Wirtschaft | Uscire la sera

“C'est tout comme chez nous”

Cronaca di una serata (quasi) solitaria in pizzeria. Aspettando che la Fase 2 cominci davvero.
Pizza
Foto: Salto.bz

Erano due mesi che non mangiavamo una pizza, una vera pizza in una vera pizzeria. Comprensibilmente, ero un po' emozionato. Ho preso un appuntamento con un'amica alle otto. Avevo prenotato il giorno prima: chissà perché mi immaginavo ci fossero problemi ad entrare. Ci saranno meno tavoli disponibili, e la gente se li vorrà sicuramente accaparrare tutti, pensavo. Invece quando sono arrivato, cinque minuti alle otto, non c'era nessuno. Ho parcheggiato la mia bici. Il locale sembrava completamente vuoto. Un cameriere e un cuoco stavano fuori, con la mascherina, i guanti, e parlavano. Ho chiesto a uno di loro come andava, se erano contenti di avere riaperto, e se c'era già un po' di movimento. “Abbastanza bene, dai. Oggi a mezzogiorno è venuto qualcuno”, mi hanno detto. Intanto è arrivata la mia amica, ci siamo lavati le mani e siamo entrati. Potevamo scegliere il tavolo che volevamo e ci siamo seduti insieme. In realtà non potevamo farlo, non essendo imparentati. Però abbiamo mentito. O meglio: siamo andati incontro alla domanda – “voi vivete insieme?” – assumendo quell'aria sicura che ha scoraggiato indagini più approfondite (meno male non chiedono la carta d'identità e non ci vogliono più le autocertificazioni).

Permangono le paure, non si sa bene come muoversi, e forse agisce anche l'abitudine a restare a casa comunque, specialmente la sera

Dentro era strano. Tutto quello spazio, solo per noi. In verità non eravamo completamente soli. Ad un altro tavolo erano sedute quattro persone, una famiglia (questa qui vera). Ma la sensazione era comunque quella di essere capitati in un luogo ancora impigliato nella cosiddetta Fase 1, quella in cui non si poteva uscire. Perché la cosa strana di questa Fase 2 è proprio questa: lo spaesamento, la titubanza, la voglia di andare incontro ad un cambiamento che non si ha però ancora il coraggio di vivere fino in fondo. Permangono insomma le paure, non si sa bene come muoversi, e forse agisce anche l'abitudine a restare a casa comunque, specialmente la sera. Infatti non solo il ristorante era pressoché vuoto, ma anche il centro della città era deserto. Poche, pochissime le persone in giro. E con la pioggia leggera, poi, una situazione quasi autunnale. O di primavera ghiacciata. Anche se a renderla tale più la psicologia che le temperature.

Ordiniamo quello che c'è. Sicuramente non dovremo aspettare molto per mangiare

I camerieri, come detto, tutti mascherati e inguantati. Il nostro porta il menu, che ha subìto, anche lui, delle menomazioni: ci dispiace, la mozzarella di bufala arriva giovedì. Per una pizzeria non esattamente il massimo. Ordiniamo quello che c'è. Sicuramente non dovremo aspettare molto per mangiare. Intanto al tavolo accanto (o meglio: sei metri più in là) hanno finito, si alzano, ringraziano e pagano. Subito arriva un altro cameriere a disinfettare il tavolo, le sedie, ogni cosa. L'odore del disinfettante riempie il locale. Ecco un'altra cosa che, forse, sta tenendo alla larga per adesso i clienti, a parte la paura e l'insicurezza. Ogni cosa è presidiata da norme che rendono la piacevolezza di un tempo, il potersi slacciare la cravatta, per così dire, qualcosa di proibitivo. C'è sempre un'aria di allarme, una preoccupazione costante. Possiamo anche distrarci, fare finta che non sia così. Ma un gesto, un odore ci fanno ripiombare nel clima di qualche settimana fa, con le macchine della polizia che percorrevano le strade deserte in cerca di “evasi”, e il rumore degli elicotteri sopra le nostre teste.

Attraverseremo questo passaggio stretto, sperando che non ci siano ricadute, confidando  finalmente di tornare a un livello di normalità accettabile

La cena se ne va così. Gustiamo la nostra pizza senza avere esattamente la percezione di essere davvero al ristorante, o avendone un'altra, quella di essere capitati nel giorno sbagliato. Però, almeno, è un inizio. La voglia di ricominciare è forte. Attraverseremo questo passaggio stretto, sperando che non ci siano ricadute, confidando finalmente di tornare ad un livello di normalità accettabile. Parliamo così di filosofia (la mia amica è una filosofa, anni fa ha scritto anche un libro su Schelling e me l'ha portato in dono), del ruolo avuto dal platonismo negli scritti dei primi idealisti tedeschi. Un capitolo del libro ha un titolo strano: “C'est tout come chez nous” [è tutto come da noi]... Non c'entra ovviamente nulla con la situazione che stiamo vivendo, anzi. Da noi tutto è diverso, almeno da com'era prima. Stentiamo a riconoscerci, quasi. Siamo gli stessi senza essere più gli stessi. Come indossare un soprabito di tre taglie più grande. O avere sempre una mascherina sulla faccia. Ma intanto siamo vivi, siamo qui, abbiamo finito la pizza. Non abbiamo preso il dolce (“abbiamo solo il tiramisù, ci dispiace”). Usciamo, e c'è ancora meno gente di prima. Non c'è più nessuno, a dire il vero. Però si sente un forte profumo di fiori, di cose buone e tiepide, di cose che ricominciano. Auguriamoci che ricomincino davvero.