Kultur | Salto Afternoon

Into the Wild

Quanto è wild l’immaginario esposto nelle sale di Merano Arte? Pertanto ricordiamo tra gli eventi collaterali il concerto sax di Claudio Lugo l’1 marzo, Musik für Elfen.
12_pw_ljm.jpg
Foto: KunstMeran

Cinque giovani artisti e uno special guest – così ha annunciato Christiane Rekade, curatrice artistica dal 2017 presso Merano Arte, la mostra Into the Wild inaugurata il 9 febbraio scorso e aperta fino al 10 aprile. Chi sarà mai questo “special guest”? Lì per lì la giovane curatrice originaria della Svizzera che per tanti anni ha lavorato a Berlino non lo svela finché tra le motivazioni artistico-intellettuali che avevano condotto alla nuova iniziativa che riempie gli ariosi locali dello stabile ristrutturato all’inizio degli anni Duemila compare il nome di Franz Tappeiner, il famoso medico che nella seconda metà di due secoli fa aveva portato la città di cura al livello internazionale per le sue cure con rimedi naturali soprattutto contro la tubercolosi. Intitolata a lui, la famosa passeggiata che parte dal pieno centro per arrivare alla vicina Quarazze era tra le tappe prescritte ai suoi pazienti, da percorrere quotidianamente onde respirare aria fresca e inalare i tanti profumi dei fiori e delle piante di stampo mediterraneo giunte da ogni dove. Oggigiorno è rimasta quel toccasana sia per gli abitanti della città sia per gli innumerevoli turisti, tanto da chiedere di includerla nel Patrimonio Unesco dell’Umanità. Il mistero è svelato: lo special guest di Into the Wild è Franz Tappeiner, di cui sono esposte alcune riproduzioni dal suo erbario (si parla di oltre seimila schede raccolte di piante locali e non, conservate presso il Museo Ferdinandeum di Innsbruck): schede che sono “in dialogo” con alcune delle opere esposte di due artisti, Luca Trevisani e Alek O. Del primo - che vive tra Italia e Berlino - dialogano con alcune installazioni denominate Il secco e l’umido, dove su calze di nylon l’artista ha fatto stampare forme e silhouette di foglie e piante per poi appenderle come se fossero casualmente appoggiate su pezzi di corna rendendo l’insieme “sexy”, proprio come richiede la nuova ondata bio in Germania… Alek O. – artista nata nel 1981 a Buenos Aires che attualmente vive e lavora a Como – è interessata a dar nuova vita a oggetti apparentemente dismessi facendone un uso che si avvicina a quello del ready made: per la mostra di Merano Arte ha creato pannelli con foglie di canne di bambù e di altri alberi raccolte e seccate e incollate su fogli A4 giustapposte alla maniera di una griglia di base dando l’impressione di rappresentazioni di ambienti naturali. Da contrappunto fungono quadrati neri in plastica che fanno intravedere piccole forme ricamate o improntate generate con materiali di scarto trovati in giro, sempre nei parchi, a partire dal tappo di una bottiglia fino a due cucchiaini passando dalla busta di qualche merendina. Creazioni della natura vs creazioni dell’uomo.

Come si sente un essere umano di fronte alla potenza della natura? Lo narra Linda Jasmin Mayer, giovane artista meranese trapiantata a Helsinki e Copenhagen, attualmente a Lisbona per un soggiorno di studio presso il Centro de contaminação visual, nel suo Parallel Worlds, un video di dieci minuti girato durante un’escursione nel Mar Glaciale Artico assieme ad altri ventisette artisti, scrittori e scienziati, residenti a bordo oltre l’equipaggio nell’ottobre 2015. Il risultato è frappante: sin da subito le immagini di onde alte schiaffeggiate da un forte vento che - benché impercettibile - emanano un grande freddo per poi immergerci nell’ampio infinito bianco dove le tonalità di questo colore non colore assumono infinite varietà, e si comprende perché il popolo degli eschimo utilizza tante espressioni per definire il bianco. Nel mentre si è seduti davanti al video che scorre a tutta parete per “inondarci” di bellezze inquietanti si fa spazio una particolare serenità interiore, un silenzio ovattato - che conosciamo unicamente quando attorno a noi nevica - e le uniche macchie di colore sono le fasce di lana o le giacche a vento indossate dalle poche persone che compaiono coe misteriose silhouette davanti all’obiettivo puntato da Linda Jasmin Mayer su ciò che aveva davanti in quel momento. C’è un altro corso del tempo, in quella dimensione del nulla apparente, in quella dimensione di un mondo parallelo, appunto.

Usciti da quella stanza si attraversano altri spazi che ci conducono da un lato tra i palmeti impressi in vari colori da Stefano Pedrini nei suoi diversi Palmetini – suoi anche i piccoli disegni esposti assieme alle foto scattate dal retro del suo van con cui da anni gira l’Australia all’insegna del nuovo mito del vanlife – e dall’altro nel “meraviglioso mondo di Gina” fatto di cartelloni di uno stand di frutta di un mercato: “Gina” sta per Gina Folly, di origine svizzera, anche lei giovanissima e pimpante con i suoi occhietti vispi marroni e i capelli biondo-scuro.

Originaria di Zurigo, classe 1983, vive e lavora a Basilea, dopo una breve carriera di fotografa che l’aveva da subito annoiata. Fu una residenza artistica a Roma a cambiare la sua visione sul mondo, sentendosi in quella città immersa nell’arte di un tempo, di adesso e della vita quotidiana. Quei cartelloni li aveva scoperti a Parigi e le sembravano sin da subito quadri realizzati col metodo del collage e per di più l’aveva colpita il fatto che in tutti i giorni dell’anno si possono oggi comprare ananas o pesche o cocomeri, importati dai vari paesi a prezzi ormai accessibili a tutti. Ma Folly non si ferma davanti alla realtà che incontra per crearne i vari détournement come avevano insegnato dadaisti e situazionisti, no, lei si interroga anche sulle relazioni tra virtuale e immaginario, tra vita reale e quella desiderata ardentemente dagli esseri umani in continua ricerca dell’impossibile. In internet ha scoperto i funghi (magici) che usati nella medicina cinese servono per disintossicarsi, ringiovanire e persino raggiungere l’immortalità: li ha ordinati, sono arrivati in pacchi di materia plastica, da dove poi emergono, crescendo, se ben coperti da un telo di nylon in un ambiente umido. Gli esemplari esposti a Merano Arte sotto il titolo Unfinished Business sono stati coltivati nel bagno degli uffici, ecco come funziona oggi la coltivazione di prodotti naturali… Un altro paradosso Gina Folly l’aveva incontrato durante una visita nello zoo di Basilea: le scimmie avevano a disposizione nelle loro gabbie alcuni contenitori di plastica trasparente al cui interno era posizionato cibo vario per loro da attingersi attraverso i tanti buchi apportati sulle tre superfici, laterali e superiore. A cosa serve? Le scimmie nella natura amano infilare le dita nei termitai per estrarne ciò che per loro sono leccornie, private di questo gesto che dà loro soddisfazione e gioia estrema, esse cadono in uno stato di tristezza inspiegabile per cui i guardiani dello zoo hanno pensato di supplire con quei contenitori per rendere le scimmie felici!

Un destino più triste è riservato al rinoceronte bianco, unico della sua specie per ora sopravvissuto nel Sudan, protagonista del video-poema di Luca Trevisani Sudan-Interview to a body realizzato nel 2016: ci si avvicina piano piano, giungendo dalle strade polverose che da subito ci catapultano nel suo ambiente nel sahel dal colore dominante rosa-scuro, dovuto alla sabbia e all’incidenza del sole, e pezzo per pezzo della pelle rugosissima grigia va a comporre nella nostra mente la sua mole corporea dominata da quella protuberanza massiccia posizionata sopra la bocca. È quieto, osservato giorno e notte dai suoi protettori armati affinché non faccia la fine di tutti quegli altri ricordati nel cimitero dei rhinos, dove Trevisani inquadra una lastra di pietra per dirci che l’ultimo rhino bianco cucciolo fu ammazzato a soli sei anni di vita (i rhinos bianchi potevano raggiungere un’aspettativa di vita oltre i quarant’anni, e l’ultimo esemplare vivente, maschio, ne ha trentasette ormai…). Furono tutti ammazzati per il loro prezioso corno, da trasformare in oggetti confezionati - e ardentemente desiderati - dagli esseri umani.

A cosa ci fa pensare questa mostra? Quali riflessioni vengono in mente? La nostra relazione alterata con la natura, dove “naturale” sta troppo spesso per “natura domata” nel senso di adattata alle esigenze degli umani anziché inclusione del tutto in un processo sano di biodiversità dove ognuno prende unicamente ciò che serve per vivere senza accumulare a danno di altre specie. Nel bene e nel male, nel mondo ambientale e nel mondo economico-finanziario, nel rispetto degli uni e degli altri…