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Dove zoppicano le anatre

Le elezioni comunali pongono un problema politico, ma anche e soprattutto giuridico. È ora di ripensare la legge elettorale per i comuni altoatesini?

L’esito delle elezioni comunali costituisce indubbiamente un problema. Non vi è chi, nel commentarle, non abbia sottolineato la dimensione politica di questo problema, che indubbiamente è rilevante: astensionismo, comportamenti elettorali, candidature più o meno azzeccate, alleanze rischiose e divorzi azzardati, eccetera. Ma nella foga del commento politico si è dimenticata la dimensione giuridica del problema, che pare ancora più significativa.
Come si vede in modo emblematico nel caso di Bolzano, se un candidato non vince al primo turno, si pongono quasi sempre seri problemi di governabilità. Tutti ricorderanno le vicende del 2005, che si ripeterebbero automaticamente in caso di vittoria di Urzì al ballottaggio (impossibile che abbia una maggioranza in consiglio) ma il cui spettro potrebbe aleggiare anche se vincesse Spagnolli, qualora non riuscisse ad allargare la maggioranza. Il problema si pone, magari con magnitudine minore, anche in altri comuni come Merano (meno a Laives), e non è escluso neppure nei comuni più piccoli, quelli sotto i 15.000 abitanti per i quali non è previsto il ballottaggio (si veda il caso di Dobbiaco, nel 2010 ma sulla carta anche oggi).

L’origine di tutto questo è la legge elettorale per i comuni della provincia di Bolzano. Nel 1994, sulla scia della legge nazionale dell’anno precedente che introduceva l’elezione diretta dei sindaci, anche nella nostra regione si è recepita questa riforma epocale (l.r. 3/1994 e successive modificazioni), e probabilmente non si sarebbe potuto fare altrimenti, trattandosi di una “norma fondamentale delle riforme economico-sociali della Repubblica”. Lo si è fatto, tanto per cambiare, introducendo regole assai diverse tra Trento e Bolzano. In particolare, in Alto Adige si è avvertito il rischio che l’impatto di una torsione fortemente maggioritaria avrebbe potuto avere sulla rappresentanza equilibrata tra i gruppi linguistici, e non si è recepita la previsione di un premio di maggioranza per le liste che sostengono il sindaco che risulta eletto. È venuta così meno la seconda gamba della normativa nazionale, senza la quale anche l’elezione diretta del sindaco rischia di incepparsi. Lo si è fatto per motivi nobili e condivisibili, ma così si è ottenuto un risultato che non è né carne né pesce. O, per restare sul piano della metafora politico-zoologica, si è fatta una legge-tagliola, che azzoppa le anatre nel momento stesso in cui le genera.

Qualche considerazione si pone dunque sul piano giuridico relativamente alla funzionalità e ai limiti di questa legge.
Primo: un sistema a forte impronta maggioritaria come l’elezione diretta funziona solo se la maggioranza è poi davvero garantita. Con pregi e difetti della cosa. Ma così il rischio, per il caso tutt’altro che improbabile che un candidato non vinca al primo turno (e talvolta anche in questo caso, come può accadere nei comuni minori), è di creare tutte le aspettative tipiche del leaderismo maggioritario (e inducendo i candidati a esporsi con programmi ambiziosi e talvolta fantasiosi) senza poi conferire all’eletto la capacità di realizzare quanto promesso. Una spirale di frustrazione e rischio di irresponsabilità che non aiuta nessuno e nella migliore delle ipotesi incentiva l’astensionismo.
Secondo: le ragioni che inducono ad escludere l’introduzione di un sistema brutalmente maggioritario consegnando al sindaco direttamente eletto anche la maggioranza ope legis in consiglio sono non solo ancora attuali in un contesto di grande delicatezza come quello della nostra provincia, ma anche costituzionalmente obbligate. Copiosa giurisprudenza della Corte costituzionale ha sottolineato come difficilmente sistemi fortemente maggioritari siano compatibili con l’esigenza di rappresentare le diverse minoranze [lunga parentesi sulla legge elettorale nazionale: si obietterà che questo è precisamente l’effetto nella nostra provincia la nuova legge elettorale; vero, ma il problema non sono i collegi uninominali, bensì eventualmente il sistema di attribuzione dei seggi col proporzionale; e in ogni caso la questione comunale è diversa, perché non si elegge solo il sindaco – e lì, come per i futuri deputati, si elegge solo una persona, c’è poco da fare – ma anche il consiglio comunale, ed è con questa elezione che si può e si deve bilanciare la spinta maggioritaria]. Insomma, non sarebbe possibile un recepimento tout court della normativa nazionale o anche solo di quella trentina.
Terzo: in questo contesto, forse occorre una riflessione più profonda sulla stessa elezione diretta. Vero che questa dà legittimazione, visibilità e forza politica al sindaco, ma visto che comunque la può dare solo in parte, siamo sicuri che sia un dogma incontestabile?
Non dimentichiamo che per le stesse ragioni Alto Adige e Valle d’Aosta sono gli unici territori a non avere introdotto l’elezione diretta del presidente della giunta. Forse vale la pena di valutare un ritorno all’elezione consiliare del Sindaco. Troppo spesso, nella ubriacatura pseudo-maggioritaria di cui il nostro Paese soffre da almeno 20 anni, si è confusa la leadership con l’autorevolezza, abbandonando processi decisionali più socialmente e politicamente meditati a vantaggio di forme più o meno plebiscitarie dai risultati poco gratificanti.
Magari l’elezione consiliare può essere accompagnata da strumenti per puntellare le debolezze di quel sistema, come la sfiducia costruttiva.
Mentre si discute (assai opportunamente nel merito, meno nella procedura) di trasferire la competenza primaria sugli enti locali dalla Regione alle Province, forse è il caso di ragionare senza tabù su soluzioni più adeguate.
Altrimenti rassegnamoci all’eventualità di rivotare in autunno e soprattutto di subire una nuova campagna elettorale con tutto il decadimento che ne consegue.

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Alessandro Stenico Do., 14.05.2015 - 07:51

Come sempre un contributo che tocca a fondo la problematica di questa legge elettorale zoppa che ha generato in parte risultati discutibili.
L’elezione diretta dei sindaci nei comuni sotto i 15.000 abitanti ha dato almeno la possibilità all’elettore di scegliersi un candidato sindaco diverso dai schieramenti al quale egli si collegava e questa possibilità ha scardinato logiche di potere che altrimenti rimanevano immutate. Un premio di maggioranza del 20% potrebbe essere un contribuito per garantirgli la governabilità.
Nei comuni sopra i 15.000 abitanti il discorso è diverso, innanzitutto avrei insistito nella riduzione del numero dei consiglieri, a Bolzano 30 sarebbero stati più che sufficienti e avrebbero generato più aggregazioni e non una miriadi di partiti ad personam (18 nel nuovo consiglio comunale) a questo avrei aggiunto il voto disgiunto per l’elezione del sindaco e anche in questo caso un premio di maggioranza limitato.
La problematica di garantire la presenza delle minoranze mi sembra in parte superata dalla nostra società, non esiste più solamente un voto etnico, gli elettori hanno dimostrato di superare gli steccati. La presenza in giunta dei rappresentanti dei gruppi linguistici di minoranza dovrebbe comunque rimanere immutata.
Spero comunque che si intervenga presto nella materia e di non tornare a rivotare in autunno con la stessa legge che generebbe gli stessi risultati caotici e difficilmente gestibili.

Do., 14.05.2015 - 07:51 Permalink