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Caso Schwazer, la Wada non si piega

Più di 4 ore di udienza per l'incidente probatorio. L'Agenzia mondiale antidoping insiste sulla regolarità delle analisi e fa la sua mossa. L'ex marciatore: "Non mollo".
Brandstätter, Schwazer
Foto: Ansa

I livelli di concentrazione di Dna nelle provette non sono “compatibili fisiologicamente” con Alex Schwazer, ma la presunta manipolazione è ancora tutta da dimostrare. Ieri (12 settembre) in tribunale a Bolzano, è andato in scena un lungo confronto fra il comandante del Ris di Parma, Giampietro Lago, il quale ha illustrato la perizia che potrebbe “scagionare” l’ex marciatore altoatesino, e il perito della Wada (L’Agenzia mondiale antidoping), Emiliano Giardina. Il colpo di teatro è arrivato appena iniziata l’udienza, con la Wada, rappresentata dall’avvocato Stefano Borella, che ha presentato gli esiti di un esame fatto a Losanna nel 2017 sull’urina di Schwazer prelevata in occasione di un controllo antidoping il 27 giugno 2016. Un documento in realtà incompleto e mai mostrato in precedenza - contestato dall’avvocato della difesa Gerhard Brandstätter proprio perché presentato in una fase avanzata del procedimento - che secondo la Wada dimostrerebbe come il valore della concentrazione di Dna, rilevato in quell'occasione, sia di 14.000 picogrammi a microlitro, oltre cento volte quello considerato normale per una persona dell’età di Alex. Scopo dell’organismo internazionale antidoping è quello di provare che Schwazer ha sempre avuto valori altissimi di Dna nelle urine e che quindi i 1.200 picogrammi a microlitro riportati nella perizia di Lago non sarebbero affatto anomali. Il documento è stato ammesso con riserva dal giudice per le indagini preliminari, Walter Pelino.

Se ci sarà da aspettare ancora, aspetteremo. Sono più di tre anni che lo facciamo, sei mesi in più non cambierebbe nulla. Quello che è sicuro è che non molleremo. La mia vita va avanti a prescindere da questo processo, non sono qui per cambiare la mia vita, sono qui per dimostrare la mia innocenza (Alex Schwazer)

Brandstätter ha quindi chiesto al gip un supplemento di perizia, per avere maggiori dati statistici sul comportamento della concentrazione di Dna nelle urine durante il congelamento, e una rogatoria internazionale per acquisire alcune mail, quelle intercettate dagli hacker russi, in cui si fa esplicito riferimento a un “complotto” contro Schwazer. L’ex campione olimpico, presente ieri in aula, non ha perso lo spirito combattivo nonostante l’ultima mossa a sorpresa della Wada. “Siamo a un buon punto, però sicuramente non ci basta”, ha detto ai giornalisti a margine dell’udienza per l’incidente probatorio durata oltre 4 ore, “sul piano scientifico noi vogliamo avere la certezza totale. Se ci sarà da aspettare ancora, aspetteremo. Sono più di tre anni che lo facciamo, sei mesi in più non cambierebbe nulla. Ma una cosa è sicura: non molleremo. La mia vita va avanti a prescindere da questo processo, non sono qui per cambiare la mia vita, sono qui per dimostrare la mia innocenza”. A fargli eco Sandro Donati, l’ex allenatore, anche lui ieri a Bolzano per il nuovo capitolo giudiziario: “Questa vicenda sarà un punto di riferimento dal quale inizierà una nuova discussione ed il sistema antidoping dovrà cambiare profondamente. Si tratta di un sistema medievale che non garantisce gli atleti. Se si arriva alla fine io chiederò il risarcimento. Io dirò tutto, se qualcuno non mi mette una pistola in bocca prima, spiegherò tutto”. “Alex e Donati meritano verità e giustizia” ha concluso l’avvocato Brandstätter, “sono state perpetrate ai danni di questi signori delle ingiustizie che hanno rilevanza penale a loro volta”.