Umwelt | Ambiente

Clima: i nodi da sciogliere

Da mesi ogni venerdì milioni di giovani e adulti si mobilitano per difendere il diritto al futuro. La Cgil ha aderito a questo movimento e lo sostiene.
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di Alfred Ebner

Dal 20 al 27 settembre è in programma una settimana di mobilitazione per fare pressione sul vertice sul clima delle Nazioni Unite a New York ed è previsto uno sciopero per venerdì 27 settembre. "Il clima non è una priorità per i soli ambientalisti, anzi. La lotta per la giustizia climatica è innanzitutto una battaglia politica perché il riscaldamento globale ha gravi contraccolpi sui diritti umani, sulla giustizia sociale, sull'equità all'interno dei paesi, fra paesi e fra diverse generazioni e sul lavoro" scrive Maurizio Landini in una nota agli attivisti della Cgil.

I sindacati e i lavoratori devono svolgere un ruolo centrale nelle discussioni sull'ambiente e sul clima. Dopo tutto, le questioni ambientali sono sempre anche questioni distributive e quindi riguardano da vicino i dipendenti. Va anche detto che se tutti concordano che esiste un'emergenza, le risposte da dare non sono univoche. Questo vale anche per il sindacato. Fatto positivo rimane che negli ultimi anni i sindacati sono tornati ad essere sensibili ai problemi ambientali e sociali connessi. La necessaria ristrutturazione dell'economia pone ovviamente qualche dilemma. La disputa tra crescita economica e una impostazione spesso troppo rigida o a volte anche “massimalista” della modernizzazione ecologica rimane una sfida per le parti sociali.

I sindacati industriali, per esempio, rappresentano lavoratori ben retribuiti e sindacalmente organizzati, occupati in diversi settori non sostenibili dal punto di vista ecologico. Così le prospettive a medio termine in alcuni settori, come l'energia fossile o l'industria automobilistica, sinora trainante per l'economia, e il lavoro sono incerte. D'altro canto per l'ingegneria meccanica, l'industria elettrica e il settore energetico si apriranno nuove opportunità. Si tratta di problemi che non sono risolvibili con un colpo di spugna, ma che hanno bisogno di tempi di transizione anche medio-lunghi e che vanno governati con il buon senso.

Siamo consapevoli che la trasformazione socio-ecologica avrà perciò successo solo se saranno coinvolti tutti gli attori rilevanti. Sono soprattutto le classi medio-basse che risentono maggiormente delle conseguenze dei cambiamenti in atto. Eventuali perdite del lavoro e problemi sociali toccano in profondità il singolo, ma anche chi rappresenta il lavoro. Ma anche eventuali catastrofi ambientali toccano maggiormente i più poveri. Servono inoltre risorse ingenti per la trasformazione socio-ecologica che dovrà chiamare maggiormente in causa i più ricchi.

Va trovata una sintesi tra produzione di beni e consumo ecologico, un nuovo sistema per la distribuzione del reddito e della ricchezza, nonché una maggiore democrazia nelle decisioni sulle strutture economiche e sui mezzi di produzione. Va chiarito poi che non tutta la modernizzazione ecologica è quella che molti auspicano. Le macchine elettriche di cui si parla molto non sono strettamente eco sostenibili, perché hanno comunque bisogno di molta energia e risorse naturali!

Quando parliamo di crisi climatica anche il tema delle materie prime va un po' sottotraccia, anche se la loro estrazione è talvolta accompagnata da notevoli conflitti ed è poco sostenibile dal punto di vista ecologico. Se teniamo conto anche di queste circostanze, la conclusione logica sarebbe una produzione industriale notevolmente ridotta nei paesi sviluppati. Dall'alto canto una buona occupazione continua ad essere centrale per i dipendenti, assieme ad un'equa distribuzione del lavoro retribuito. Salvaguardare tutti posti di lavoro in una società ecologicamente sostenibile, che inevitabilmente dovrà rivedere il modello di sviluppo, è una questione delicata per il sindacato.

Se la prospettiva è una decrescita dobbiamo mirare ad un modello di prosperità che soddisfi i bisogni individuali e collettivi in modo socialmente ed ecologicamente compatibile.

Serve una nuova cultura del benessere. Non basta limitarsi ai consumi "verdi" e a qualche sacrificio individuale più o meno simbolico, ma la riflessione va allargata anche ai mezzi di produzione e alla progettazione degli investimenti. Lo stato deve incidere maggiormente in alcuni settori strategici - come la fornitura di energia pubblica, i trasporti pubblici e le reti digitali - per riorientare il nostro modello di sviluppo. Anche il patrimonio pubblico, come alloggi sociali, verde pubblico e infrastrutture, va potenziato e valorizzato.

La critica alla crescita attuale si sta allargando perché sempre più persone sentono il bisogno di una nuova qualità di vita, che va ben oltre il consumismo. La risposta alla domanda "Più tempo o più soldi" mostra cambiamenti interessanti, soprattutto nei gruppi salariali medi e alti: sempre più dipendenti chiedono una riduzione dell'orario di lavoro. E proprio la riduzione dell'orario sarà un elemento importante nella ristrutturazione dei settori ecologicamente problematici.

Senza voler tornare al secolo scorso, va comunque considerato che una svolta socio-ecologica è anche una lotta conto la concentrazione del capitale - vedi banche e multinazionali - e contro i politici che la sostengono. Questioni quali la riduzione dell'orario di lavoro, un maggiore orientamento per una produzione "utile", la riparazione dei beni usati e contro l'obsolescenza programmata e un rinnovato ruolo del settore pubblico sono anche scelte politiche. Sono questioni sulle quali le associazioni che combattono per il clima e la decrescita e i movimenti dei lavoratori possono incontrarsi e lavorare. Il dialogo sul tema del cambiamento climatico con i rappresentanti di un'ampia gamma di istituzioni, Ong e organizzazioni è già avviato da tempo nel nostro sindacato.

Ma per un'alleanza duratura anche i movimenti ambientalisti devono confrontarsi con la realtà e considerare anche i problemi dei lavoratori di molti settori, dal carbone all'acciaio, dalla chimica al settore dell'automobile.