Kultur | Minoranze

Piccole Lingue

Indagare il misterioso universo delle lingue, le sue caratteristiche nella molteplicità che le contraddistingue, e al contempo nel potere formativo di culture e identità
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Castaways of Kerch - Ausschnitt
Foto: BFFB

“Cosa significa parlare una lingua che non è condivisa dalla maggior parte delle persone che ti circondano? Come si mantiene vitale una lingua di minoranza all’interno di una piccola comunità e che senso ha farlo? Qual è il rapporto con la lingua di origine quando si è lontani dalla propria terra?”

Con queste domande si presenta una nuova sezione all’interno del programma del Bolzano Film Festival Bozen 2021, nata per volere di un gruppo di docenti presso la Libera Università di Bolzano (LUB) e curata dallo stesso: “Piccole lingue DOC”. Per saperne qualcosa in più abbiamo chiamato Silvia Dal Negro, linguista, che insegna presso il corso di laurea magistrale di Linguistica applicata, ossia come si insegna una lingua.

Perché il titolo “Piccole lingue” e non “lingue di minoranze”? Sta proprio qui la differenza che si vuole far comprendere a un pubblico più ampio, ci spiega subito Dal Negro. Qui in Alto Adige sappiamo bene cosa significhi il termine generale “lingua di minoranza”, dove peraltro – volendo – a seconda del punto di vista si possono intendere tutte e tre le lingue parlate in questa provincia del Nord Italia: il tedesco, rispetto alla lingua nazionale italiana, il ladino, parlato in un territorio ristretto alla Val Gardena, e l’italiano, se considerato come lingua parlata entro i confini dell’Alto Adige, in cui la maggioranza (due terzi) parla tedesco. Ma non è questo aspetto che si vuole porre in evidenza. Silvia dal Negro da tanti anni studia il fenomeno delle minoranze linguistiche, inclusi anche i tanti dialetti, aldilà di quella principale, con cui aveva iniziato, ossia quella tedesca in Italia, ma che facente parte della grande area di paesi di lingua tedesca, non può essere considerata una “piccola lingua”. Piccole lingue sono quelle parlate da poche persone, spesso a rischio di estinzione.

 

Il focus nel corso di laurea da lei cofondato è da un lato sulle tecnologie del linguaggio, a servizio della tutela e della diffusione delle cosiddette “piccole lingue”, strumenti che aiutano - nel nostro caso il ladino che davvero è parlato da una popolazione ristretta che si estende un po’ nel Trentino – a conservarsi, diffondersi, conoscersi, con banche dati, dizionari, vocabolari.

Dall’altro lato si guarda con grande attenzione alla tutela delle lingue minori, anche nel contesto del multilinguismo che sorge dalla sempre più diffusa migrazione. Chi non conosce persone di origini arabe, albanesi, moldave, serbo-croate o altro, che giunte in Alto Adige si ritrovano a dover non soltanto imparare la lingua italiana ma anche quella tedesca? E allo stesso tempo vogliono mantenere la loro lingua come ancora identitaria? Ciò implica non pochi problemi per i giovanissimi che crescono in un determinato contesto culturale in famiglia e in un altro a scuola e nella vita pubblica. Quale lingua preferire per esprimersi? Quale per definire la propria identità? Non sono pochi gli interrogativi più ampi che si pongono immediatamente.

Rimaniamo nei due campi studiati a Linguistica applicata presso la LUB, che sono anche le due anime che rispecchiano gli interessi di chi ci insegna. Oltre alla già citata Dal Negro, ci sono Daniela Veronesi, Eleonora Mastropietro e Daniele Ietri, un geografo, particolarmente attento ai territori e ai popoli che li abitano, a volte davvero piccoli, che segue anche grazie a un mezzo di comunicazione prezioso e importante: il cinema. Nel suo caso per lo più i documentari. Da qui nasce la collaborazione con il BFFB, per cui è già stato organizzato un evento online nello scorso inverno (sulle pagine Facebook del festival) dedicato al documentario svizzero Resuns in lingua romancia realizzato dalle due registe Céline Carridroit e Aline Suter, già premiato al Trento Film Festival nel 2015 con la Genziana d’argento. Tema del film è la comunità romancia che vive nelle valli montane del Cantone di Grigioni (al confine con l’Alto Adige), dove il fatto di continuare a parlare e usare questa lingua antica è (anche) segno di opposizione all’ omologazione perché in maggiore armonia col paesaggio per quanto riguarda vocaboli e sonorità.

 

Spesso queste “piccole lingue” – ci racconta Dal Negro – corrispondono ad altrettante piccole comunità che vivono in territori isolati, come quella romancia, appunto. Basti pensare anche a quella cimbra, che si estende tra la Alta Valsugana nella provincia di Trento e la Vallagarina nelle vicinanze della provincia di Vicenza. Ma anche numerose altre in giro per il mondo.

Non necessariamente si lega a tradizioni antiche, a volte sono radici comuni acquisite altrove, non nella propria terra, a creare il senso di unione, come nel caso dei “dreamers” ritratti nello straordinario corto intitolato Little L.A. della messicana Fernanda H. Garcìa Besné. Un piccolo gioiello – peraltro realizzato come esercizio nel corso degli studi presso il FilmLab della scuola di cinema di Messico City – che in soli undici minuti offre uno sguardo profondo nell’anima di queste persone emigrate da bambini con le proprie famiglie negli Usa, cresciute nella lingua e nella cultura americana e successivamente, a causa delle politiche restrittive dell’amministrazione Trump, deportate e rigettate nel loro paese, di fatto per loro perfettamente sconosciuto: il Messico. Ecco perché hanno deciso di fondare un quartiere, Little L.A. per l’appunto, in cui riunirsi e condividere il loro “sogno” interrotto creando comunità. Ci sono persino esercizi commerciali. Il loro sentirsi estranei - e al contempo familiari - è espresso qui dallo spanglish, un mix inventato (simile al pidgin in altre zone) tra inglese e spagnolo, e dai loro tatuaggi, segni incisi sulla pelle che urlano la loro appartenenza alla cultura pop americana. Il film si compone di interviste, in cui non dominano i soliti mezzi busti, ma spesso la voce è fuori campo, mentre l’obiettivo perlustra da molto vicino volti e tatuaggi, o paesaggi e silhouette di case da lontano. Assolutamente da non perdere! Peccato che per questioni di lingua – suona quasi ironico – si sia deciso di far partecipare al “Nouvelle Waag Talk” dedicato a questa sezione unicamente i registi di lingua italiana. Sarebbe stato davvero interessante sapere di più riguardo a questa comunità, e alle esperienze visivo-sonore della giovane regista.

 

L’aspetto intrigante e basilare di Little L.A. ci conduce in uno dei temi base cari al gruppo dei curatori di “Piccole Lingue”: per studiare una minoranza linguistica che fa comunità è bene non guardarla in opposizione a quelle grandi, bensì indagare sul come ci si sente quando si sa che la propria lingua è “piccola”. Per individuare le caratteristiche fondamentali che spingono le persone a continuare a condividere una lingua pur sapendo benissimo che è condivisa da pochi. Ma Little L.A. apre anche un altro grande tema: comprendere meglio la componente tragica del sentirsi sradicati, del doversi spostare non per scelta. Sia nella nostra era contemporanea, dove gli esempi purtroppo non mancano, sia in epoche storiche, come per gli armeni, i greci, ecc. O per tornare agli argomenti trattati nei documentari presentati al festival e che saranno oggetto del nostro Talk (venerdì 16 aprile, ore 18, live sui canali social del festival), ad esempio per gli italiani in Crimea. Stefano Conca Bonizzoni narra in 25 minuti la doppia migrazione di una comunità italiana a Kerch, località situata sulla penisola del Mar Nero, dapprima emigrata dall’Italia, ancora nell’Ottocento per ragioni economiche, poi nel 1942 – accusata di sostenere il regime fascista del Duce - deportata dai soldati sovietici, per poi a guerra finita – in pochi, però – far ritorno nel loro paesino sul Mar Nero. Il titolo inglese Castaways of Kerch indica, grazie al significato plurimo della parola inglese castaway, “naufrago”, “persona cacciata” o “persona confinata”, la loro difficile esistenza oggi.

 

Di migrazione interna – un fenomeno molto presente in Italia, se pensiamo agli spostamenti massicci dal sud al nord negli anni cinquanta e sessanta – si parla nel documentario sardo Bar Seui di Andrea Deidda che narra la storia del nonno dell’autore e dei suoi coetanei, migrati a Cagliari dalla zona montana interna della Sardegna e che per “appartenenza” hanno continuato a usare il proprio dialetto per sostenersi a vicenda in una realtà spesso ostile. Un film sineddoche che nel piccolo racconta problematiche vissute in larga misura da tanti migranti in giro per il mondo.

Citiamo ancora brevemente gli altri documentari presentati: Ferro di Alessio Zemoz racconta una vecchia tradizione tuttora praticata in una comunità in Val D’Aosta che celebra con canti e balli il passaggio dei giovani all’età adulta e Sotto le stelle fredde girato in Carnia nel Friuli da Stefano Giacomuzzi che osserva la vita dei contadini in montagna, per catturare nel dettaglio il rapporto tra l’uomo e la natura. Infine ci spostiamo dall’altro lato del mondo, sulla sfera sud del pianeta in Cile, per conoscere attraverso lo sguardo di Rubén Sánchez la comunità ivi insediatasi di emigrati dall’isola di Haiti, che deve affrontare non pochi ostacoli per inserirsi nella vita locale. Il titolo di questo documentario Zanmi significa “amico” in creolo, la lingua che gli haitiani si sono portati dietro…

 

Rimane da affrontare un altro aspetto: come far meglio presente a chi guarda i documentari - che si vedranno in lingua originale con sottotitoli - le differenze linguistiche di chi parla? Un quesito che sorge spesso al cinema, quando si ha a che fare con film plurilingui le cui caratteristiche in un doppiaggio spesso vanno perdute ma che grazie all’uso di sottotitoli (dove si usano font o stili diversi per lingua) possono essere mantenute.
Di questo e altro discuteremo con Silvia Dal Negro e i registi, Stefano Conca Bonizzoni, Andrea Deidda, Stefano Giacomuzzi, Alessio Zemoz.