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“Io, pasticciere, eterno teenager”

Andreas Acherer, dal negozio di Brunico al successo in tv con Best Bakery. Storia di un pasticcere nato. “Questa è sempre stata la mia strada, volevo farlo per mio nonno”
Andreas Acherer
Foto: Acherer

Sette anni all’estero ma l’ago della bussola puntava sempre verso casa: Brunico. È lì che Andreas Acherer, rinomato maestro pasticciere, voleva tornare dopo la gavetta per ridare vita all’attività del nonno. E così, a 26 anni, insieme alla moglie Barbara Strondl, fiorista, ha aperto la Acherer Patisserie.Blumen, boutique di dolci e negozio di fiori insieme, un’idea che nel corso del tempo (“all’inizio è stata durissima”) è diventata un segno distintivo. Approdato anni dopo anche a Bolzano con un negozio in pieno centro, Acherer, che fra le sue “cartucce” annovera la membership del Relais Desserts International, autorevole associazione parigina che raccoglie i migliori pasticceri del mondo (“farne parte era il sogno della mia vita”), è finito in tv. Il 41enne brunicense è infatti, con il collega Alessandro Servida, giudice di “Best Bakery”, il programma, in onda su Sky, che seleziona e incorona la miglior pasticceria d’Italia. 

 

 

salto.bz: Acherer, come si è trovato nei panni di giudice “mainstream”?

Andreas Acherer: Devo dire che avendo già fatto in più occasioni il giudice, penso ai campionati mondiali di cioccolateria, per fare un esempio, sapevo come muovermi, certo davanti alle telecamere e a uno staff di quaranta persone non è stato facile, anche perché essendo di madrelingua tedesca, ragiono in tedesco e dovevo tradurre nella mia testa e poi parlare in italiano. Capitava di stare fermi sul set anche un’ora e mezza solo per dire due frasi, perché un motorino che passava o un telefonino che squillava rovinava la ripresa. Il programma lo abbiamo girato a luglio, agosto e settembre, e a gennaio è partita la messa in onda, per me che sono abituato a vedere subito i risultati del mio lavoro questa esperienza è stata insolita ma senza dubbio divertente. Ho fatto due casting e sono stato preso, sembra che la rete e la produzione siano soddisfatti. Vedremo se faremo il bis per la prossima stagione.

C’è un aneddoto da raccontare su questo viaggio nelle pasticcerie italiane?

Una volta eravamo in un negozio a Milano e dopo aver degustato un dolce alla birra e alle pesche ho detto che sapeva di marcio. Tutti hanno sbarrato gli occhi e si sono messi a ridere. Il dolce era fatto tecnicamente bene ma l’abbinamento era del tutto sbagliato. Comunque dopo questo episodio mi sono guadagnato un soprannome, oggi quando sento al telefono Alessandro [Servida], esordisce sempre con un “ciao marcio”.

Avevo 26 anni quando ho iniziato, le cose cambiano, ho avuto un’occasione per crescere e l’ho colta

Perché la tv?

Sono stato contattato varie volte dalla Endemol, la casa di produzione di Best Bakery, ma ho sempre rifiutato di mettermi in gioco perché nella vita preferisco stare dietro le quinte. La decisione di prendere parte al programma ha rappresentato un’occasione per la nostra attività. Un anno fa abbiamo cominciato a collaborare con la grande distribuzione e ora i nostri macarons e i nostri dolci arrivano in tutta Italia. Con la visibilità data dallo show aumentano le possibilità di far crescere di più il nome a livello nazionale e di far conoscere di più il nostro prodotto. 

Non è quindi elitario il suo concetto di pasticceria.

Quando siamo partiti, 15 anni fa, l’idea era quella di fermarci al negozio di Brunico e al piccolo laboratorio. Poi è arrivato il successo ed è nato il vero business, abbiamo aperto un nuovo laboratorio da 800 metri quadri a Perca, arrivando a 27 dipendenti in tutto. Avevo 26 anni quando ho iniziato, le cose cambiano, ho avuto un’occasione per crescere e l’ho colta. A un certo punto abbiamo aperto il negozio a Bolzano e poi abbiamo considerato l’ipotesi di fare lo stesso a Merano, Trento, Verona, ma dalla Val Pusteria sarebbe stato complicato logisticamente starci dietro, per via della lontananza. E in più reperire personale al giorno d’oggi è molto difficile. Allora abbiamo pensato che se qualcun altro si fosse occupato della vendita per noi sarebbe stato un grosso sgravio di lavoro, e così è stato. Un’agenzia altoatesina promuove i nostri prodotti in giro per il Paese. L’anno scorso abbiamo venduto quasi 300mila macarons in tutta Italia. 

Lei ha lavorato in Austria, Germania e Svizzera, perché a un certo punto ha deciso di tornare a Brunico? Meno competizione?

La verità è che volevo ridare vita all’attività di mio nonno, che se ne è andato 5 giorni dopo che ero nato. Lui aveva un forno. Il mio obiettivo è sempre stato quello di tornare e aprire lì il mio negozio.

 

 

Cosa risponde ai “puristi” che criticano chi, fra chef e pasticceri, si presta alla tv?

Carlo Cracco ha associato la sua immagine alle patatine, Iginio Massari è costantemente in tv, ormai sono moltissimi gli addetti ai lavori che hanno sdoganato il piccolo schermo. Grazie a tutti questi professionisti la cucina e la pasticceria hanno avuto un enorme sviluppo in Italia da qualche anno a questa parte. La gente è tornata a interessarsi alle produzioni artigianali.

Non c’è il rischio di farsi travolgere troppo dall’estetica a scapito del gusto, assecondando l’apparire?

Molto banalmente penso che il dolce debba essere bellissimo ma anche buonissimo, altrimenti il cliente lo compra una volta sola. 

Effetti della popolarità? 

Varie offerte di aprire negozi a Milano e a Roma, per esempio. Ma per ora questo non è nei nostri piani. I progetti si coltivano con calma, è come per i dolci: ci vuole il tempo giusto altrimenti viene fuori un pasticcio.

Carlo Cracco ha associato la sua immagine alle patatine, Iginio Massari è costantemente in tv, ormai sono moltissimi gli addetti ai lavori che hanno sdoganato il piccolo schermo. Grazie a tutti questi professionisti la cucina e la pasticceria hanno avuto un enorme sviluppo in Italia

Quando ha capito di aver trovato la sua strada? Quando c’è stata la cosiddetta folgorazione?

Già all’asilo. Una volta dovevamo fare un disegno che raffigurasse cosa volessimo diventare da grandi, e io ho ritratto un pasticciere. Quando ho aperto il negozio a Brunico mia madre me lo ha fatto incorniciare quel disegno. Ho sempre saputo che volevo fare questo mestiere nella vita.

Chi era Acherer quando ha iniziato e chi è oggi? 

Sono sempre la stessa persona, lo stesso inguaribile teenager. 

Con sua moglie Barbara avete dato vita a un nuovo concetto di negozio. Com’è nata l’idea?

Per caso. Ho conosciuto Barbara in Austria, dove stava studiando, e l’ho convinta a tornare con me a Brunico, volevo che riuscisse a fare nella vita quello che amava di più, la fiorista. All’inizio è stata tosta. La gente non capiva il concetto del “doppio negozio”, pensava che i fiori fossero solo decorativi, ne abbiamo buttati tanti. Ma abbiamo insistito e alla fine i nostri sforzi sono stati ripagati.

 

 

Lei è l’unico maestro pasticciere in Italia ad essere stato ammesso nella prestigiosa associazione di cioccolatieri svizzeri “Chaîne Confiseur”. Qual è il suo rapporto con questo ingrediente, il cioccolato?

Intenso. Credo che come in ogni ambito professionale bisogna cercare di distinguersi. Anni fa sono andato a Parigi, in un piccolo laboratorio, a creare il mio cioccolato. L’ho chiamato “âme sœur”, “anima gemella”. Per me la sfida era fare un cioccolato che avesse delle caratteristiche altoatesine e con le sua note molto fruttate, di frutti rossi per la precisione, credo di esserci riuscito. Volevo unire i sapori, ecco, ma non quelli della Val Pusteria, beninteso, sennò avrei ottenuto un cioccolato che sapeva di patate o di mais [ride]. 

Per fortuna i nostri clienti non sono noiosi, certo sono legati ai loro dolci preferiti, ma sono anche molto curiosi di sperimentare

L’ultima scoperta che ha fatto?

Ho capito di avere il talento di immaginare connubi vincenti di materie prime diverse. È capitato infatti di lanciare, senza prima fare alcuna prova, in edizione limitata, dei dolci particolari che sono poi stati accolti molto bene permettendoci di andare subito in produzione. I clienti ormai se lo aspettano quel qualcosa in più. Ci siamo inventati per esempio una monoporzione che si chiamava “Jim Carrey”, a base di curry e ananas; da due anni a Pasqua facciamo una monoporzione agli asparagi e fragoline di bosco. Poi ne abbiamo creata una al peperone rosso, fragola e lampone. Per fortuna i nostri clienti non sono noiosi, certo sono legati ai loro dolci preferiti, ma sono anche molto curiosi di sperimentare. 

 

 

Come si tiene a bada la pressione di dover mantenere standard stellari?

Mettendosi nei panni del cliente e seguendo l’istinto. So quali sono le materie prime che voglio usare, la qualità che voglio ottenere, il procedimento di produzione che voglio seguire e non ho che da seguire quella strada. 

Oltre la pasticceria cosa l’appassiona?​

La mia famiglia. E un tempo la corsa. Anni fa avevo un ambizioso progetto con un amico, arrivare in treno al Brennero e poi da lì correre fino a Santa Maria di Leuca. Ci eravamo allenati, era tutto pronto, ma poi tre giorni prima di partire mi sono fatto male inciampando su un marciapiede. Allora ho buttato via le scarpe da ginnastica e non sono mai più andato a correre. Sono fatto così, se passa l’attimo è finita.