ostacolare l’attività della Bottega, parcheggiando la sua auto di fronte alla porta d’entrata e, per questo motivo, oggi si trovano ben due porte d’accesso. Questo è solo un indizio delle tante difficoltà in cui si incorre opponendosi apertamente alla mafia. Annalisa racconta che, da quando lavora lì, ha potuto notare dei cambiamenti da parte di alcuni conoscenti. Un amico di famiglia, con cui aveva sempre avuto un rapporto cortese, ha smesso di salutarla nel momento in cui ha scoperto che lavorava presso la Bottega. “Questa è la zona grigia: un sacco di persone che non si dichiarano né a favore né contrari alla mafia, non si schierano. Queste persone sono più pericolose di chi si inchina di fronte al boss” afferma Annalisa.
 
 
Riuscire ad attirare la cittadinanza nella Bottega, purtroppo, risulta ancora molto difficile. A sette anni dall’inaugurazione sono forse poco più di sessanta i corleonesi che hanno visitato la struttura, ma nonostante questo sempre più persone, provenienti dal resto d’Italia e dall’estero, passano di lì e si interessano al tema. Annalisa è entusiasta dei molti progetti che porta avanti soprattutto con le scuole perché, con il tempo, il consenso e le presenze da parte degli studenti stanno aumentando. Molti dei genitori però non si fidano a mandare i figli lì, probabilmente per non legittimare le attività della Bottega e l’antimafia in generale. Ultimamente però, racconta Annalisa, c’è una tendenza diversa e tra i bambini in visita ha potuto riconoscere anche parenti di famiglie mafiose. L’obiettivo della Bottega, infatti, non è “conquistare” solo la popolazione adulta, ma piuttosto cercare di mostrare ai più piccoli un’alternativa all’illegalità e alla mafia, dando loro gli strumenti per riconoscerla.
 

Mafia di tutti i giorni

 
Uno degli incontri che ha riscosso più interesse è stato un Laboratorio sulla percezione mafiosa tenuto da Alessio Costa, un ragazzo palermitano attivo da anni nell’ambiente. Lo scopo del laboratorio era quello di riflettere sui termini cultura, relazione e mafia. Dopo aver ragionato e discusso assieme, Alessio ha spiegato che questi tre concetti sono strettamente connessi l’uno all’altro. La mafia è un fatto di cultura nonché di relazione: il fatto che la mafia persista a livello territoriale significa che è qualcosa di radicato ed accettato anche a livello culturale e che si basa fondamentalmente sulla reciprocità.
La mafia è molto più di quanto si creda, ma soprattutto viene percepita come normale ed è, di fatto, parte del territorio.
In quest’ottica il fatto che la mafia continua ad esistere a livello quotidiano, come regolatrice del territorio e punto di riferimento, è perfettamente comprensibile. In molti quartieri quest’ultima rappresenta l’unica possibilità di riscatto, l’unico modo di avere un futuro, poiché lo Stato è percepito come distante e, il più delle volte, non esistono delle alternative valide. D’un tratto è stato possibile comprendere tutte le problematiche e tutte le difficoltà che si trovano nella lotta alla mafia, intesa non solo come organizzazione criminale, ma anche come modo di vedere il mondo. Alessio è convinto che “la mafia non è solo criminalità… ci sono persone stipendiate dalla mafia” e continua dicendo che “in certi quartieri, in certe zone e in certe strade l’emancipazione te la dà la mafia.” Più delle Forze dell’Ordine, più delle telecamere di sicurezza, sta quindi all’antimafia sociale portare ad un vero cambiamento, inclinando la normalità ed offrendo alternative. Questo accade in tutta la Sicilia, dove nei quartieri difficili gruppi di volontari si adoperano per offrire nuove prospettive a tutti quei ragazzi e ragazze che, in caso contrario, si adatterebbero all’incuria, all’abbandono e alla mancanza di spazi e possibilità. La mafia è molto più di quanto si creda, ma soprattutto viene percepita come normale ed è, di fatto, parte del territorio.
 

Armati d’istruzione

 
Una parte essenziale nel tentativo di sradicare la mafia a livello territoriale e quotidiano risiede senza dubbio nell’educazione, sebbene oggi tra i più istruiti ci siano anche moltissimi mafiosi. Tuttavia, l’importanza della scuola e dell’accesso alla cultura è divenuta evidente soprattutto parlando con Serafino Petta, 86 anni, ultimo sopravvissuto alla strage di Portella della Ginestra, avvenuta nel 1947. A quel tempo la Sicilia era divisa in due, da una parte i contadini che vivevano in condizioni di povertà assoluta, dall’altra i latifondisti e i mafiosi che possedevano le terre e sfruttavano i loro dipendenti. Nel 1947 si tornò a festeggiare il Primo Maggio, dopo la guerra e il fascismo, e proprio a Portella della Ginestra si riunirono circa 2.000 contadini provenienti dai tre paesini circostanti, anche per chiedere la redistribuzione delle terre incolte. Fu proprio su quella folla che si scagliarono delle raffiche di mitra che uccisero undici persone, mentre le altre si davano alla fuga. Su questa strage, ancora oggi, c’è un velo di mistero. Serafino lì c’era ed è riuscito a salvarsi. Nato a Piana degli Albanesi, Serafino è un Arbëreshë che da anni continua ad incontrare giovani da tutta Italia e ogni volta, descrive per filo e per segno la situazione, la sua rabbia e la sua paura. Il suo obiettivo, però, non è semplicemente quello di ricordare, ma di rendere più consapevoli i giovani. “La nostra generazione qualcosa vi ha lasciato: la democrazia, la Repubblica, il voto alle donne… ma soprattutto la scuola! Voi oggi avete tutto, noi non avevamo niente. Quando vi vedo qui, mi si apre il cuore a sentirvi parlare così bene, io invece mi devo sforzare” e si sforzava davvero, Serafino, che spesso involontariamente si rivolgeva a noi in albanese, la sua lingua madre. Parlare con lui, vedere sul suo viso il segno del tempo e del coraggio, è stato come ricevere un carico di responsabilità. Con le sue parole ha voluto mostrarci il mondo attraverso i suo occhi, regalarci la sua testimonianza e la sua voglia di lottare: “noi guardavamo solo alla terra, voi oggi con la scuola potete guardare in alto, in cielo”.
 

Passare dieci giorni a Corleone, districandosi tra il lavoro nei campi, momenti di svago e incontri con varie personalità dell’antimafia sia locale sia nazionale, ha reso possibile delineare un nuovo profilo della mafia. Non esiste solo il pizzo, l’uomo con la coppola o la lupara, come non esiste solamente il mafioso nelle banche, nelle aziende o nelle istituzioni. La mafia assume diverse facce e caratteristiche, si adatta striscia e, infondo, appartiene un po’ a tutti noi. Certo, quando si tratta di brutali omicidi, la mafia si tende a sentirla distante, ma se si va ad analizzare nel quotidiano la cosiddetta mentalità mafiosa, ci si accorge che la maggior parte delle persone potrebbe non sentirsene chiamata fuori. Per questo spendere volontariamente anche solo un briciolo del proprio tempo per supportare queste realtà, significa essere fautori di alternative e di antimafia sociale. Peppino Impastato, giovane attivista brutalmente ucciso dalla mafia nel 1978, diceva che “se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà” e in quel momento stavamo imparando, e a nostra volta insegnavamo la bellezza, così come fanno tutti coloro che ogni giorno, dal basso, cercano attivamente di delegittimare il potere mafioso offrendo alternative concrete all’illegalità, alla rassegnazione e all’abitudine.
 

Testo: Asia Rubbo
Fotografia:  Maria Iaquino & Alessandro Cusano

Quest’articolo è tratto dal numero di settembre 2017 del giornale di strada zebra.