Wirtschaft | WORKING POOR

Non studio, non lavoro

In regione 20.000 Neet, i giovani che non sono né a scuola né in azienda. Con precari e addetti ai lavori gabbia saranno i "nuovi poveri" nel 2050. L'allarme del Censis.
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Foto: Sitizen.it

C’è da piangere. Il focus di Censis e Confcooperative dal titolo “Millennials, lavoro povero e pensioni: quale futuro?” getta una luce sinistra sulla forbice tra generazioni che in Italia pare destinata ad ampliarsi a dismisura. Cosa fare se, come dicono l’istituto di ricerca sociale e l’associazione delle coop, “lavorare non basta più” per garantirsi un’entrata sufficiente con il passare del tempo?

Precari, Neet, working poor e occupati nei cosiddetti “lavori gabbia” formano secondo Censis e Confcooperative “un esercito di 5,7 milioni di lavoratori che, se la tendenza non dovesse essere invertita, rischiano di alimentare le fila dei poveri in Italia entro il 2050”. E tra i Neet (Not in employment, education or training), i giovani tra 18 e 34 anni che non lavorano, non studiano e non si formano, sono quasi ventimila quelli altoatesini e trentini. Una quota comunque bassa se rapportata al totale nazionale (2 milioni) e al dato delle regioni del sud (1,1 milioni). Nelle sole Campania e Sicilia ce ne sono 700.000. Pur non volendo fare accostamenti facili, sono alcuni dei territori che hanno votato in massa per i 5 stelle, movimento che ha tra le prime proposte il reddito di cittadinanza.  

“Una bomba sociale”

I fattori imputati alla base del problema sono “il ritardo nell’ingresso nel mondo del lavoro, la discontinuità contributiva, la debole dinamica retributiva che caratterizza molte attività lavorative”. Insieme “rappresentano un pericoloso mix di fattori che proietta uno scenario preoccupante sul futuro previdenziale e la tenuta sociale del Paese, dove le condizioni di nuove povertà, determinate da pensioni basse, saranno aggravate, inoltre, dall’impossibilità, per molti lavoratori, di contare sulla previdenza complementare come secondo pilastro pensionistico”. “Queste condizioni hanno attivato una bomba sociale che va disinnescata” ha detto Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, presentando il focus. “Lavoro e povertà sono due emergenze sulle quali chiediamo al futuro governo di impegnarsi con determinazione per un patto intergenerazionale che garantisca ai figli le stesse opportunità dei padri”.

Queste condizioni hanno attivato una bomba sociale che va disinnescata. Lavoro e povertà sono due emergenze sulle quali chiediamo al futuro governo di impegnarsi.

Bisogna vedere prima quando si riuscirà a formare un governo, quale forza reale avrà e se ci sarà la volontà di affrontare il problema o semplicemente spostarlo negli anni a venire. “Già oggi – segnala il report –, il confronto fra la pensione di un padre e quella prevedibile del proprio figlio segnala una decisa divaricazione del 14,6%”. Rischia però di andare molto peggio, proseguono gli autori del focus, a 5,7 milioni di persone. “Infatti – si legge – sono oltre 3 milioni i Neet (18-35 anni) che hanno rinunciato a ogni tipo di prospettiva a causa della mancanza di lavoro. A questi si aggiungono 2,7 milioni di lavoratori, tra working poor e occupati impegnati in “lavori gabbia” confinati in attività non qualificate dalle quali, una volta entrati, è difficile uscire e che obbligano a una bassa intensità lavorativa pregiudicando le loro aspettative di reddito e di crescita professionale. A tutto ciò si aggiunge un problema di adeguatezza del rendimento economico del lavoro che espone al rischio della povertà”.

I Neet in regione

Le criticità sono destinate a farsi sentire anche in regione, malgrado i dati – sostenuti soprattutto dall’ottima performance economica dell’Alto Adige – siano i migliori d’Italia quanto ai Neet. Il Trentino Alto Adige vanta il miglior tasso di occupazione tra i territori italiani (77,1%, contro una media nazionale del 60,3%), la quota più bassa – escluso il Molise – di giovani tra i 18 e i 34 anni che non studiano e non lavorano, e il tasso di disoccupazione giovanile più basso: 6,6%. Cifra che però nasconde una forte differenza tra Trentino, dove la mancata occupazione maggiore, e l’Alto Adige, che tende alla disoccupazione fisiologica, tanto da soffrire di carenza di manodopera. In Italia è al 17,7%.