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La Regina degli scacchi

Dalla Russia all’Italia ma sempre da vincitrice. Grande Maestro Femminile, Maestro Internazionale assoluto e una vita intera tra pedoni e alfieri: Olga Zimina si racconta
Olga Zimina
Foto: G. Macellari

Nonostante si tratti di uno degli sport più antichi al mondo, gli scacchi riescono ancora oggi a radunare migliaia e migliaia di appassionati. Non tutti sanno che questa popolare disciplina trae le proprie origini dall’India e ancora meno sono coloro a conoscenza che proprio in India a Marottichal, nello Stato indiano del Kerala, esiste un villaggio sperduto per anni stretto nella morsa della dipendenza da alcol e che proprio grazie agli scacchi è riuscito a riscattarsi, con il 90% della popolazione che ogni giorno investe il proprio tempo libero a ricalcare le impronte di Bobby Fischer. 
A rimpolpare le fila dei circoli e ad affollare il traffico delle piattaforme dedicate, ci ha invece pensato la popolare serie tv “The Queen’s Gambit” trasmessa sulla piattaforma streaming Netflix, in cui Anya Taylor-Joy ben interpreta il ruolo della talentuosissima Elizabeth "Beth" Harmon, la spina nel fianco di tutti i Re delle scacchiere sparse in quel mondo ancora separato dalla Cortina di ferro. 
In molti si sono chiesti se davvero questa serie è in grado di fornire uno spaccato di realtà attendibile, almeno per quel che concerne la complessità che interessano gli scacchi a livello professionistico. Dubbi che vanno a sommarsi ai numerosi interrogativi che da sempre circondano questo mondo: gli scacchi sono uno sport maschilista? È vero che per diventare campioni è necessario imparare da piccoli? È così frequente l’abuso di sostanze per tenere sotto controllo la pressione? Luoghi più o meno comuni che salto.bz ha voluto approfondire con la due volte campionessa nazionale Olga Zimina, la vera “Regina degli scacchi” italiana, recentemente giunta in Sudtirolo in occasione del torneo Chess Days 2021 South Tyrol e che vanta i prestigiosi titoli di Grande Maestro Femminile e Maestro Internazionale assoluto.

 

salto.bz: Zimina, la sua lunga carriera da scacchista professionista è cominciata in una cittadina della Russia per poi proseguire in Italia, sempre e comunque da vincitrice. Ci racconta in breve il percorso che l’ha portata fin qui?
Olga Zimina: Adesso vivo a Modena. In Italia arrivai la prima volta all’età di 14 anni in occasione di un torneo a Campobasso e sin da subito questo paese riuscì a farmi scattare qualcosa. Più avanti conobbi l’uomo che diventò mio marito, italiano e scacchista pure lui, e quando ci sposammo venni naturalizzata italiana.

Attualmente e da diversi anni Lei sta rappresentando l’Italia durante i vari tornei internazionali. Non le è dispiaciuto abbandonare la casacca russa con la quale ha già portato a casa diversi importanti titoli?
In Russia ho vissuto fino ai vent’anni, adesso ne ho quasi quaranta. Metà della mia vita l’ho trascorsa in Italia, ho un marito italiano e una figlia italiana. Non ho nessun motivo per rappresentare ancora la mia terra d’origine.

Lei veste i titoli di Grande Maestro Femminile e Maestro Internazionale assoluto. Che cosa significano in concreto? E come si fa a raggiungere questi traguardi?
Il titolo più alto negli scacchi è quello di Grande Maestro assoluto. Accanto si trovano anche i titoli femminili, che hanno però parametri più bassi dal momento che necessitano di un minor numero di punti. Io ho raggiunto il titolo di Grande Maestro femminile, il grado più alto, ma ho scalato poi anche i titoli assoluti alla pari dei miei colleghi uomini. Per raggiungerli è necessario partecipare a diversi tornei internazionali, giocare un certo numero di partite e battere giocatori più forti. Questo ti permette di guadagnare le cosiddette norme, che in totale sono tre per ogni categoria.


Qual è il senso di suddividere la disciplina scacchistica sulla base di criteri riferibili al genere di appartenenza? Non sono delle fattispecie un po’ superate?
Va fatta una premessa, ovvero che alle scacchiste donne non è preclusa la possibilità di gareggiare contro gli uomini, ma sono pochissime quelle che effettivamente riescono a farlo, oltre al fatto che in percentuale le giocatrici rispetto ai giocatori sono molto meno e rappresentano all’incirca un decimo del totale. Le donne che hanno guadagnato il titolo di Grande Maestro Internazionale per adesso si contano sulle dita di due mani e questa suddivisione è il prodotto naturale di una cultura di un certo tipo. Sia chiaro, negli scacchi la donna non è deficitaria rispetto all’uomo ma non voglio nemmeno ridurre questa questione al fatto che le donne siano penalizzate in quanto minoranza. Però vorrei comunque sottolineare una cosa.

È inutile girarci attorno, essere donna ti porta a dover convivere con tutta una serie di aspettative sociali che non possiamo semplicemente far finta che non esistano


Prego.
Le donne che arrivano in alto sono poche, ma chi ci arriva è forte per davvero. Prendiamo ad esempio un torneo in cui a fronteggiarsi sono rispettivamente un uomo e una donna, con entrambi 2000 punti: è verosimile che nonostante il punteggio sia lo stesso la donna si riveli più forte: se è arrivata a 2000 punti è molto probabile che si stia allenando da molto più tempo rispetto all’avversario. E questo perchè la strada è difficile e turbolenta e arrivare in cima costa molta fatica. La motivazione è fondamentale ma spesso succede che a metà della salita ci si fermi per tornare indietro.

Si spieghi meglio.
È inutile girarci attorno, essere donna ti porta a dover convivere con tutta una serie di aspettative sociali che non possiamo semplicemente far finta che non esistano. Gli scacchi a questi livelli diventano una scelta di vita che impiegano gran parte della nostra quotidianità. E questa scelta difficilmente si concilia con altre cose, come la scelta di diventare madri e di costruirsi e portare avanti una famiglia. Nonostante io non sia mai stata la cosiddetta "donna di casa", quando è nata mia figlia per due anni ho comunque messo in stand-by tutto quanto e sono felice di averlo fatto. È innegabile però che questo stop abbia influito molto sulla mia preparazione e ho impiegato diverso tempo prima di riuscire a tornare al punteggio che avevo prima della gravidanza, ma dopo essere tornati al punto di partenza è chiaro che salire più in alto diventa difficile.

 

Ci sono anche esempi femminili che però hanno fatto la storia della disciplina, Judit Polgár solo per citarne una…
Polgár è sicuramente una delle donne più importanti. Nel suo caso specifico, ha avuto una famiglia e soprattutto un padre che non ha mai preteso diventasse la madre e la moglie di qualcuno ma che l’ha indirizzata sin da subito a intraprendere la scalata in questo sport. In concreto Polgár faceva la vita da “maschio” e questo le ha permesso di raggiungere i risultati straordinari che conosciamo. Dopodiché anche lei in un certo momento della sua vita ha voluto costruirsi una famiglia e nonostante continui a promuovere la disciplina degli scacchi, specie ora che si è interfacciata alla politica, non prende più parte a tornei e competizioni.

In generale lei reputa il mondo degli scacchi un ambiente maschilista? Ricorda qualche episodio spiacevole?
Non più maschilista rispetto a quello che è la società nel suo complesso. L’unica cosa spiacevole, se così si può dire, che mi sia capitata durante i tornei è quando gli avversari maschi si ostinano a usare il bagno delle femmine, ma questo per il semplice fatto che loro sono in cinquanta e noi solo tre (ride). In generale davanti alla scacchiera, sebbene ti possa capitare l'avversario che si ritiene naturalmente e biologicamente superiore a te, oppure quello che reputa umiliante perdere contro una donna, rimane tutto nella loro testa e vieni trattata nei fatti per l’avversaria che sei. Dopodiché io sono una delle migliori giocatrici italiane, l’anno scorso e per la seconda volta ho vinto il campionato nazionale: sconfiggermi in una partita rimane tutt’oggi un’impresa assai difficile.

Non è necessariamente vero che per imparare a giocare bene bisogna cominciare da piccoli

Uno dei luoghi comuni più ricorrenti che circondano il mondo degli scacchi è quello che per diventare campione, o campionessa che sia, è fondamentale cominciare a destreggiarsi sin dalla più tenera età. È davvero così? Lei a quanti anni ha iniziato a giocare?
Io ho cominciato a cinque anni. Osservavo con attenzione i miei genitori giocare per ammazzare il tempo e mi sono appassionata. Successivamente hanno cominciato a mandarmi a scuola di scacchi. Dopodiché non è necessariamente vero che per imparare a giocare bene bisogna cominciare da piccoli, esistono bravissimi giocatori che hanno cominciato ad interfacciarsi alla materia solo da adulti. Certo, probabilmente non arriveranno mai a livelli così alti ma per il semplice fatto che anche a vent’anni la vita sta già facendo il proprio corso e si è già sommersi da numerosi mpegni. Ma appunto nulla vieta di poter raggiungere ottimi risultati, se non ci si fa mancare il tempo, la dedizione e un buon insegnante.

Quante ore si allena ogni giorno?
In condizioni normali ero solita a studiare quattro o cinque ore al giorno. In concomitanza delle gare forse anche di più. Considerando che adesso faccio anche l’istruttrice devo dire che non ho più tutto questo tempo per esercitarmi e affinare le tecniche. Ad ogni modo continuo ad esercitarmi online con il mio maestro e la mia sparring partner, che entrambi vivono in Russia. Alla fine, gira e rigira, anche quando non mi alleno direttamente, gli scacchi c’entrano sempre.


I giocatori russi sono ancora i più forti di tutti, come tradizione vuole?
In realtà noi russi abbiamo perso un po’ il primato a cui siamo stati per molto tempo abituati. Basti pensare che il campione del mondo attualmente in carica è il norvegese Magnus Carlsen, ma anche Cina e India ultimamente stanno scovando dei talenti incredibili. Ogni paese ha il proprio “genio” ma c’è comunque da sottolineare che la Russia brulica tutt’oggi di Grandi Maestri fortissimi. L’Urss prima e la Russia poi sono sempre state caratterizzate da una cultura scacchistica molto forte: lo sguardo del paese influisce tantissimo, se un Governo valorizza una disciplina e sostiene, anche economicamente, chi la pratica allora diventare forti è decisamente più semplice. In fondo si tratta di un lavoro vero e proprio.

Lei ha visto la serie tv “The Queen’s Gambit”
Certamente!

La considera tutto sommato una narrazione realistica rispetto alla complessità del mondo degli scacchi professionistici? [nb: spoiler alert]
In quella serie ci sono molte cose vere e altrettante cose non vere. Le scene in cui mi sono ritrovata di più riguardano l’allenamento e la dedizione di Beth: tutte quelle ore passate, soprattutto da sola, tra libri, pedine e scacchiere, così come l’assidua partecipazione ai tornei, il farsi conoscere e rispettare: perchè quando arrivava Beth, la protagonista, lo notavano tutti. La parte non vera, o che almeno io non mi ci ritrovo, è sicuramente quella inerente all’abuso di psicofarmaci e sostanze, che creano un danno fisico oltre che mentale e quindi inconciliabile con i livelli di performance richiesti da questo mondo. Forse erano più inclini alla dipendenza i partecipanti dei tornei di una volta, che potevano durare anche quaranta giorni di fila, immaginate la pressione! Ecco per quel che mi riguarda, l’unica cosa che ho visto era sì e no qualche vitamina. Ci pensano pazzi ma siamo persone normalissime. Dopodiché anche la morale del film vuole che Beth - che rimane comunque una ragazza giovane con il desiderio e la curiosità di nuove esperienze - abbia intrapreso un percorso di maturazione, riuscendo a raggiungere da lucida il suo obiettivo finale.


È vero che grazie a questa serie sono in molti ad essersi avvicinati agli scacchi?
Assolutamente sì, il fenomeno è decisamente esploso, soprattutto tra le bambine e le ragazze. 

Spesso chi arriva molto in alto in una disciplina e capisce di aver raggiunto tutto il raggiungibile tende a smettere. Lei riesce a vedere o anche solo a immaginare il suo futuro senza scacchi?

Se ci facciamo caso, notiamo che il destino di ogni sportivo, prima o poi diventa quello di lasciare la propria disciplina, almeno quel che concerne l’aspetto agonistico. Molti però quel mondo non riescono ad abbandonarlo del tutto e diventano a loro volta funzionari, allenatori ecc. Per quanto mi riguarda, io so che non succederà mai: gli scacchi sono il mio mondo e non posso immaginare la mia vita senza di loro. Dopodiché per me non esistono solo le gare, gran parte della mia giornata la dedico all’insegnamento o a curare il mio canale educativo su YouTube. Gli scacchi mi hanno dato tanto e quello che posso fare è condividere le mie conoscenze e la mia passione con chi ha voglia di imparare e perchè no anche di intraprendere la scalata per raggiungere e superare i migliori.

Gli scacchi sono una passione e se non giochi con passione diventa una sofferenza

Ha accennato prima a sua figlia. La passione per gli scacchi è riuscita a trasmetterla anche a lei?
Quando era piccola Sofia giocava e devo dire anche a livelli piuttosto buoni. Adesso, a sedici anni, sta maturando altri interessi anche se a volte, quando insegno ai più piccoli, mi aiuta ancora. Diciamo che gli scacchi fanno ancora parte del suo presente, ma non credo faranno parte anche del suo futuro.

E questo le dispiace?
Sa come si dice sui figli, no? L’importante è che siano felici. Sarei più dispiaciuta se la costringessi a fare qualcosa che non le piacesse e lei lo facesse solo per dovere. Ognuno deve essere libero di fare le proprie scelte e seguire i propri desideri. Gli scacchi sono una passione e se non giochi con passione diventa una sofferenza e chi vuole la sofferenza per i propri figli?