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Politik | Avvenne domani

Lascia o raddoppia?

Storia, storie e storielle sul doppio passaporto.

La querelle sul doppio passaporto che insaporisce con i toni di una bella contesa etnica l'esangue dibattito della campagna elettorale per le provinciali del 21 ottobre, potrebbe sembrare una "new entry" dall'affollato proscenio delle beghe nazionalistiche altoatesine. Nulla di più errato. In realtà non è che l'ultima declinazione di una questione, quella della cittadinanza, che sta per compiere, a Bolzano e dintorni, il secolo di vita.

Storia

È infatti con l'occupazione italiana del vecchio Tirolo sino al displuvio del Brennero, novembre 1918, che cominciano a sorgere i primi problemi. Le terre conquistate rimangono in una sorta di limbo giuridico sino al trattato di pace firmato il 10 settembre del 1919 e con il quale l'assegnazione all'Italia diviene ufficiale. In linea generale l'acquisto della cittadinanza italiana per i residenti nei comuni delle nuove province è praticamente automatico, come dispone una norma del 1922, ma sono tantissimi i casi che sfuggono alle previsioni delle leggi vigenti ed altrettanti quelli dei cittadini che acquistano la cittadinanza nel nuovo Stato austriaco o di quello germanico, ma che rimangono come stranieri in Alto Adige. Dopo l'Anschluss del 1938 andranno a costituire, assieme, una robusta colonia di appartenenti al Terzo Reich che finirà per essere una spina nel fianco del regime fascista in Alto Adige. Il progetto di un loro rimpatrio di massa, sollecitato più volte dalle autorità di Roma agli alleati di Berlino, verrà ingoiato dal più colossale progetto di deportazione delle intera minoranza sudtirolese, pianificato con le opzioni di cittadinanza, decise nella capitale tedesca nel giugno del 1939.

La questione, a questo punto, diviene di dimensioni colossali e si proietta con esiti drammatici lungo tutto l'arco della seconda guerra mondiale, sino all'immediato periodo postbellico, quando piomba come uno dei problemi più urgenti da risolvere sul tavolo delle potenze alleate che stanno definendo ancora una volta con un trattato di pace, la sistemazione dell'Europa. Delle decine di migliaia di sudtirolesi costretti a scegliere, entro il 31 dicembre del 1939, se optare per la cittadinanza del Reich nazista o se mantenere quella italiana, la maggior parte, come sappiamo, ha scelto la prima ipotesi. Diverse migliaia hanno perfezionato l'operazione, abbandonando le case e il lavoro ed emigrando verso l'incerto destino dei campi di raccolta allestiti in varie località della Germania. La maggior parte però, pur avendo esercitato il diritto di opzione, è rimasta in Alto Adige. Per una parte è stato perfezionato il percorso burocratico di concessione della nuova cittadinanza, per molti altri nemmeno quello.

Sul trattamento da riservare a queste diverse fattispecie, si scatena uno scontro politico e giuridico di proporzioni colossali, alla cui base c'è l'esigenza, vitale per la minoranza sudtirolese, di poter mantenere la propria unità all'interno dello Stato italiano. Sulla base di quanto previsto dall'Accordo di Parigi, l'Italia accetta di avviare il processo di revisione delle opzioni ma non, come richiesto dai sudtirolesi, con una sorta di norma collettiva. Vengono distinte tre categorie di rioptanti, sulla base del possesso dei requisiti giuridici sopra accennati. Per coloro che avevano semplicemente optato senza trasferirsi e senza naturalizzazione, viene prevista una semplice dichiarazione con la quale si conferma di voler mantenere la cittadinanza italiana. Un processo più articolato, con un esame caso per caso anche del comportamento tenuto durante il periodo dell'occupazione nazista, attende invece coloro che, pur senza trasferirsi, sono stati naturalizzati cittadini germanici e coloro che hanno completato la procedura con il trasferimento fisico oltre confine. È una vicenda che dura diversi anni, tra  polemiche e scambi di note diplomatiche tra Roma e Vienna. I sudtirolesi accusano l'Italia di voler impedire il riacquisto della cittadinanza a troppi appartenenti alla minoranza. Da parte italiana si ribatte imputando a Vienna mezzi coercitivi nei confronti dei sudtirolesi emigranti e che non vorrebbero ritornare in Italia e che verrebbero minacciati, si afferma, di essere privati della cittadinanza austriaca e di dover restare quindi nella scomoda condizione di apolidi. L'intera vicenda si conclude dopo diversi anni, con la sostanziale riammissione nella cittadinanza italiana di quasi tutti i richiedenti.

Quelle tumultuose vicende meritano di essere ricordate se non altro per avere ben presente il peso che le questioni relative alla cittadinanza hanno sempre avuto, e sempre avranno, su una realtà così difficile e così segnata dalla storia come quella altoatesina.

È un peso che sembrava essersi affievolito nel corso degli ultimi decenni, con l'ingresso di Austria e Italia nel quadro comune dell'Unione Europea, con l'adozione di una moneta di normative unitarie, con la riduzione dei confini a semplici segni su una carta geografica.

Sembrava, ma una storia che evidentemente vuole obbedire alla teoria dei corsi e dei ricorsi, riporta in primo piano rigurgiti di nazionalismo che sembravano ormai cimeli da museo. In tutto questo clima di incipiente sovranismo si colloca indubbiamente anche la vicenda del doppio passaporto da concedere, da parte dell'Austria, in via esclusiva ai sudtirolesi che possono documentare l'appartenenza ai gruppi linguistici tedesco e ladino.

Storie

La questione politica è tornata di stringente attualità da un paio d'anni, da quando cioè il nuovo governo austriaco del cancelliere Kurz l'ha inserita nel proprio programma di governo su richiesta espressa dei liberalnazionali della FPŎ. In realtà, come alcuni ricorderanno, la questione risale a diversi anni addietro ed è originata da un'iniziativa dei deputati sudtirolesi Zeller e Brugger che inducono il loro partito ad avanzare la richiesta, prendendo esempio da quanto deciso dall'Italia nei confronti della sparuta minoranza italofona rimasta in Croazia. Parlandone, un paio di anni or sono sulle colonne di Salto ebbi modo di rilevare come questo tipo di iniziativa, prima tra tutte quella italiana, nascano da un terreno di cultura politica orientato alla revisione, in chiave di recupero del pensiero nazionalista, dei confini nazionali e non certo di un loro superamento nell'ottica dell'Unione Europea.

È un discorso che vale anche per il caso del doppio passaporto i sudtirolesi, se pensiamo che esso ora è divenuto la bandiera di un partito austriaco che, dal giorno in cui è stato fondato, ha sempre avversato in ogni modo e con ogni mezzo il dialogo italo-austriaco finalizzato ad un accordo sulla nuova autonomia. In questo tra l' FPŎ di Otto Scrinzi, quella di Jörg Haider e quella Heinz-Christian Strache esiste un'assoluta continuità di pensiero e di azione, diretta a sollecitare in ogni modo lo scontro con Roma. Una tensione eguale e contraria a quella propugnata dalla destra italiana, sempre pronta a sua volta ad ostacolare in ogni modo gli accordi attraverso i quali si è arrivati, con infinita fatica, a costruire il modello autonomistico del quale oggi nessuno può disconoscere i pregi.

Fatto sta però che quella del doppio passaporto è una questione che, come detto, non nasce solo del cerchio politico del separatismo secessionista, ma che è stata posta sul tappeto dalla stessa Suedtiroler Volkspartei, che ora si trova a dover gestire, con estremo imbarazzo, con molte esitazioni e con qualche ardita evoluzione dialettica, le conseguenze di questo azzardo. La verità è che, per molti anni, i dirigenti della Stella Alpina sono andati a deporre sull'altare della politica viennese la loro richiesta del doppio passaporto ben sicuri che i governi composti da popolari e socialisti avrebbero opposto un cortese ma fermo rifiuto. L'onda bluastra abbattutasi sul paese danubiano ha cambiato molte cose ed ora, in qualche modo, alle parole dovranno seguire i fatti. La questione, però, è più complessa di quanto non possa sembrare di primo acchito, visto che le questioni giuridiche, un po' come nel 1918 e nel 1945, si mescolano indissolubilmente a quelle di carattere politico.

Sul piano del diritto, interno e internazionale, nell'affrontare la questione del doppio passaporto ai sudtirolesi occorre aver ben presenti alcuni presupposti. Il primo è che a disporre della cittadinanza di un paese è solo il governo di quel paese stesso e nessun altro. Così, quando qualche uomo politico italiano afferma che solo Roma potrà decidere della cittadinanza ai sudtirolesi afferma una cosa inesatta. E' Vienna, e solo Vienna, a poter decidere senza con questo ledere, sempre dal punto di vista del diritto, i principi contenuti nell'Accordi di Parigi. Vi sono ovviamente da osservare principi generali di equità, ma è soprattutto all'interno di ogni singolo paese che dovranno essere valutate le varie normative. E' in Austria che dovrà essere valutata la coerenza giuridica tra il fatto che il governo Kurz, mentre con una mano allunga il passaporto ai sudtirolesi, lo toglie con l'altra a migliaia di immigrati turchi, colpevoli a loro volta solo di aver mantenuto la cittadinanza d'origine.

Totalmente diverso il discorso sul piano politico, e qui invece il richiamo al Degasperi Gruber acquista tutt'altro valore. A Parigi nel 1946, più ancora che definire alcune misure per la tutela della minoranza, si è stabilito un principio fondamentale: quello che questa politica di tutela debba risultare dall'intesa tra i rappresentanti politici della minoranza stessa, lo Stato italiano e l'Austria. È un principio fondamentale che, nei corso dei decenni successivi, è stato per lunghi periodi contraddetto, ma che alla fine si è rivelato l'unico capace di portare ai risultati che oggi sono sotto i nostri occhi.

Non a caso su quel metodo e sui protagonisti lo hanno animato, da Aldo Moro a Silvius Magnago solo per fare due esempi, hanno sempre sparato a zero gli opposti estremismi politici che oggi navigano a gonfie vele nel mare agitato proprio da chi soffia su questioni come quella del doppio passaporto. Non a caso, una volta scoppiato ufficialmente il caso, i responsabili altoatesini della SVP e lo stesso cancelliere austriaco Kurz hanno sentito l'impellente necessità di richiamarsi a quei principi e a quel metodo, ripetendo, quasi con affanno, che nessuna decisione sul tema verrà mai presa senza l'intesa con Roma.

Solo che, questa volta, il meccanismo potrebbe incepparsi.

Anche se la questione è stata affrontata con sfumature e giudizi molto diversi tra di loro, non vi è dubbio che non esiste nel panorama politico italiano una sola forza che, oggi come oggi, possa e voglia dare il suo assenso ad una misura come quella immaginata da Vienna, che si tradurrebbe fatalmente in una sorta di conta etnico/linguistica, basata su presupposti di accertamento più che mai aleatori, destinata a creare divisioni profondissime in un  tessuto ancora estremamente fragile come quello altoatesino. Ed allora bisogna domandarsi se coloro che rimarcano la necessità dell'accordo con Roma, abbiano ben presente che cosa potranno e dovranno fare se questo accordo, come probabile, non ci sarà.

Le ipotesi, come ognuno può ben capire, saranno in questo caso sostanzialmente due. O il governo austriaco si ritirerà in buon ordine, rinunciando ad attuare un punto del suo programma di governo e perdendoci quindi la faccia, oppure, preso atto del dissenso italiano, proseguirà imperterrito sulla sua strada. Per chi conosce la forma mentis di questi esecutivi destrorsi e sovranisti, è evidente che l'ipotesi che merita il maggior credito è la seconda. In questo modo, tuttavia, il principio dell'intesa che ha governato le relazioni bilaterali sulla questione altoatesina negli ultimi settant'anni verrà mandato, definitivamente si presume, a gambe all'aria. Gli estremisti dell'una e dall'altra parte faranno festa, ma le conseguenze politiche, in una situazione internazionale sempre più tesa e dominata da governi che mirano allo scontro come ad un metodo di gestione politica quotidiana, potrebbero essere assai pesanti.

Storielle

Fatte tutte queste considerazioni, resta da chiedersi se il gioco valga veramente la candela o se, in altre parole, il possesso di quel benedetto secondo passaporto sia talmente importante da rischiare un tracollo del clima di sostanziale pacificazione che, dopo burrascosi decenni, si è in qualche modo instaurato in provincia di Bolzano. Verrebbe da rispondere decisamente di no se dovessimo prendere per buona solo la motivazione che viene adottata come standard dagli esponenti SVP quando si trovano, in Parlamento o altrove, a dover giustificare la loro richiesta della doppia nazionalità. Il termine usato costantemente è "Herzensanliegen", intraducibile in italiano con una sola parola, ma che sostanzialmente indica un'esigenza che nasce a livello emotivo, una sorta di bisogno istintivo. Il secondo passaporto, per i sudtirolesi, sarebbe, a cent'anni dall'ingiusta separazione dalla madre patria, come un piccolo risarcimento per le sofferenze subite.

Voler far credere che si tratti solo di un documento da porre sull'altarino domestico dei sentimenti, accanto alle foto degli antenati in divisa austroungarica, significa però fare un torto all'intelligenza degli interlocutori.

In realtà l'operazione di riacquisto della cittadinanza austriaca per la minoranza sudtirolese non è che un passaggio fondamentale in vista di scenari, apocalittici certamente ma molto meno improbabili di un tempo, che potrebbero sconvolgere entro qualche anno la scena europea. Nei giorni scorsi, senza grande clamore e senza suscitare troppi commenti, in un mondo politico in altre faccende affaccendato, il quotidiano Dolomiten ha rivelato che la SVP ha chiesto all'esperto di diritto europeo Walter Obexer, ricercatore presso l'università di Innsbruck, di valutare l'impatto sulla questione altoatesina di una possibile uscita dell'Italia dalla zona Euro. Secondo lo studioso in quel caso ricorrerebbero i presupposti per la richiesta dei vertici europei dall'autodeterminazione da parte dei sudtirolesi, ben decisi a restare entro i confini dell'Unione.

Ognuno capisce, questo punto, che una simile istanza avrebbe una forza decuplicata se a lanciarla fosse un gruppo linguistico che possiede già la cittadinanza di uno Stato, l'Austria, che nell'Europa pare ben intenzionata a restare.

Storielle, fantapolitica, si dirà. Eppure la cronaca di tutti i giorni dovrebbe averci preparato a considerare possibile, se non probabile, quello che, sino a ieri, sembrava solo un parto di fantasia.