Chronik | Operazione “Perfido”

La ‘ndrangheta (anche) in Trentino

Dopo Bolzano tocca a Trento. L’operazione dei Ros: porfido, affari, voto di scambio per i clan. In carcere anche un ex assessore comunale. Lo scandalo e i nomi illustri.
Carabinieri
Foto: upi

I sospetti su eventuali infiltrazioni nel porfido in provincia di Trento si sono rivelati fondati. Almeno secondo il quadro, allarmante, che emerge dall’operazione “Perfido” condotta dal Ros dei carabinieri assieme ai comandi dell’Arma di Trento, Roma e Reggio Calabria, e coordinata dalla Dda di Trento. I militari hanno eseguito l’ordinanza con cui il tribunale di Trento, su richiesta della Procura, ha disposto le misure cautelari a carico di 18 persone, 13 in carcere e 5 ai domiciliari. Per i militari, gli esponenti della cosche ‘ndranghetiste Serraino, Iamonte e Paviglianti del reggino sarebbero riusciti a infiltrarsi nelle cave nel comune di Lona-Lases, in val di Cembra. Ma non è tutto, i risvolti appaiono ancora più gravi: l’infiltrazione sarebbe stata condotta anche nella politica comunale del territorio - tra gli arrestati nel blitz di stamattina all’alba figura un ex assessore proprio di Lona-Lases -, con tentativi di avvicinamento anche su quella provinciale. Contestualmente, il Ros assieme alla squadra mobile della polizia di Reggio ha dato seguito all’operazione “Pedigree 2”, sempre a cavallo tra i due territori a sud e nord d’Italia. Cinque i fermi e 13 milioni di euro il valore dei beni sequestrati. Quattro mesi fa invece l’operazione della polizia di Stato sulla “locale” ’ndranghetista a Bolzano.

 

Operazione “Perfido”

 

I dettagli della prima operazione, che si lega alla seconda per via delle evidenze risultate in fase di indagine e che hanno portato al coordinamento investigativo tra le Procure, sono stati illustrati in mattinata nella sede del comando dei carabinieri di Trento da Sandro Raimondi, procuratore capo, e dal comandante del Ros Pasquale Angelosanto.

Per gli inquirenti è emersa l’esistenza di una “locale” di ‘ndrangheta che operava sul territorio trentino. Sarebbe quindi la seconda “locale” scoperta in regione dopo quella di Bolzano sgominata dallo Sco e dalle squadre mobili della polizia di Bolzano e Trento.

Riguardo al territorio trentino, i militari hanno ricostruito il radicamento della mafia di origine calabrese, nell’ambito del fenomeno più ampio che nei decenni scorsi ha portato gli affiliati calabresi a radicarsi nelle zone del nord Italia, aree con una maggiore ricchezza e maggiori possibilità di permeare il tessuto economico legale.

Addirittura, la presenza in val di Cembra sarebbe riconducibile a partire dagli anni Ottanta e Novanta, periodo in cui l’industria “dell’oro rosso”, a differenza di oggi, era particolarmente florida. Le attività investigative del Ros si sono sviluppate a partire dal 2017. Sempre secondo il quadro investigativo, l’attenzione si è concentrata sui presunti affiliati alla “locale” trentina, che avrebbe tenuto costati rapporti con la locale di Cardeto (Reggio Calabria).

 

Violenza, speculazione e politica

 

Per i carabinieri l’infiltrazione nel tessuto imprenditoriale delle cave trentine è avvenuto tramite l’intimidazione degli addetti e dei lavoratori del settore, ma anche con le speculazioni condotte attraverso la commercializzazione di prodotti in nero e la falsificazione di bilanci.

Per la parte politica, gli investigatori ritengono che sia stata attuata un’attività di infiltrazione nella politica locale al fine di orientarne a proprio favore le decisioni amministrative e politiche. Si parla anche di voto di scambio e di sostegno elettorale offerto a candidati “amici”.

Pesante il quadro accusatorio. Gli indagati, più di una ventina, non tutti oggetto di misure cautelari, in concorso tra loro avrebbero compiuto numerosi reati, sfruttando la forza dell’intimidazione e del vincolo associativo e la detenzione e il porto illecito di armi comuni e da guerra. Lo sfruttamento dei lavoratori, con la riduzione in schiavitù e l’estorsione, gravi reati contro la persona e il patrimonio, sequestro di persona, lesioni personali, reati contro il fisco, contro la libertà di voto al fine di condizionare l’azione politico-amministrativa dei rappresentanti politici locali. In quest’ambito in particolare, gli inquirenti contestano lo scambio elettorale politico-mafioso (punito dall’articolo 416-ter del codice penale). Tramite una figura cerniera, uno degli arrestati, gli esponenti ‘ndranghetisti avrebbero tentato di avvicinare i rappresentanti delle più elevate cariche istituzionali locali al fine di condizionare la loro attività e ottenere determinati vantaggi. Nelle intercettazioni figurano infatti nomi illustri (assessori provinciali in carica e no, ex parlamentari), tirati in ballo dagli indagati che puntavano ad avvicinare politici e amministratori per ottenere benefici, offrendo la merce del consenso elettorale pilotato.

 

Operazione “Pedigree 2”

 

C’è poi l’operazione “Pedigree 2” condotta contro la cosca Serraino, seguito della “Pedigree 1” che come spiega il Fatto quotidiano aveva portato a luglio all’arresto di 12 persone e tra questi il reggente della cosca, Maurizio Cortese, e la moglie Stefania Pitasi ritenuta promotrice del clan e “portavoce” sul territorio del marito detenuto. Cinque i fermi tra vertici e affiliati del clan effettuati nell’attività del Ros di Reggio Calabria e Trento e della squadra mobile reggina, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria.

 

Il grazie di Fugatti 

 

Il presidente della Provincia di Trento Maurizio Fugatti ha ringraziato le forze dell’ordine per l’attività svolta. “Bisogna combattere i corpi estranei che tentano di infiltrarsi nel Trentino”, il suo messaggio. I pericoli come si vede sono tutt’altro che immaginari.