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Un'occasione persa

La Commissione parlamentare d'inchiesta si perde in una rissa pre-elettorale, che i media amplificano senza dar spazio ai numeri che aiuterebbero a spiegare la crisi.
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Foto: upi
Tra una settimana, con l'audizione di Federico Ghizzoni di fronte a deputati e senatori della Commissione parlamentare d'inchiesta sul sistema bancario e finanziario, sapremo finalmente se Maria Elena Boschi fece o meno pressioni sull'ex amministratore delegato di Unicredit perché il gruppo comprasse Banca Etruria. Lo ha scritto alcuni mesi fa nel suo libro Ferruccio De Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore, e - complice la campagna elettorale già in corso - pare diventato il tema "più caldo" dei lavori della Commissione.
Se davvero la querelle Ghizzoni-Boschi finirà per cancellare ogni altro tema, almeno per i media, e quindi di fronte al pubblico, certificherà l'inutilità dei lavori della Commissione presieduta da Pier Ferdinando Casini, che pure ha seguito un'agenda molto fitta di sedute ed audizioni.
Alcune davvero rilevanti, come l'ultima con Carmelo Barbagallo, Capo del Dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia, che il 12 dicembre è entrato a Palazzo San Macuto per parlare di Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti e Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, cioè dei 4 istituti di credito oggetto di un programma di risoluzione che il consiglio dei ministri approvò alle 22 di domenica 22 novembre 2015.
 
Secondo Barbagallo, "la crisi delle quattro banche [...] trae origine da cause comuni: governance inadeguata, politiche di erogazione imprudenti, comportamenti irregolari".
I tre aspetti sono strettamente correlati: "Le insufficienze della governance si sono tradotte in una scadente qualità del credito, che ha risentito di cattiva organizzazione, pratiche inadeguate, violazioni di norme e regolamenti - ha continuato l'esponente di Banca d'Italia -. I crediti deteriorati delle quattro banche hanno raggiunto, in tempi diversi, percentuali almeno doppie rispetto a quelle del sistema bancario, determinando tensioni di liquidità e pesanti perdite patrimoniali, all’origine del dissesto".
Barbagallo non poteva che certificare un adeguato livello di vigilanza (del resto, è il suo lavoro), elencando tutti i provvedimenti presi nel corso degli anni nei confronti dei 4 istituti di credito.
La parte più efficace della relazione è negli allegati, le tabelle che graficamente rendono l'idea della "politiche di erogazione imprudenti". Ci dicono, in particolare, che rispetto alla media italiana le quattro banche hanno fanno scelte poco ponderate in particolare per quanto riguarda i prestiti alle imprese: se il 25% di tutti i crediti concessi ai settori produttivi in Italia si era trasformato nel dicembre 2013 (il dato preso a riferimento) in un non performing loan (NPL), per Etruria il rapporto era addirittura del 45%, del 38% per Ferrara, del 34% per Chieti e del 30% per Banca Marche. E mentre in Italia il 32% di tutti i prestiti offerti al settore delle costruzioni era finito tra i crediti deteriorati, per le quattro banche questo dato sale al 54% (Etruria), 47% (Ferrara), 42% (Chieti) e 40% (Banca Marche).
È da questi numeri che dovrebbe partire l'azione dei commissari (che sono 40, tra deputati e senatori), e non delle affermazioni più o meno banali rilasciate di fronte alla Commissione dall'ex presidente della Popolare di Vicenza, Gianni Zonin, che il 14 dicembre "aprono" tutto i quotidiani. Con titoli come "Zonin, nega tutto e si lamenta di aver perso soldi" (repubblica.it), "Banca Popolare di Vicenza, Zonin: 'Ho perso anch’io dei soldi'" (corriere.it), "Zonin: mai ricevuto ordini da Bankitalia" (Il Sole 24 Ore). Altrimenti, avrà sempre spazio un Matteo Salvini che il tema delle banche lo cavalcherà in campagna elettorale, come insegna il suo intervento dell'altro giorno a "Non è l'arena", su La7, in cui avrebbe "asfaltato", secondo il lessico dei suoi social media manager, il deputato PD Gennaro Migliore.  
 

Domani: intervista al senatore Karl Zeller, membro delle Commissione parlamentare d'inchiesta.