Kultur | Le domande giuste?

"World in progress": una mostra nuova

Aperta ieri al Centro Trevi (Bolzano) la mostra interattiva sulla ricerca scientifica. Parla il curatore Alessandro Cristofoletti:"Anche noi abbiamo fatto ricerca".
Worldinprogress
Foto: World in progress

Bolzano. Alle 18:30 di venerdì 15 marzo, al Centro Trevi, è stata inaugurata la mostra World in progress - domande in cerca di risposte/Frega auf der Suche nach Antworten. Lo spazio del Trevi ospiterà fino al 10 aprile la mostra, che ha come tema la divulgazione della ricerca scientifica. Nel progetto sono stati coinvolti diversi professionisti nel campo della comunicazione: dalla scrittura alla narrazione, dal videomaking alla musica. Il curatore della mostra è Alessandro Cristofoletti, scrittore e fotografo.

 

salto.bz: Come nasce il progetto della mostra e come hai selezionato il team di persone che ti hanno affiancato, quali competenze sono servite per portare a termine il progetto?

Alessandro Cristofoletti: Abbiamo iniziato a parlare di World in progress già durante la scorsa estate. Elisa Weiss e Daniel Benelli cercavano di dare un seguito tangibile all’esperienza di Out of the Lab, un workshop di divulgazione scientifica a cui avevano partecipato alcuni ricercatori del NOI Techpark nel corso del 2018. Io ho proposto loro un esperimento narrativo diverso dal solito. Ho coinvolto fin da subito gli altri membri del team creativo che era, ed è, distribuito fra Bolzano e Vienna. Tutte le opere/installazioni sono nate dal confronto, quasi sempre telefonico o via skype con Nicole Bettini (graphic designer e illustratrice), Francesca Centonze (videomaker e designer) e Stefano D’Alessio (artista neomediale e compositore). E poi c'è da aggiungere che la mostra è stata realizzata grazie al sostegno dell'ufficio delle Politiche Giovanili della Provincia di Bolzano.

Il tema è quello della ricerca scientifica, che sottitende quindi - in una mostra  interattiva - il problema della divulgazione e della comprensibilità delle informazioni. Come hai lavorato, in quanto autore dei testi e da non ricercatore, su questo aspetto?

Ciò che ci interessa, in World in progress, non è di divulgare questa o quella scoperta scientifica, bensì di sfruttare la scienza e l’esperienza di undici giovani che operano nel campo della ricerca per trasmettere un approccio nei confronti del mondo e della vita che tutte le persone aperte, curiose e critiche possiedono, scienziati in primis. Un approccio che in questi tempi di incertezza e cambiamento si rivela molto utile per capire meglio cosa sta succedendo e temere meno il futuro.

 

 

Hai dei numi tutelari, dei ricercatori e dei divulgatori, che ti hanno accompagnato durante questo percorso?

I testi che ho scritto vanno in questa direzione, la quale è già indicata da altri grandi divulgatori scientifici come Carlo Rovelli, Stefano Mancuso ed Enrico Bellone, per citarne alcuni. Le informazioni scientifiche che loro comunicano non sono mai fini a se stesse. Nelle loro parole, oltre ai fatti naturali e alle teorie, si può intravedere un interesse filosofico che esce dai laboratori e cerca di dare una chiave di lettura umanistica alle grandi domande sul mondo che tutti noi ci poniamo. Scienza, arte e filosofia è giusto e doveroso che si parlino, che si arricchiscano a vicenda.

In che modo il visitatore della mostra dialogherà con i testi e con le installazioni? Quale tipo di rapporto avete modellato?

I visitatori hanno un ruolo attivo. La ricerca non è solo comunicata, è anche vissuta. In alcuni casi avviene con il movimento del corpo, in altri con l’utilizzo di una speciale fonte di luce. Questo percorso, come già accennato, vuole provocare azione. Se non ci si muove, se non si pensa, se non si gioca, non succede nulla.

 

 

Come avete coinvolto i ricercatori nel processo creativo della mostra?

I ricercatori hanno fornito le basi scientifiche e le storie su cui abbiamo realizzato quasi tutte le installazioni. Chiaramente, con percorsi di vita e professionali così eterogenei fra loro, avevamo bisogno di un elemento che li riunisse tutti, un elemento che potesse parlare anche a chi non si occupa di scienza. Abbiamo scelto il tema del cambiamento. La scienza e i suoi risultati, così come la nostra vita e tutto ciò che ci circonda, non sono elementi statici, ma processi in continua evoluzione, che vanno studiati e compresi per poterli affrontare al meglio. Bisogna essere disposti a provare, fallire, cambiare idea e riprovare.

Nel vostro team creativo ci sono mai state divergenze su cosa intendeste voi per ricerca scientifica o più in generale "ricerca", avete trovate una strada comune?

Uno degli aspetti del progetto che mi ha dato più soddisfazione è stato il clima nel team di lavoro. Siamo professionisti in settori diversi della produzione artistica. Ci siamo fidati delle qualità degli altri e abbiamo sempre cercato di trovare assieme il miglior compromesso tra necessità tecniche, di contenuto e, ovviamente, di budget. Questo però non prima di aver stabilito un vocabolario comune sul tema della ricerca, un punto di incontro che tutti hanno sentito come proprio.

Ci racconti solamente un'installazione?

Nella mostra si gioca e si fa ricerca. La consiglio ai giovani, dalle scuole medie in su e suggerisco di entrare in piccoli gruppi (due o tre persone alla volta). È un viaggio che parte dalla terra, raggiunge i margini del cosmo e torna indietro, fino a scoprire che l’oggetto più affascinante, complicato e misterioso dell’universo ce l’abbiamo noi, qui, sulla terra: si tratta del nostro cervello.