Gesellschaft | Agricoltura

Il terreno del cambiamento

Le sfide delle cooperative sociali agricole nel Sud Italia. Parla il sociologo Luca Fazzi: “Gli ideali non bastano, bisogna sostenere e investire su queste realtà”.
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Foto: Pixabay

Sfruttamento, caporalato, svuotamento demografico e criminalità organizzata: i problemi che affliggono diverse aree del Meridione sono noti alla maggioranza per la loro efferatezza ma quello che ancora ai più non è conosciuto sono i tentativi di riscatto di una parte della popolazione decisa a riappropriarsi del proprio territorio e delle proprie vite, creando impresa, lavoro e soprattutto prospettive per un futuro sostenibile.
Uno studio condotto sotto la supervisione di Susanne Elsen della Libera Università di Bolzano e Luca Fazzi dell’Università degli Studi di Trento, ha voluto dunque far conoscere quegli ambiziosi attori della società civile, definiti così dalla stessa Elsen, impegnati in una metamorfosi tanto economica quanto culturale di quei territori martoriati da decenni di violenza e povertà. Il punto di partenza, emerso dalle venti interviste realizzate dai sociologi con i dirigenti di cooperative sociali, consorzi o reti per l’agricoltura sociale di quattro province del Sud Italia, è stata la confisca dei beni della criminalità organizzata e la successiva messa a disposizione della comunità a scopi sociali.


“Gli ideali non bastano”


“Le realtà virtuose che abbiamo incontrato le possiamo suddividere in due categorie - spiega a salto.bz Luca Fazzi. - Da una parte troviamo quelle che nascono dal basso, dai movimenti caratterizzati da una dimensione politica e che trovano una forma di espressione all’interno delle organizzazioni tipiche dell’economia sociale, come cooperative e associazioni. Queste iniziative sono importanti ma sono quelle che faticano maggiormente perchè non riescono a creare impresa: non sanno se sopravviveranno all’anno prossimo perché spesso si appoggiano ai gruppi di acquisto solidale e alle reti informali dell’economia alternativa. Queste iniziative creano inoltre un punto di rottura con le istituzioni e una parte della società e questo rischia di renderle prive di coperture e più vulnerabili agli attacchi della criminalità organizzata. L’aspetto movimentista è molto importante ma se non si riesce a creare economia anche la realtà locale si chiude. Altri progetti - continua Fazzi -  nati grazie a iniziative allargate, anche in relazione con diverse regioni e altre associazioni e gruppi cooperativi - come Libera terra, Gruppo Goel e Consorzio Mediterraneo - nel momento in cui riescono a fare impresa legale, produrre e distribuire reddito fanno capire alla società locale che un’altra economia al di fuori dei circuiti collegati alla malavita diventa possibile. Ci devono essere organizzazioni in grado di gestire attività complesse e articolate che dimostrino alla popolazione che trarre vantaggio da un altro modo di rapportarsi all'economia, all’ambiente e alla società si può”.

Se un’ideologia non riesce a trasformarsi in un progetto sostenibile, l’organizzazione che la porta avanti rischia di crollare.

Secondo il sociologo, è importante essere in grado di tenere assieme più aspetti: la visione politica dal basso, le relazioni con l’esterno e la capacità di fare impresa e sottolinea: “Le reti dei mercati alternativi e i gruppi di acquisto solidale da soli non bastano, perchè non sono in grado di mobilitare l’economia. È importante fare un passo in direzione della distribuzione etica e del mercato bio, ma anche ad altre reti di commercio, come la Coop nazionale, che si aprono a queste iniziative e che soprattutto al centro nord attirano sempre più, considerando che il 90% della produzione del sud viene venduta in queste regioni. È necessario costruire dei ponti e coltivare nuove relazioni con i territori e istituzioni diverse, compreso il Trentino Alto Adige. Se un’ideologia non riesce a trasformarsi in un progetto sostenibile, l’organizzazione che la porta avanti rischia di crollare, soprattutto in queste aree che versano in condizioni estremamente precarie. Gli ideali non bastano".

 

 

Non di sola mafia vive la macchina dello sfruttamento

 

Sebbene la criminalità organizzata ricopra un ruolo fondamentale nella precarizzazione di territori e di fette importanti di popolazione, essa non costituisce l’unica minaccia. Soprattutto nel campo dell’agricoltura, la macchina dello sfruttamento è ben più articolata e in certi casi anche legalizzata: è la grande distribuzione organizzata, in cui le grandi catene schiacciano il mercato stabilendone i prezzi al ribasso e conseguentemente a discapito del produttore e dei lavoratori. “Il ruolo dei mediatori è cruciale - sottolinea Fazzi - una volta con qualche ettaro di aranceti potevi sopravvivere. Poi sono arrivati i mediatori della mafia e successivamente le grandi catene. Al momento il guadagno del contadino per ogni chilo di arance raccolto si attesta sui 5 centesimi e i fenomeni di caporalato sono molto frequenti”.

Se dobbiamo colpire, dobbiamo colpire il giusto, non l’ultima ruota del carro.

La normativa messa in atto sinora secondo lo studioso non basta: “Se dobbiamo colpire, dobbiamo colpire il giusto, non l’ultima ruota del carro. Il caporalato è un effetto di una precisa struttura di mercato e pertanto continua ad esistere, in parte a causa di infiltrazioni di ogni tipo ma anche perché è molto inverosimile pensare che l’appuntato dei carabinieri di un piccolo paese della Calabria possa andare a sanzionare il latifondista legato alla ‘Ndrangheta. La struttura di mercato - aggiunge - è composta da mediatori. Lo vediamo anche in Alto Adige, dove però il contadino riesce a vivere grazie alle agevolazioni provinciali. Siamo in una fase  ancora debole - conclude - per quanto riguarda il processo di strutturazione dell’economia sociale, dove molto spesso la regia politica risulta pressoché assente. Ma il ruolo della cooperazione tra organizzazioni e istituzioni di altri territori è fondamentale e anche il nostro potrebbe trarne un grande vantaggio”.