Politik | il commento

19 uomini, 1 donna

Ennesimo “all male panel” per un convegno sull'Autonomia all'Università di Trento: su venti interventi, una relatrice. Eppure anche stavolta qualcuno negherà l'evidenza.
Uni Trento
Foto: Uni Trento

Tutti uomini. O quasi. Un ciclo di conferenze sul ruolo della Regione autonoma, organizzato dalla facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Trento assieme al “Laboratorio di Innovazione istituzionale per l'Autonomia integrale”, annovera ben 19 relatori – ma una sola relatrice, la costituzionalista Esther Happacher, tra l'altro definita “professore” (vedi locandina in basso). A denunciarlo è il Consigliere provinciale e regionale trentino Paolo Zanella (Futura), che chiede al Rettore di rivedere la scelta degli invitati: “Siamo sicur* che, dopo un’attenta riflessione, torneranno alla memoria molte protagoniste che sapranno dare lustro e il loro prezioso contributo a una così importante riflessione”. Secondo Barbara Poggio, Prorettrice alle Politiche di Equità e Diversità dell'Università di Trento, l'alternativa di scelta c'era già “ed era molto ampia, anche all'interno dello stesso dipartimento in cui è stato organizzato l'evento, dove tra l'altro c'erano altre due colleghe che hanno partecipato ai lavori della Consulta per l'Autonomia”.

 

Quando ci faremo da parte?

 

Gli organizzatori sostengono che i seminari si svolgeranno “attraverso un confronto fra voci autorevoli ed esperte – attualmente senza ruoli politici nelle istituzioni di governo dell’autonomia – in un clima estraneo a deliberazioni formali, svolta sul piano pre-politico della razionalità, per favorire la ricerca di una graduale convergenza delle opinioni su di un tema cruciale per lo sviluppo dell’autonomia speciale”. Le voci esperte chiamate a parlare sono, tra gli altri, Lorenzo Dellai e Marco Boato, Günther Pallaver e Oskar Peterlini, direttori di giornali come Alberto Faustini ed Enrico Franco, o ancora i sindaci di Bolzano e Trento Renzo Caramaschi e Franco Ianeselli. Verrebbe da chiedersi quanto ci possa essere di “innovazione istituzionale” nell'invitare a intervenire pure persone che il proprio contributo, alle istituzioni regionali, lo danno da decenni – e sarebbe forse ora passassero il testimone ad altre e altri. Ma, mettendo da parte la questione generazionale, la domanda è un'altra: come mai la scelta cade solo sugli uomini?

Mentre gli animi si accendono ogni qual volta si accenni al “patriarcato” o all'odiata schwa, abbiamo sotto al naso episodi che dimostrano di continuo come questo sistema patriarcale tanto “fantomatico” non lo sia. Eppure l'eclatanza non basterà a fermare l'uomo di turno col ditino alzato, nel dire “eh ma non c'erano donne”, anche negando l'evidenza come nella vicenda di Trento. O nel difendere l'autorevolezza di chi salirà sul podio, come se fosse quello il vero problema. O, ancor peggio, nel prendersela per questioni di lana caprina con chi lavora sul linguaggio di genere o accende i riflettori sui femminicidi. Allora forse dovremmo riconoscere che è proprio attraverso questa tecnica, quest'instancabile negazione, che “noi” uomini alimentiamo il sistema che ci difende.

Abbiamo sotto al naso episodi che dimostrano di continuo come questo sistema patriarcale tanto “fantomatico” non lo sia.

Perché se i primi nomi che vengono in mente sono sempre al maschile, anche nel 2021, anche dopo i #metoo e le marce femministe, una ragione c'è. Sta nel fatto che, banalmente, negli ambiti in cui lavoriamo spesso non lasciamo spazio né visibilità alle donne. Tutt'al più se appartengono a un'altra generazione. Un modo di essere conservatori che, purtroppo, contamina anche chi si professa progressista. E pure chi si occupa del futuro dell'autonomia regionale.