Gesellschaft | Gastbeitrag

Auschwitz, e le foibe

Perché la soluzione finale non è storicamente paragonabile al dramma degli infoibati.
Foibe
Foto: upi

Domenica scorsa si è celebrato il “Giorno del ricordo”, solennità civile indetta nel 2004 per rinnovare «la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo degli istriani, dei fiumani e dei dalmati italiani dalle loro terre durante la seconda guerra mondiale e nell'immediato secondo dopoguerra (1943-1945), e della più complessa vicenda del confine orientale». Così su Wikipedia, così nella legge.

Come tutto quanto arriva a riguardare la storia nazionale partendo dal diciannovesimo secolo circa fino ai giorni nostri, anche questa ricorrenza è assai controversa e non scevra da strumentalizzazioni politiche che cercano guardando allo ieri di crearsi un consenso tutto votato all’oggi. In questo senso la memoria storica in Italia non riesce mai ad essere vera “memoria”, sorretta dunque da criteri storiografici, ma viene intesa nel senso di “celebrazione”. L’essere pro o contro qualsiasi cosa ha reso e rende dunque impossibile immergersi nelle complessità tipiche dei macro come dei microeventi.

Le foibe sono da sempre un terreno più che di scontro, di propaganda, laddove i criteri storiografici alla base di articoli / film / libri / pezzi teatrali / commemorazioni / etc. sono spesso privi di riscontri documentali certi se non veri e propri capolavori di disonestà intellettuale. Penso ad esempio all’ultimo post del quotidiano Libero dove ai sanguinari per definizione partigiani titini si avoca fin la produzione di saponette dai corpi smembrati degli infoibati italiani. La cosa che si vuole qui rimarcare è però un’altra e non vuole entrare nel merito del dibattito sul tema delle foibe o sulla conclamata strumentalizzazione che ne fa la destra postfascista e populista di casa nostra. In merito consiglio di seguire il lavoro del collettivo Nicoletta Bourbaki, che da anni si occupa in maniera rigorosa di analizzare, smontare e decostruire falsità ed inganni della propaganda patriottica su questo tema.

L’essere pro o contro qualsiasi cosa ha reso e rende dunque impossibile immergersi nelle complessità tipiche dei macro come dei microeventi

Quello su cui mi vorrei soffermare è invece quanto lasciato in eredità dall’ultima giornata del ricordo, ovvero Auschwitz. Nemmeno pochi giorni dopo il “Giorno della memoria” dedicato alla Shoah, viene detto pubblicamente che “le foibe sono gravi come Auschwitz. Questo avviene grazie all’ineffabile ministro degli Interni, ma nel suo piccolo anche grazie al sindaco di Bolzano, Renzo Caramaschi, che questo si è trovato a sostenere durante le celebrazioni della giornata.

Ora, dato per scontato che ogni strage, ogni spargimento di sangue, ogni mattanza debba essere oggetto di ponderata riflessione e rielaborazione, e di rispetto, sarebbe urgente che proprio in situazioni pubbliche di questo tipo non vengano dette cose a caso, magari per cercare un effetto plateale. C’è un preciso motivo per cui Auschwitz sia additato come il culmine del “male assoluto”, per dirla con Gianfranco Fini. Non si tratta di un ordine di grandezza del numero delle vittime. Si tratta di una questione molto semplice, che riguarda la genesi di Auschwitz. Mentre si può essere concordi che le ritorsioni contro la popolazione civile nelle zone della oramai ex Jugoslavia siano avvenute a ridosso della sconfitta dei regimi dell’Asse, Auschwitz in quanto tale resta in attività per 5 anni, dal 1940 al 1945, ed il dibattito su quanti vi abbiano trovato la morte oscilla tra il milione ed i 2 milioni, la testimonianza di Rudolf Höß a Norimberga parla addirittura di 3 milioni di vittime tra il 1940 e il 1943, si legge sempre su wikipedia.

Ma, come detto, non stiamo a fare i grafichini per dire che chi ha più morti vince il premio “atrocità” e tanti saluti. Quello che differenzia Auschwitz è il metodo, ovvero Auschwitz, o per estensione, la Germania hitleriana, è dove la civiltà dell’industria incontra il concetto di sterminio. Il progresso umano ha creato nel 1900 la scientificità del massacro, la sua pianificazione e produzione su scala di massa come si fa con le automobili o oggi con i telefonini. È la strage dei contabili più che dei boia, delle fatture per lo Zyklon B, dell’eliminazione preventiva di inabili al lavoro per massimizzare le risorse a disposizione e attenuare i costi di gestione. È la creazione di una catena di morte in cui nessuno ha le mani sporche di sangue, è la logica dell’“ho solo obbedito agli ordini”. Tutti responsabili, nessuno responsabile. E ancora. La furia omicida dei colletti bianchi si abbatte contro inermi, contro civili perseguitati ed eliminati in seguito a quello che oggi si potrebbe chiamare “business plan”.

Non si contestualizza niente, né pre né post, bastano le charts dello stermino e la top 5 della soppressione, per finire ogni tanto a parlare a caso di genocidio, come nel caso delle foibe. Che nel 2019 a Bolzano vengono en passant equiparate ad Auschwitz solo per creare un effetto melò

I treni piombati con cui da un giorno all’altro si svuota il ghetto di Roma dimostrano la mancanza di un qualsiasi pretesto per procedere allo sterminio. Auschwitz non è il pogrom frutto di una pestilenza, non è il prodotto di soldataglia ubriaca lanciata nel saccheggio come i giannizzeri che si mettono ad affettare neonati nella Costantinopoli bizantina o i soldati russi che si ubriacano fin con la benzina mentre fanno a pezzi i sopravvissuti di Berlino. Auschwitz è un ufficio bianco, macchine da scrivere, tabelle Excel, indici di rendimento, costi, entrate e uscite, segretarie con il caffè caldo. L’efficienza tedesca al servizio dello sterminio.

L’emozione delle giornate della memoria tende a non soffermarsi mai abbastanza su quello che è il vero monstrum di Auschwitz, il suo essere un prodotto tipicamente novecentesco e picco della logica dello sterminio della società industriale e della produzione di massa. La demonizzazione della svastica ha spesso trascurato di scavare le cause della demonizzazione stessa. Per arrivare all’obbrobrio storico di fare la storia del ‘900 demonizzando sì Hitler, ma ricordando che Stalin abbia fatto ben di peggio. Come se la stigmatizzazione dell’uno andasse a vantaggio dell’altro, e con il risultato di non approfondire più niente. Solo numeri, non sempre veri, ma tanto chissenefrega.

Oggi il livello del dibattito, quantomeno nelle piazze virtuali, è questo. Non si parla di cause, mai. Non si analizza niente. Comunismo e nazismo facce diverse della stessa medaglia, ogni dittatura è bruttissima. Non si contestualizza niente, né pre né post, bastano le charts dello sterminio e la top 5 della soppressione, per finire ogni tanto a parlare a caso di genocidio, come nel caso delle foibe. Che nel 2019 a Bolzano vengono en passant equiparate ad Auschwitz solo per creare un effetto melò, lo stesso che Rivette condannò nel celeberrimo movimento di camera del Kapò di Pontecorvo, laddove la morte suicida di un’internata veniva sottolineata dal regista con una carrellata in avanti. Da allora, il livello dell’analisi e quello della consapevolezza, si sono tragicamente affossati, al punto che, pur in un’ipertrofia comunicativa in merito, siamo riusciti a dimenticare perché Auschwitz è Auschwitz.