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Nella terra di mezzo

Con Adel Jabbar parliamo di "Paesaggi interculturali nella terra di mezzo - Esperienze per una società plurale" (Kanaga Edizioni), di cui è uno dei tre co-autori.
Adel Jabbar
Foto: Adel Jabbar

I termini 'intercultura' e 'interculturale', sia nella forma di sostantivo che in quella di aggettivo, vengono usati e rischiano di essere intesi e trattati spesso come una mera etichetta, svuotata del contenuto di umanità, fatto di incontri e problemi concreti affrontati nella vita reale dalle persone migranti e provenienti da altre culture, a cui invece dovrebbero necessariamente fare riferimento.

Tutt'altra impostazione rispetto a questo uso diffuso che rende ambigua e opaca la parola intercultura, si trova nella recente pubblicazione "Paesaggi interculturali nella terra di mezzo - Esperienze per una società plurale" edito nel 2022 dalla casa editrice Kanaga Edizioni e curato a più mani da Adel Jabbar, Giusi Diquattro e Gianluca Gabrielli.

Il libro raccoglie i contributi di una ventina di autori di diversa provenienza e formazione, ed è frutto di un intenso dibattito tra un ristretto nucleo di studiosi impegnati nella mediazione e comunicazione interculturale, e nell'analisi delle problematiche legate alle migrazioni, un confronto approfondito nei mesi di lockdown totale attraverso incontri regolarmente tenutisi in modalità virtuale, come racconta lo stesso Adel Jabbar.

Adel Jabbar, studioso e docente di sociologia iracheno che ha curato il volume, dopo la laurea a Trento nei primi anni Ottanta ha seguito un corso postlaurea in diritti umani all'università di Padova. È inoltre autore di un vasto numero di saggi, presenti in pubblicazioni su temi legati alla sociologia delle migrazioni.

A Bolzano, dove risiede da anni, ha già curato e continua a proporre innumerevoli iniziative interculturali, ovvero di confronto con le nuove lingue e culture portate dagli immigrati e su tematiche attinenti.

In questo libro, suddiviso in cinque capitoli, oltre all'introduzione e a due testi in due differenti sezioni, ha scritto una postfazione, in cui sviscera attraverso una serie di domande, l'ambiguità nell'uso attuale del termine 'intercultura', per indicare forse un migliore approccio nel futuro.

Con Salto.bz, Adel Jabbar ha parlato della genesi e dei contenuti di questo libro corale e delle tante domande che lascia aperte.

salto.bz: Adel Jabbar come è nato questo libro e quali sono i suoi contenuti?

Adel Jabbar: È nato in modo molto spontaneo, durante il periodo del lockdown. Tra amici e studiosi con una decennale esperienza professionale nel campo della comunicazione interculturale, a livello accademico ma anche pratico, ci siamo confrontati in assidui incontri online per una ampia riflessione sulle nostre rispettive esperienze.  Abbiamo poi coinvolto anche altre persone, scrittori e scrittrici provenienti da diversi paesi e stanziati come noi in Italia, con i quali esisteva un rapporto amicale e affettivo. Alla fine abbiamo pensato di raccogliere le nostre riflessioni in un libro, organizzando in capitoli i contributi di ventuno autori, tutti di età, genere e provenienza diversa, che toccano rispettivamente la relazione tra immigrazioni e trasformazioni sociali, la memoria, l'esperienza in campo formativo, l'elaborazione autobiografica del vissuto, le forme sperimentate del razzismo, l'evoluzione del linguaggio nelle nuove generazioni. Anche se i temi restano comunque trasversali.

Perché 'nella terra di mezzo'?

Parliamo di 'paesaggi' e di 'terra di mezzo', perché danno l'idea del movimento, di un continuo cambiamento, piuttosto che di qualcosa di statico, come spiega bene il sociologo Marco Aime nella prefazione al libro. Parlare di intercultura come una terra di mezzo, lascia poi spazio a una prospettiva aperta verso il futuro.

Anche l'edizione stessa del libro rispecchia un approccio interculturale.

È un libro molto curato, sia nei testi che nella forma. Abbiamo affidato la pubblicazione a una piccola casa editrice con sede in Lombardia, la Kanaga Edizioni fondata da due senegalesi, amici di lunga data. È un libro di qualità e accuratezza artigianale. L'immagine della copertina che rappresenta un ventaglio, un oggetto diffuso in molte culture e che abbiamo scelto come simbolo interculturale per eccellenza, è stata creata da una disegnatrice italo brasiliana, Anna Carolina Sorgato innamorata della grafica giapponese.

Lei chiude il libro nella postfazione con una serie di domande, vuol dire che non ci sono risposte?

Per arrivare alle risposte dobbiamo porci prima le domande, su cosa intendiamo col termine 'interculturalità', se intendiamo davvero affrontare e risolvere le problematiche del presente per arrivare a una società equa, che consideri equamente la pluralità delle culture, dando spazio e voce ai diversi protagonisti coinvolti in prima persona nelle esperienze migratorie e tenendo sempre conto del contesto, quando parliamo di interculturalità.

Oltre alla sua attività di docente in diverse università italiane, lei è conosciuto a Bolzano per aver curato molti eventi culturali che coinvolgono e avvicinano i linguaggi, dalla scrittura alla musica, e le altre forme d'arte, di paesi e culture diverse, tutti presenti in Alto Adige e in Italia. Può nominare qualche iniziativa significativa?

Tra le rassegne svolte ricordo "Esodo e Confini", al cinema Capitol e "Sguardi verso Nuove Pagine" letterarie, all'Espace la Stanza; e ancora, 'Intrecci' un evento multimediale al Centro Trevi.

Tra le iniziative ancora in corso invece, ci sono una rassegna musicale promossa dall'associazione ART. L'edizione attuale è intitolata 'Musica: cura in ambito educativo e sociale'. Inoltre "Appunti", una serie di conversazioni su letteratura, arte, tradizioni, narrativa e produzione cinematografica che si svolgono online in collaborazione con Cedocs e il ciclo "Colonialismo, il passato ancora presente" alla Biblioteca Culture del mondo.

Il 7 novembre abbiamo presentato infine due mostre: 'Nella terra dell'aquila' e 'Nella terra del dragone' rispettivamente sulla lingua, scrittura e letteratura albanese e su quella cinese, che si terranno all'Espace La Stanza.

Sempre in un testo nel libro, lei riporta un aneddoto personale, di quando appena arrivato all'università per stranieri di Perugia, non sapeva una parola di italiano. Lei ha attraversato quindi di persona le problematiche trattate in questo libro. Ma come era arrivato a scegliere di venire in Italia?

Sono cresciuto a Baghdad e ho conosciuto l'Italia attraverso il cinema, in particolare attraverso i film di Rossellini e Visconti e di altri registi, che erano proiettati a Baghdad. E poi mio padre, dal quale ho ereditato un'insaziabile curiosità, mi portava regolarmente alla fiera internazionale di Baghdad, e lì ricordo lo stand dell'Umbria e dell'Emilia Romagna dove c'era anche il giornale l'Unità. Così decisi più tardi di venire in Italia a studiare.

Cosa la guida in tutte le sue molteplici attività?

La curiosità è rimasta il motore principale che mi sprona a conoscere e incontrare altre persone altrettanto curiose con cui a volte riusciamo a realizzare nuovi interessanti progetti.