Wirtschaft | Il caso

La SunEdison salverà la Solland?

Dopo l’incontro al ministero dello Sviluppo economico, nuovo appuntamento fissato per il 29 ottobre. Sindacati sul piede di guerra: pronti a chiedere il fallimento.

C’è una speranza, seppur flebile, per la Solland Silicon di Sinigo. Nell’incontro di ieri a Roma, presso il ministero dello Sviluppo economico, infatti, la SunEdison si è detta pronta a stipulare con Massimo Pugliese, l’imprenditore irpino titolare insieme al Gruppo Pufin Power dello stabilimento di Sinigo, un contratto per la fornitura di 500 tonnellate l’anno di silicio di grado elettronico. Se questa sia un’ipotesi concreta è ancora tutto da verificare, il prossimo 29 ottobre intanto ci sarà un nuovo incontro a Roma per stabilire la fattibilità dell’intervento. Ma i dubbi non faticano a sollevarsi. La SunEdison, per cominciare, vuole testare il prodotto prima di firmare l’accordo e inoltre per riavviare l’impianto occorrono 10 milioni di euro per i macchinari, 5 per i fornitori più una fideiussione da sottoscrivere con Sel per l’energia elettrica che la società dovrà fornire a prezzi più bassi. In tutto 21 milioni. “Troverò i soldi”, ha detto Pugliese. Ma ci sono ancora le spettanze di agosto e il saldo della cassa integrazione da pagare ai 157 lavoratori della Solland. L’imprenditore garantisce che entro il 15 ottobre saranno versati stipendi, 730, fondo sanitario e Laborfonds relativi al mese di agosto mentre entro il 25 ottobre verrà liquidato il resto. “Siamo scettici sul fatto che Pugliese rispetterà le scadenze - dicono i sindacalisti - se le speranze verranno disattese il 29 ottobre chiederemo il fallimento”. Il punto è che se anche la SunEdison dovesse firmare l’accordo non ci sarebbero garanzie per il reintegro dei lavoratori; per mantenere i posti servono 1200 tonnellate di silicio elettronico, con le 500 dichiarate i dipendenti verrebbero dimezzati. Oggi, nel frattempo, il personale della Solland interromperà lo sciopero e si riunirà in assemblea insieme alla Rsu e ai sindacati. 

Attestati di solidarietà per gli operai della ex Memc arrivano trasversalmente da tutti gli schieramenti politici. La Destra Alto Adige, ad esempio, propone soluzioni come blocchi fiscali e l’istituzione di un fondo di solidarietà alimentato da pubblico e privato. La Sinistra ecosociale chiede “un piano industriale a lungo termine. Le imprese che delocalizzano o vanno in bancarotta dovranno rimborsare il contributo pubblico. Gli investimenti dovranno essere spesi in ricerca e sviluppo. In Italia si investe poco o nulla nella ricerca e nello sviluppo. Le quote previste dall’Europa sono pari al 3 % del Pil, mentre in Italia solo l’1,5 % viene investito nella ricerca. In Alto Adige questa quota è addirittura pari allo 0,59 %. La Provincia e lo Stato devono finalmente prendere sul serio le energie alternative e la loro produzione, anche attraverso finanziamenti pubblici diretti. La vita delle persone conta e a noi sta a cuore, più del profitto”.