Politik | Verso il Referendum

Sui tacchi alti e a testa alta

Il duo Biancofiore-Santanché riscalda per una sera la gelida Bolzano sventolando di nuovo il fantasma del Centrodestra unito.
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Foto: Salto.bz

Si conferma prediletta dalla Destra, anzi dalle Destre, la piazza Matteotti di Bolzano. Stasera – una gelida sera di novembre – va in scena uno show per certi versi inaspettato. C'è la campagna referendaria per il “No”, ma anche la presentazione del libro autobiografico della “pitonessa” Daniela Santanché, nonché un abbozzo dell'ennesimo tentativo di riunire il Centrodestra locale attorno a un progetto comune (certo più semplice da dire che da fare, ma per adesso si tratta solo di attaccare un avversario extraterritoriale, Matteo Renzi, quindi non ci sono soverchi problemi a riscaldare vecchie minestre). Officia l'incontro una smagliante e rigenerata Michaela Biancofiore, la quale prima dell'arrivo della “Santa” (un'abbondante mezz'ora sull'orario previsto) si affanna a far sedere i convenuti – “Vedete? Abbiamo portato anche le sedie...” – e sprona gli addetti a mandare in loop il primevo inno di Forza Italia (a un certo punto un'anziana signora, alquanto snervata e poco intenerita dai ricordi, sbotta: “che du' cojoni...”). S'è radunata ormai parecchia gente. Saranno almeno in trecento. Sono le 18.40, chi deve parlare sale sul palco, vengono diffuse anche le note dell'inno di Mameli e si può cominciare.

Biancofiore pare ispirata: “So che avete freddo, ma il freddo ci tempra. Sono particolarmente contenta di essere qui oggi, in questa storica piazza, perché per me la politica va sempre fatta nelle piazze, tra la gente. Voi siete quelli che mi danno la forza di andare avanti”. L'allocuzione tocca vari argomenti. Dal rimpianto per non essere riuscita a dare a Bolzano il sindaco che avrebbe meritato (gli astanti neppure ne ricordano il nome), alla stoccata per chi lo ha impedito (“non faccio i nomi, tanto avete capito di chi parlo”, gli astanti annuiscono senza dare l'impressione di aver capito, neppure stavolta, di chi si stia parlando), fino ai motivi che dovrebbero spingere le persone (anzi “il popolo”) a bocciare senza appello la riforma costituzionale: “Questa riforma è pessima e non vi darà da mangiare, perché non tocca, anzi non sfiora neppure i veri problemi del Paese”. Un po' inaspettatamente arriva anche la riabilitazione di Giorgio Holzmann (“Ringrazio Giorgio che ha fatto un passo indietro...”), quindi lo scontato tributo alla vittoria di Donald Trump: “Vedete, indosso una doppia spilletta con la bandiera italiana e quella degli USA. Io non sono certo una trampista dell'ultima ora. Ho seguito l'elezione del nuovo presidente americano all'ambasciata, insieme a 400 invitati. Con Trump ha vinto il popolo che non accetta la mediazione del politically correct, e sono convinta che questo presidente cambierà la storia del mondo” (l'ultima frase fa passare un brivido sulla schiena a molti, ma forse è solo per il freddo). Alla fine viene presentata la Santanché, una donna (“anzi un uomo...”, celia Biancofiore) che “è proprio come me, sempre sui tacchi alti e a testa alta”.

Prima che Santanché possa parlare, però, il protocollo prevede l'avvicendarsi sul palco di altri esponenti del Centrodestra. In primis di quello locale, riunitosi (come detto) proprio per l'occasione. Microfono dunque a Giovanni Benussi, che ricorda per l'ennesima volta il “suo” archeologico maggio di passione; a Enrico Lillo, che cerca di riportare il discorso sul referendum costituzionale; ad Alberto Sigismondi, che dà una stilettata ad Alessandro Urzì (assente e innominato) e porta i saluti di Giorgia Meloni; a Giovanna Arminio, paladina della famiglia tradizionale e dei valori cattolici; al “recordman” della Lega (e poi espulso) Marco Galateo, che dice di rivolere un Paese normale (e per lui normale significa essenzialmente senza i profughi, anzi i “falsi profughi” portatori di criminalità: “non scappano dalle guerre, state attenti, loro le guerre le vogliono portare da noi”); infine tocca all'eurodeputato milanese Carlo Fidanza, il quale fa forse il ragionamento più politico di tutti, tracciando un parallelismo tra la sconfitta dei falsi democratici oppostisi inutilmente all'elezione di Trump e la democrazia falsata da chi vorrebbe imporre in Italia la riforma della Costituzione. Quindi eccola, la “pitonessa”, per l'occasione accompagnata da Augusto Minzolini (il noto e assai discusso ex direttore del TG1, attualmente senatore in quota Forza Italia a coronamento di una carriera professionale tutta sotto il segno dell'imparzialità).

Come ci si poteva aspettare, Santanché non ha intenzione di ricorrere a fini espedienti diplomatici: “Dovete andare a votare e dovete votare NO, così facciamo una bella croce sulla testa del boy scout di Firenze, della signora Etruria [ovvero la ministra Maria Elena Boschi, ndr] e ce li togliamo finalmente dalle palle”. Seguono un delicato accenno alle problematiche inerenti le minoranze (“Quando sono a Bolzano non voglio che mi parlino in tedesco, qui siamo in Italia”, “Mi sono rotta di dover chiamare gli zingari con un altro nome, tipo Rom, o i terroristi islamici con una parola più corretta, come jihadisti, che però mia nonna non capirebbe”), il richiamo ai rischi della deriva autoritaria espletata dal combinato disposto della riforma costituzionale e della nuova legge elettorale (“sarebbe una strada senza ritorno, dobbiamo bocciare questa legge e poi farne subito un'altra, dopo le nuove elezioni”) e una forte riaffermazione della politica identitaria (“mi dicono che io sia divisiva, ma sono divisiva – e me ne vanto – perché io so da che parte stare, il Centrodestra si congedi dalla melassa in cui è finito, torni coeso intorno a un programma di dieci punti e butti fuori chi non ci sta”). Il successo di Trump le consente quindi di sparare contro i politici di professione, “quelli che nella vita non hanno mai fatto altro che stare seduti su una cadrega” (evidentemente si è scordata di avere accanto la Biancofiore, la quale però non sembra per nulla turbata), contro le dinastie (“anche la successione di Berlusconi non dovrebbe passare per una scelta dinastica”) e di lanciarsi infine in una fiera lode del populismo, “il populismo significa ridare voce alla classe media, alla gente che magari non avrà titoli di studio, ma che non per questo deve avere un complesso d'inferiorità nei confronti di chi appartiene ai soliti circoli di intellettuali”. “In politica come nella vita – l'ultima frase è di quelle da affidare ai posteri – comanda chi paga”.

S'è fatto tardi, sono quasi le otto. Il freddo ha ormai decimato il pubblico. La “Santa” si appresta a firmare i libri venduti (una scarsa ventina, del resto anche chi aveva magari intenzione di acquistarlo non avrà voluto farsi vedere col tipico segno di riconoscimento cartaceo adoperato dagli odiati intellettuali...) mentre in giro si notano vecchie conoscenze, come la Consigliera provinciale Elena Artioli, rappresentante di uno dei tanti pezzi di antiche unioni andate in frantumi. Chiusura con il bis dell'inno di Mameli e qualche selfie di circostanza tra protagonisti e superstiti dell'una o dell'altra scuderia.