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Lanciare i Tomahawk per comprarne altri

Giovanni Giacopuzzi segue la Siria per l’Appm. "I venti di guerra? Atti dimostrativi, Usa senza strategia. Nel Paese una guerra liquida internazionale: fa vendere armi".
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Foto: Getty Images

saltobz: Giovanni Giacopuzzi, con Mauro di Vieste si occupa del dossier Siria per l’Associazione popoli minacciati a Bolzano. Sul Mediterraneo orientale spirano venti di guerra che coinvolgono anche l’Italia, portaerei naturale protesa verso il Medio Oriente. Tutti si chiedono cosa succederà, se l’attacco minacciato da Trump arriverà davvero. Cosa ne pensa lei, che da anni è un appassionato di geopolitica e se ne interessa per l’Associazione?

Giovanni Giacopuzzi: Premetto che naturalmente non sono un professionista del settore, sono pubblicista e freelance e il mio lavoro è nell’assistenza alle persone con handicap. Tuttavia mi interesso di Siria dall’inizio, nel 2011. Parlando di questo Paese quindi e della sua storia recente travagliata bisogna distinguere. Le guerre in Siria sono almeno 4-5, si svolgono in contemporanea e ci sono anche infra-guerre come i conflitti interni tra chi combatte sullo stesso fronte, ad esempio tra le fazioni islamiste anti Assad.

Quali sono le 4-5 guerre in contemporanea?

La prima ovviamente è quella contro il presidente siriano Assad, iniziata come rivolta in risposta alle repressioni per le proteste, in una delle cosiddette “primavere arabe” su cui ci sarebbe molto da discutere. Ben presto però è iniziato l’intervento esterno.

Oggi vediamo fronteggiarsi in maniera più o meno palese due coalizioni che sembrano un lascito della guerra fredda. Da una parte la guida russa, dall’altra quella statunitense. È così?

Sì. Da una parte la Russia, che è intervenuta militarmente nel 2015 per impedire il tracollo di Assad, e poi l’Iran e gli sciiti libanesi, Hezbollah, questi ultimi due molto temuti da Israele che ha da poco effettuato un attacco a una base militare in Siria attribuita agli iraniani. Dall’altra ci sono Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Paesi del Golfo che in realtà hanno posizioni diverse tra loro e la Turchia. Si gioca quindi una partita per una zona strategica, uno scacchiere di grande importanza nel Medio Oriente. C’è anche la questione dei gasdotti e oleodotti. Per l’Iran rappresenterebbe l’accesso al Mediterraneo, utile per portare e vendere il gas in Europa, in concorrenza con quello dei Paesi del Golfo. Di qui la rivalità.

L’intervento esterno. Ma di chi precisamente?

Nella guerra civile è iniziato l’intervento da fuori, non si sa se pianificato da tempo, sull’onda del fondamentalismo politico islamico che è una forza d’urto che ha fatto la sua comparsa nella storia ancora nel 1980, nel conflitto in Afghanistan tra Urss e la guerriglia che ebbe appoggi non ufficiali da una vasta serie di Paesi, fra cui Usa e Arabia Saudita. Quindi, nel caso della Siria, l’appoggio alle milizie islamiche, ora appare abbastanza chiaro, è venuto dal mondo arabo, ad esempio dall’Arabia Saudita, dalla Turchia e dai Paesi occidentali, come Stati Uniti, Francia, Regno Unito.

Ed è questa solo una delle guerre che si sovrappongono e nelle quali le alleanze sono fluide, in cui ciascun attore gioca una sua partita?

Esatto. Le altre sono quella tra Turchia e l’insieme che io intendo come Kurdistan, drammaticamente venuta alla ribalta con l’invasione di Afrin. Poi quella contro l’Isis, che è stato uno specchietto per le allodole. Adesso lo si capisce, non è dietrologia. L’Isis, nato da una filiazione da Al-Qaida, è stato la più incredibile costruzione militare dal dopoguerra della seconda mondiale. Come è stato possibile che si sia formato un esercito che almeno ufficialmente non avesse un alleato, ma tutti contro? Invece si sa per certo che riceveva armi a destra e manca. Io credo che senza la Turchia, senza il retroterra logistico turco non sarebbe mai esistito. Certo, le armi hanno potuto prendere strade diverse, anche quella dalla Giordania. E va ricordato che gli unici che davvero hanno combattuto l’Isis sono state le forze curde, del Pkk definito terrorista da Erdogan e le forze di autodifesa del Rojava. Loro hanno protetto gli yazidi.

Quindi si tratta di una guerra internazionale, ma a bassa intensità, che si spera non degeneri mai in qualcosa di peggio?

È una guerra di scatole cinesi. Ogni volta che passa il tempo non si sa come evolve. Le alleanze sul campo sono cambiate in corso d’opera, pensiamo alla Turchia che è ostile a Assad, ha fatto un’intesa con la Russia per avere mano libera sui curdi. È la prima vera guerra liquida, per dirla con Bauman. Che ha coinvolto il maggior numero di Paesi dal 1945.

Il mondo sta assistendo però a quella che sembra una pericolosa escalation, seppure all’annuncio precipitoso di Trump sia seguita una giornate di (apparente) distensione. Tutti cercano di capire cosa succederà, se sarà un azione singola, senza vittime, come nell’aprile 2017 con 59 missili Tomahawk su una base siriana, anche in quel caso per un presunto attacco chimico di Assad. Oppure se si arriverà a uno scontro vero con tutti gli attori in campo. Impossibile prevedere qualcosa?

In questo momento io penso che quelle di Trump siano minacce. L’attacco del 2017 era stato dimostrativo. Da qui ad arrivare a una guerra vera ce ne vuole, non credo sia nell’interesse di nessuno. Bisogna poi stare attenti, la guerra moderna è innanzitutto business. E gli affari funzionano meglio finché i conflitti restano a bassa intensità. Sono una grande vetrina di armi, che sono un grande mercato e si producono, comprano e vendono.

Crede all’accusa dell’attacco chimico fatta da Usa, Francia e Gran Bretagna verso il presidente siriano, circostanza negata con forza dal suo governo e dalla Russia?

Non saprei, che elementi ho per giudicare. È plausibile che Assad abbia o abbia avuto armi chimiche, ma anche i ribelli islamisti hanno dimostrato di averle avute e usate in passato. È logico quindi ipotizzare che il presidente abbia tali armi, ma anche pensare che questa sia una fake news.

Dunque i Paesi che guidano la Nato in cui l’Italia è spesso partner di seconda fila, tra l’altro in una fase di piena incertezza istituzionale,  vogliono solo mandare un messaggio a Putin?

Potrebbe essere un atto simbolico, un modo per dire “noi possiamo”. Bisogna stare attenti a cosa avverrà nelle prossime ore, se sarà un’operazione contro obiettivi solo siriani e iraniani o se rischierà di coinvolgere forze russe. Quanto all’Italia, non ha una strategia sulla Siria. Ma quel che è peggio è che non ce l’hanno nemmeno gli Stati Uniti. Trump prima ha detto che voleva ritirare le forze americane presenti sul territorio siriano e nei cantoni curdi, ora ha parlato di intervento.

L’operazione quindi non avrebbe un significato militare e geopolitico?

Non avendo appunto gli Usa una strategia, sarebbe solo un atto di forza. Ma un tale intervento sul piano militare e geopolitico se non seguito da qualcosa, se non ha un obiettivo che sia favorire uno sforzo diplomatico, aiutare qualcuno sul terreno, ottenere un risultato sul campo, non ha alcun senso, se mai avesse un senso buttare altra benzina sul fuoco. Né Stati Uniti né Francia hanno alleati sul campo. Perché seppur appoggiano militarmente il movimento curdo e le forze democartiche siriane, non condividono però il progetto politico e pluralistico del confederalismo democratico curdo. Il paradosso, alla apparenza, è che gli Stati Uniti non hanno mai accettato la presenza del movimento curdo al tavolo dei negoziati di Ginevra, mentre la Russia dal 2013 lo richiede. Questo ha che fare con la Turchia, nemico acerrimo di qualsiasi processo democratico nell'area, ancor più se di matrice curda. Il Paese di Erdogan è membro della Nato e alleato tattico con la Russia da cui ha avuto il via libera per invadere Afrin.

E quindi perché lanciare un’altra salva di missili, se non, forse, per svuotare gli arsenali di Tomahawk, che costano l’uno 1,87 milioni di dollari, e ricomprarne altri, per la gioia di chi li produce e dell’industria bellica in generale?

Eh sappiamo che il settore rende. Un broker della borsa americana diceva che chi fa affari d’oro sono le imprese militari. A diversi livelli, anche le armi leggere sono molto vendute in questi conflitti.

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Sell Woll Sa., 14.04.2018 - 13:42

Also einfach Putin, Assad und Erdogan das Feld überlassen, nur damit jede Gefahr einer Bereicherung im Westen ausgeschlossen werden kann

Sa., 14.04.2018 - 13:42 Permalink
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Thomas Benedikter So., 15.04.2018 - 10:02

Pur condividendo buona parte della tua analisi, caro Giaco, la risposta finale sugli affari con gli Tomahawk americani è disbrigativa e erronea. Stimola solo il solito scatto ideologico prefabbricato fra un certo ambito di lettori, che del resto non criticano mai la fornitura di elicotteri italiani a Erdogan e altri armi leggere italiane a mezzo mondo. In questo caso è troppo ingenuo dire: dovremmo pregare il signor Asad di smetterla con le armi chimiche o forse anche di massacrare la popolazione civile con armi convenzionali. È troppo lontano dalla realtà di dire: dovremmo portare tutti al tavolo di negoziato di pace con le sole parole. L'argomento della produzione di Tomahawk è anche contradditorio: se fosse questo l'interesse di Trump perché non ne ha fatto uso da un anno a questa parte? Perché colpisce i magazzini di armi chimiche solo una volta ogni anno, benché fossero bandite da tutto il mondo dal 1997? Benché la stessa Siria ha firmato la Convenzione contro le armi chimiche nel 2013? Come sanzionare la violazione di questa Convenzione alle spese dei civili siriani se non con uno sforzo internazionale di coercizione nei confronti di un regime che ha dimostrato da 7 anni che non ha nessuna remora di massacrare 400.000 dei propri cittadini? Troppo sbrigativa e faziosa questa solita asserzione che gli interventi militari siano nient'altro che un marchingegno per vendere altri armi.

So., 15.04.2018 - 10:02 Permalink
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Thomas Benedikter So., 15.04.2018 - 10:40

Una precisazione assolutamente necessaria. Se si legge bene il testo delle risposte di Giacopuzzi fino all'ultima risposta non afferma che gli USA abbiano compiuto questo attacco per far vendere più Tomahawk alla ditta produttrice, ma semplicemente afferma che una guerra comunque fa vendere armi. Il titolo scelto dal giornalista "Lanciare i Tomahawk per comprarne altre" è un'insinuazione scorretta e sbagliata del giornalista che non rende il senso delle affermazioni di Giacopuzzi. Purtroppo è un esempio di come un titolo mal scelto possa sviare e ingannare il lettore. Da parte di SALTO siamo abituati a metodi giornalisticamente più corretti.

So., 15.04.2018 - 10:40 Permalink
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Paolo Gelmo Mo., 16.04.2018 - 12:48

Uno degli aspetti importanti è la mancanza di prove nel giudicare. Quali elementi abbiamo per accusare un paese di fabbricare, possedere e usare armi chimiche? Trump, Macron e la May dicono di avere le prove.. ci dobbiamo credere .. lo dobbiamo fare per fede? .. con il precedente delle famose armi di distruzione di massa dell’Iraq?

Le prove devono essere pubblicate e confermate da istituzioni indipendenti.. lo si dovrebbe pretendere da chi afferma di averle.. e anche da chi da appoggio come il nostro governo.

Mo., 16.04.2018 - 12:48 Permalink