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Barbara e il futuro della salute mentale

La tragica morte della psichiatra di Pisa e la necessità di applicare, non attaccare, la legge Basaglia. Una riflessione tra custodia, cura e pratiche di libertà.
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Foto: Tuttoggi.info

Quello che è accaduto alla collega psichiatra Barbara Capovani, uccisa da un uomo, abbiamo letto ex-paziente, mentre usciva dal lavoro, ci ha lasciati tutti sgomenti. La perdita senza un senso, e che ha restituito a molti l’esistenza della violenza senza se e senza ma, è qualcosa che ci ha lasciato ancora una volta senza parole. La questione ci ha portato con urgenza ad affrontare il discorso. L’urgenza ha perso rapidamente i suoi connotati in quanto non caratterizzata da un acuto, ma da una situazione oramai cronica, e gridata a gran voce da tempo da operatori, dipartimenti di salute mentale, familiari e soggetti tanti che nei luoghi della psichiatria si trovano a lavorare o dei servizi a usufruire, e che negli ultimi anni, hanno visto derubricare la questione salute mentale a cosa, direi, di poco conto (basti pensare all’assenza della Salute Mentale dal disegno di riorganizzazione dell’assistenza territoriale definito col DM 77/22).

Sapevamo che le risorse destinate alla salute mentale erano (e sono) insufficienti


É stato il momento in cui volendo ragionare, e a forza, sulla questione della devianza e del folle reo, culture di rivalsa, e in grado di riscrivere grandi conquiste della storia che ci vedono, in Italia, come avanzati in quanto a legislazione in salute mentale, e cavalcando l’onda, hanno iniziato informare l’opinione pubblica di letture e necessità securitarie, custodialistiche se non proprio regressive. E cosi procedendo, e per mezzo di accuse e risposte, si è armato un gran dibattito. Sapevamo che le risorse destinate alla salute mentale erano (e sono) insufficienti (difficilmente si supera il 3% del fondo sanitario nazionale, quando è sempre stato chiaro che queste non potevano bastare) come sapevamo che, chiusi i manicomi giudiziari (grande conquista di civiltà), non potevano essere gli psichiatri a farsi carico della custodia, in una grande confusione che ha portato a non avere coperture necessarie e fondamentali a chi lavora nei servizi territoriali (centri di salute mentale, pronti soccorsi e servizi psichiatrici di diagnosi e cura) per svolgere la propria professione di cura in sicurezza e per garantire, al tempo stesso, la sicurezza del corpo sociale.

Lontano da strumentalizzazioni che hanno voluto attribuire la responsabilità alla cosiddetta legge Basaglia (e ai pochi che si sono occupati di capire e agire con pratiche, servizi e istituzioni inventate alla sua attuazione), che hanno voluto affiancare esperienze avanzate di salute mentale, di riorganizzazioni dei servizi di prossimità e di presa in carico forte della popolazione sofferente nella psiche (nelle case, nei servizi, nelle carceri) a movimenti antipsichiatrici che avrebbero negato la malattia mentale e l’utilità dei trattamenti farmacologici (che non mi risulta abitino in massa i servizi di salute mentale italiana, in una gran confusione tra movimenti antipsichiatrici e psichiatrie democratiche che rimangono pur sempre psichiatrie) e che hanno rivendicato posti (in quanto insufficienti) nelle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (che sono quelle strutture dove chiusi i manicomi giudiziari vengono accolti folli autori di reato e giudicati incapaci di intendere e volere e quindi non imputabili e pericolosi) vorrei riprendere una spiegazione semplice, e a mio avviso evidente da dentro, data dal dott. Giuseppe Ducci (Direttore del Dipartimento di Salute Mentale della ASL Roma 1) alla trasmissione “Che giorno è” (andata in onda il 26 aprile 2023 su radio 1) rispetto alla questione che stiamo trattando.

Detto semplicemente (ha affermato Ducci) la problematica può essere riassunta in due punti: il primo (e parafraso) è la mancanza delle risorse in salute mentale (e parlo di salute mentale e non psichiatria, ha aggiunto, perché riguarda tutti), e per risorse si intende la mancanza di un giusto numero di operatori (in grado di intervenire prontamente e capillarmente sul territorio, fuori da ambulatori e da ospedali); il secondo ha a che fare con la definizione chiara del fatto che la custodia è questione in capo alle agenzie di sicurezza pubblica (e che non può essere delegata, su giudizio frettoloso, finanche su un pregiudizio, ai sanitari, e invece prontamente assunta dalle magistrature) e che il luogo dove tali soggetti possono (e devono) confrontarsi con la propria pericolosità e con i propri agiti, e per farsene carico con responsabilità, sono le carceri (e non il territorio, tantomeno gli spdc, ma appunto le carceri dove i servizi devono essere messi in condizione di penetrare stabilmente in quanto pezzo di territorio). Meriterebbe a questo punto affrontare anche la questione del sovraffollamento delle carceri (che poi rispecchia in qualche modo il sovraffollamento delle REMS) necessario a mio avviso per una completezza del discorso. Questo per dire, il passaggio successivo che è stato discusso in molti tavoli e poco ascoltato, che credo nessuno debba essere spogliato dalla responsabilità, con tempo, delle proprie azioni, e che il fantasma dell’incapacità totale di mente, che è stato abusato in pratiche di delega continua alla psichiatria di ciò che non gli dovrebbe competere, debba essere, nel 2023, rivisto e ridimensionato (il codice Rocco è il codice penale del 1930 che sostiene appunto l’impianto teorico della non imputabilità del folle reo) e non attribuire invece responsabilità a una legge che ha restituito i diritti di cittadinanza a soggetti ai quali tali diritti erano stati del tutto e regolarmente sottratti.

Credo sia necessario affermare e sostenere a più voci che la legge Basaglia non vada abolita ma finalmente realizzata.

Credo che la riflessione (ho accolto con piacere ma non senza preoccupazione l'apertura di un tavolo tecnico sulla psichiatria da parte del Ministero della Salute) debba svolgersi soprattutto sui seguenti temi:

  1. Necessità di destinare alla salute mentale fondi sufficienti in grado di portare una trasformazione reale nell'organizzazione dei dipartimenti di salute mentale che possano essere messi in grado di lavorare non murati in servizi ambulatoriali poveri, ma capaci di pratiche forti agite nel territorio di riferimento (riproduzione di luoghi per la salute mentale e per la cura e la riabilitazione, case, contesti di vita, carceri). Per far questo si potrebbe guardare con attenzione al disegno di legge già avanzato nel corso di due precedenti legislature (e che mi risulta sia stato riproposto qualche giorno fa alla Camera e al Senato) che titola "Disposizioni in materia di tutela della salute mentale volte all'attuazione e allo sviluppo dei principi di cui alla legge 13 maggio 1978, n.180".
  2. Identificazione di confini definiti, e non opinabili, tra ciò che compete alla cura, e quindi ai dipartimenti di salute mentale, e ciò che compete alla custodia, alla gestione del rischio di violenza e della pericolosità che non possono in nessun modo essere delegati ai sanitari (in primis psichiatri e pronti soccorso facendo anche spesso confusione sull'utilità e sul razionale dei trattamenti sanitari obbligatori, normati proprio dalla Legge Basaglia). Il porre in essere di un limite netto al comportamento dell'individuo non può in nessun modo essere posto dalla psichiatria, ma dalla legge.
  3. Revisione del codice penale Rocco (soprattutto dell’art. 88) con abolizione del vizio totale di mente per disturbo psichico per restituire a tutti gli autori di reato la responsabilità dei propri agiti e mitigando (se non proprio eliminando) la confusione che scatta quando un definito folle (perché la diagnosi di "psichiatrico" e il giudizio della non responsabilità dei propri agiti spesso arriva prima della valutazione da parte di uno specialista) compie o minaccia un reato e necessità di definire un confine netto tra pratiche di salute e pratiche per la sicurezza pubblica.
  4. Guardare nelle pratiche (definite) alle Residenze per le Misure di Sicurezza come elemento residuale, e non come contenitore dove scaricare molto, in quanto, in territori dove i dipartimenti di salute mentale sono stati messi in condizioni di agire con pratiche capillari e le magistrature sono state sensibili alla tematica (perché partecipi a una riflessione continua congiunta) si è dimostrato che è assolutamente possibile trasformare misure di sicurezza detentive in non detentive e diminuire il ricorso a tali strutture (come in passato agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari).

Credo sia necessario affermare e sostenere a più voci che la legge Basaglia non vada abolita ma (ritorno al punto 1) finalmente realizzata.
Non è un caso che molte delle realtà riconosciute dall’OMS come avanzate in quanto a psichiatria di comunità si siano sviluppate a partire da esperienze locali che hanno prima informato la legge, ma che poi l’hanno voluta realizzare mediante invenzione di pratiche, istituzioni, modelli organizzativi complessi e presa in carico delle contraddizioni nella comunità.

 

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Simonetta Lucchi So., 14.05.2023 - 10:29

Sono d'accordo, credo che tuttavia le questioni vadano viste anche nella realtà locale. In provincia di Bolzano la "sanità" potrebbe intraprendere azioni mirate e autonome, in tutela di problemi quali alcoolismo e dipendenze, sofferenze psichiche dovute anche a discriminazioni e non accettazione sociale, aiuto alle famiglie. Assistenza reale, TSO, anziché sempre dire " non si può", "se il malato non vuole", "aspettiamo il fatto eclatante ". Volere è potere, ma bisogna agire fermamente e, giustamente, in concerto. Ma faccio presente: tutto parte da una certificazione medica.

So., 14.05.2023 - 10:29 Permalink