Gesellschaft | L'intervista

Viaggio alla fine del mondo

Tommaso Gandini, studente a Bolzano e attivista, racconta la sua esperienza nel campo profughi di Idomeni, al confine fra la Grecia e la Macedonia.

Ventun anni, originario di Bologna, ma trapiantato a Bolzano per motivi di studio (frequenta la facoltà di Design all’unibz), un fiume di dread legati insieme sulla testa, Tommaso Gandini è un attivista navigato, nonostante la giovane età. Insieme a diversi centri sociali del nord est, delle Marche, di Napoli e altre “unità” singole, rubricati sotto la voce “Agire nella crisi”, Gandini ha seguito una serie di percorsi, chiamati “Over the Fortress”, recandosi per due volte nel campo profughi allestito a Idomeni, dove continuano a susseguirsi le proteste: nei giorni scorsi almeno 200 persone, come dichiarato all’Ansa da Loris De Filippi, presidente di Medici senza Frontiere, sono rimaste ferite da gas lacrimogeni e altre 37 da proiettili di gomma sparati ad altezza di bambino. Come noto la Grecia ha iniziato a respingere i profughi in seguito al recente accordo tra Ue e Turchia, secondo il quale quest'ultima si è detta disposta a riprendersi indietro tutti i migranti arrivati in Grecia dalla Turchia. Per ciascun rimpatriato, l'Europa si impegna ad accogliere un rifugiato che ha fatto domanda nei campi profughi turchi. Gandini ha documentato sulla piattaforma meltingpot.org la sua esperienza diretta nel campo.

Foto di Tommaso Gandini

Gandini, perché ha voluto andare a Idomeni?
Per noi è importante esserci e portare un messaggio politico. Dopo il monitoraggio che abbiamo fatto sulla rotta balcanica abbiamo deciso di raccogliere beni di prima necessità da portare a Idomeni, il campo profughi più grande d’Europa, simbolo dell’inizio del blocco della balkan route.

In quanti eravate a partire?
Eravamo convinti che saremmo state 30-50 persone, invece sono piovute da ogni parte le iscrizioni, abbiamo dovuto persino ignorare 250 richieste. Si sono fatte avanti diverse realtà dei centri sociali di Milano, di Parma, di Roma, ma anche la chiesa pastafariana e gruppi scout. Mi ha accompagnato nel viaggio anche Lucia, una studentessa dell’unibz, peraltro fino a questo momento mai impegnata politicamente o in ambito umanitario. La presenza è stata forte e del tutto inaspettata.

Come vi siete finanziati?
Abbiamo racimolato con un crowdfunding qualche migliaio di euro, con una parte della quota abbiamo pagato il viaggio e i furgoni. Ora, con i soldi che sono avanzati dalla raccolta fondi si pensa già ad altre progettualità, è già ripartita una campagna “No Border Wi-Fi” a Idomeni per potenziare con una parabola il segnale wi-fi, indispensabile per le persone che vivono nel campo. In contemporanea riparte la staffetta e il crowdfunding.

Avete avuto difficoltà ad arrivare a Idomeni?
Stranamente no, siamo arrivati a Salonicco, che si trova a circa un’ora da Idomeni, abbiamo dormito in un orfanotrofio occupato, dove vivono tante famiglie di migranti, siriani e sans-papier. Arrivati a Idomeni, dove sono state sistemate 9-10mila persone, abbiamo preso atto delle pessime condizioni in cui vivono i migranti, ci sono pochi bagni e nessuna doccia, ed è difficile anche per i volontari poter vivere lì.

Foto di Tommaso Gandini

Com’è stato l’impatto appena giunti sul posto?
All’inizio abbiamo avuto cinque giorni di pioggia e fango, le migliaia di persone che affollavano il campo non avevano niente di asciutto, tanto che molti bambini in quei giorni hanno preso l’epatite A. C’è anche da dire che i medici sono molto pochi e la maggior parte delle volte sono disponibili solo per le emergenze. Molto vicino all’entrata del campo c’è una ferrovia che si trova sul confine, che è il luogo dove di solito avvengono le proteste, all’orizzonte un cancello, che è stato scardinato, durante una di queste contestazioni, dai migranti. 100 persone sono riuscite a passare il confine, ma la polizia ha risposto con i gas lacrimogeni, ci sono stati alcuni feriti, molti sono stati catturati dalla polizia macedone, nota per essere particolarmente violenta, abbiamo infatti notizie di persone a cui è stato fatto l’elettroshock o a cui sono state spaccate le gambe prima di essere rimandati in Grecia.

Avrà avuto modo di parlare con i migranti, cosa le hanno chiesto?
Vogliono sapere soprattutto se si aprirà il confine e intanto si trovano a vivere in condizioni terribili. I campi intorno a Idomeni sono, se possibile, peggiori, militarizzati, non ci sono le ONG e non è possibile cucinare da soli i pasti. Molti migranti non vogliono fare domanda di riconoscimento d’asilo in Grecia perché ciò significherebbe restare a lungo lontano dai propri cari senza contare che queste persone sono perfettamente consce della situazione economica in cui verte il paese e di come sarebbe complicato riuscire a trovare un lavoro. Anche la proposta della relocation è per loro inaccettabile perché verrebbero posizionati in un paese europeo a caso e potrebbero trascorrere diversi mesi fino al completamento dell’iter della domanda di riconoscimento d’asilo. Molte di queste persone hanno evidentemente perso ogni speranza, c’è chi mi ha detto “preferirei essere rimasto in Siria a morire sotto le bombe che vivere in questo limbo”. Di contro, però, esiste anche una componente “irrazionale” che porta a credere alle continue voci sul fatto che il confine dovrebbe aprirsi da un momento all’altro.

E cosa accade in questi casi?
Qualcuno, una volta, ha diffuso un volantino sul quale era illustrato il modo per entrare in Macedonia attraverso un fiume. 1500 persone hanno quindi deciso di attraversarlo, sebbene alcuni attivisti abbiano tentato di dissuaderli vista l’estrema pericolosità dell’impresa. Fra i migranti c’erano famiglie con neonati e bambini, persone su sedie a rotelle. Le immagini di quel giorno hanno fatto il giro del mondo.

C’è un episodio, in particolare, che vorrebbe raccontare legato alla sua permanenza nel campo profughi?
Ecco, abbiamo conosciuto alcuni ragazzi siriani, tutti sotto i 30 anni, un fratello e una sorella e una donna con un bambino di due anni e mezzo. Nel documentare la loro storia mi hanno chiesto di non scrivere i loro nomi perché hanno detto alle loro famiglie, che vivono ad Aleppo, che la situazione è tranquilla quando invece sono bloccati a Idomeni. Cercavano degli antibiotici perché uno di loro aveva mal di denti, li abbiamo accompagnati a fare la fila per farsi visitare dal medico dove sono riusciti a ottenere ciò che cercavano, insieme a qualche antidolorifico, uno spazzolino e del dentifricio. Quando hanno chiesto dove avrebbero potuto lavarsi i denti gli è stato risposto “sotto la pioggia”. Questa è la vita che accade a Idomeni anche se questa storia, almeno, ha un lieto fine. Abbiamo infatti saputo che i nostri amici hanno trovato una casa a Salonicco. Un altro incontro molto commovente è avvenuto con un ragazzo iracheno e il suo compagno di tenda. Un ex-peshmerga che ha combattuto in prima linea contro Daesh vicino a Mosul. I due non solo hanno insistito per offrirci la cena, ma addirittura più volte tentato di regalarci delle coperte, temendo che non fossimo abbastanza attrezzati.

Foto di Tommaso Gandini

Ha trovato una realtà diversa a Idomeni rispetto a quella raccontata dai media?
Il fatto è che queste persone non sono terroristi ma famiglie che non sono e non si sentono delle vittime, che non sono in cerca di carità e che non vedono l’ora di integrarsi nella società, questo è il messaggio che andrebbe diffuso e non quello secondo cui si tratta di povera gente abbandonata a se stessa. Fra loro ci sono cuochi, insegnanti, ingegneri che fino a pochi anni fa entravano e lavoravano facilmente in Europa. Queste persone hanno un’enorme dignità. Il punto è che il confine si crea quando nasce la paura di dover condividere privilegi con delle persone sulla cui pelle di fatto stiamo lucrando. Come Over the Fortress continueremo a essere in prima linea e non solo a Idomeni, siamo stati anche al Brennero domenica 3 aprile per manifestare contro la chiusura dei confini.

A proposito della manifestazione del 3 aprile, lei è sceso in “piazza” per raccontare anche la sua esperienza a Idomeni, mancava tuttavia una marcata presenza da parte dei partiti politici.
In un certo senso è stata una fortuna, non ho più alcuna speranza dal punto di vista politico, basta guardare lo stesso patto criminale siglato fra Europa e Turchia. Anche in Alto Adige sappiamo che ci sono già molte persone che vivono all’addiaccio fuori dalle maglie dell’accoglienza, la Provincia, di fatto, non ha saputo gestire propriamente la situazione. Quello che mi preme dire è che la nostra manifestazione ha raccolto una grande partecipazione, veicolando contenuti reali. Una piazza pronta a metterci il corpo e la testa.

Tornerà a Idomeni?
Assolutamente sì, partirò di nuovo il 25 aprile.