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Le parole che (non) pronunciamo

Con “La farmacia del linguaggio” Federico Faloppa offre una terapia al discorso d'odio. E all'indifferenza. Stasera la presentazione a Bolzano.
Faloppa
Foto: Salto.bz

“Siamo portati a credere che l'odio sia creato da odiatori/odiatrici tradizionali o di professione, oppure dalle cosiddette ‘centrali dell’odio’, dalla ‘Bestia’ di Salvini in giù. Ma la gogna mediatica riguarda tutti noi: se non facciamo attenzione, possiamo scatenarla tutti verso chi non la pensa come noi. Perché crediamo di stare dalla parte giusta, ma immediatamente passiamo dalla parte del torto”. È uno dei passaggi dell’intervista a Federico Faloppa, pubblicata a gennaio, nella quale il linguista e docente nel Regno Unito raccontava a salto.bz il libro curato con Vera Gheno, Trovare le parole, un “abbecedario per una comunicazione consapevole”. In un intervento tenuto a Bolzano nello stesso mese, Faloppa ha ulteriormente articolato le proprie riflessioni sui discorsi d’odio, partendo dalla definizione delle “parole che feriscono” per invitarci a pronunciare anche “parole che curano”. Il suo discorso è confluito in un libro, La farmacia del linguaggio. Parole che feriscono, parole che curano (edizioni alpha beta Verlag, con la postfazione di Gabriele Di Luca), che sarà presentato stasera alle ore 18 presso la Sala Fronza del Teatro Cristallo di Bolzano alla presenza degli autori.

Quale cura è possibile, in un mondo di interazioni (soprattutto online) segnate dall’hate speech? Nel suo libro, Faloppa prova a offrici una terapia, necessariamente “di gruppo”, collettiva. E lo fa sottolineando l’importanza fondamentale dell’ascolto, “del mettersi in ascolto, del dare voce all’altro. Dargliela nella sua lingua, nel suo codice. Per rendere efficace la cura, oltre che uno spazio civile (…), è necessario coabitare una relazione e una lingua. Imporre la relazione, o negare la lingua all’altro, può infatti produrre dolore, accelerare la malattia senza peraltro interrogarsi sull’essenza della cura”. Perché noi siamo le parole che pronunciamo.

 

Contro l'indifferenza

 

Un concetto che Gabriele Di Luca, nella sua bella postfazione, integra non solo applicando il ragionamento di Faloppa alla peculiare realtà linguistica del Sudtirolo, bensì introducendo anche un elemento ulteriore, quello dell’indifferenza. Di Luca parte da sé, dalle confessioni di un provocatore pentito, ripercorrendo la sua lunga esperienza nel web sudtirolese, tra forum, blog e social network: una “bolla altoatesina” nella quale l’incontro tra lingue diverse assume (spesso inconsapevolmente) le sembianze dello scontro “etnico”. La convivenza tra gruppi linguistici necessita quindi di un’ancora maggiore attenzione sulla lingua (anzi, le lingue), ma anche di una particolare cura nel considerare il punto di vista dell’altrə, nel non ignorare l’esistenza dell’altrə. “Più pericoloso dell’odio - scrive Di Luca - è infatti il fenomeno dell’indifferenza, l’accettare che la presenza dell’altro venga talmente svuotata di contenuti, sia talmente data per scontata, da non ritenere che la sua eventuale sottrazione apporti un cambiamento essenziale nelle nostre vite”.

A volte, dunque, è proprio l’assenza delle parole a ferire, le parole che non pronunciamo, le parole dette a metà, i silenzi. Curarci dell’altrə, dunque, passa non solo dall’ascolto, ma da un’agire esplicito, affinché il nostro abitare nel mondo non ci renda indifferenti alle debolezze e solitudini umane.