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Dalla Colombia per “capire” il Sudtirolo

Sergio Cuadros Hernandez, giovane insegnante di Bogotà, ha trascorso alcuni mesi a Bolzano studiando gli atteggiamenti linguistici degli altoatesini. Le sue conclusioni.
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Sergio Cuadros Hernandez
Foto: Sergio Cuadros Hernandez

“La via per la felicità - diceva Tullio De Mauro - passa dal plurilinguismo”. Padroneggiare più idiomi regala una marcia ulteriore, è fonte di ricchezza intellettuale e mezzo di coesione sociale, apre la mente. Nella pratica però, si sa, tocca fare i conti anche con i pregiudizi duri a morire.

Non sorprende che agli occhi dei forestieri l’osservatorio speciale dell’Alto Adige desti frequentemente curiosità, un fattore che da sempre alimenta ogni avanzamento del sapere. Così è stato per Sergio Cuadros Hernandez, ventisettenne colombiano che due anni fa per qualche mese - e più precisamente dal settembre 2018 al febbraio 2019 -, ha voluto studiare da vicino il peculiare microcosmo altoatesino.  

Con il plurilinguismo Sergio ha, anche per via delle sue radici, una confidenza profonda. La Colombia è uno dei paesi con la più grande diversità etnica e linguistica al mondo (oltre allo spagnolo, si parlano 64 lingue amerindi), data dalla mescolanza di tre principali gruppi etnici originari di tre diversi continenti: America, Europa e Africa. Un processo iniziato cinque secoli fa con l’arrivo dei conquistadores spagnoli. In un paese dove enormi sono le disparità del modello socioeconomico la tensione sociale è esplosa lo scorso anno con la rivolta delle comunità indigene che protestavano per rivendicare il diritto alla vita e alla terra. “Ne so qualcosa di convivenza, diversità e mescolanze e l’esperienza in Alto Adige mi ha dato un bagaglio in più - dice Sergio -; sono temi, questi, che vorrei approfondire in relazione alla migrazione, attraverso un dottorato di ricerca in Europa. Se mi va bene - auspica - di nuovo in Italia altrimenti, perché no, in Germania”.

Sergio parla 4 lingue, anzi “4 e mezzo”, lo spagnolo, l’inglese, l’italiano, il tedesco e un po’ di portoghese. “Ho imparato l’italiano in Colombia - perfezionandolo poi grazie a un programma di scambio “Overseas” a Bologna nel 2016 - così come il tedesco. Da qui la passione per il tema del bilinguismo in Alto Adige, che è diventato l’oggetto della mia tesi di laurea magistrale” racconta. “Mio nonno mi ha sempre incoraggiato a studiare le lingue e a viaggiare. All’italiano mi sono avvicinato perché attratto dallo sport, dall’arte e dalla cultura; il tedesco l’ho scelto all’Università, perché rispetto all’inglese e al francese, che erano le altre due opzioni sul tavolo, era per me più difficile da imparare e quindi più stimolante”.

La ricerca

Durante la sua permanenza in Alto Adige Sergio, che oggi fa l’insegnante di italiano presso due università colombiane, ha condotto una ricerca, presso l’Eurac di Bolzano, sull’effetto degli atteggiamenti linguistici nello sviluppo del bilinguismo sociale a Bolzano e dintorni, attraverso interviste, questionari e indagini sul campo. “L’obiettivo principale - spiega - era quello di scoprire che tipo di atteggiamento hanno le persone verso l’italiano e il tedesco ma anche verso il dialetto sudtirolese; come questi atteggiamenti cambiano il modo di vedere le lingue e se ciò ha un effetto nell’apprendere l’una o l’altra lingua”.

Dalla sua ricerca è emerso che “le persone hanno un atteggiamento più positivo verso le varietà dell’Hochdeutsch e dell’italiano rispetto al dialetto, nonostante quest’ultimo sia la varietà più utilizzata dal gruppo di lingua tedesca”. Il “tedesco standard”, riferisce ancora l’insegnante di Bogotà, ha ricevuto i punteggi più alti da entrambi i gruppi linguistici. “Secondo gli ‘italiani’ intervistati l’Hochdeutsch è la lingua che dovrebbe essere usata dal gruppo tedesco, essendo quella imparata a scuola”. Per quanto riguarda l’italiano gli atteggiamenti sono positivi da parte di entrambi i gruppi, “dato che è la lingua più usata nelle interazioni tra di loro”. Il dialetto sudtirolese è la varietà che ha ottenuto un punteggio relativamente basso e tuttavia “è quella più usata nella vita quotidiana dai germanofoni e considerata fonte di orgoglio nonché marchio identitario da conservare”.

C’è poi una differenza di atteggiamento riscontrata nei gruppi in base all’età: “i giovani sono più aperti a imparare nuove lingue, sia perché per loro è generalmente più facile sia perché hanno più necessità di apprenderle per una questione professionale. Gli over 60 invece, anche per ragioni storiche, sono meno motivati”.

“Abbiamo notato anche alcuni ‘stereotipi linguistici’ fra i due gruppi che potremmo semplificare così: ‘la lingua dell’altro è bella e voglio impararla’, all’atto pratico però non sono molti quelli realmente propensi ad abbattere le barriere linguistiche. Bisogna inoltre sottolineare che l’osservazione dei partecipanti ha corroborato i risultati ottenuti con tecniche d’indagine diverse, partendo dal presupposto che gli intervistati possono non riflettere i loro atteggiamenti quando sono consapevoli di essere parte di un progetto di ricerca”.

Va da sé, riflette il giovane insegnante, che “se si parlano le due lingue è tutto più semplice, e io stesso ho potuto testare quanto al mio arrivo in Alto Adige. Abitando a Collalbo ho fatto fatica a creare un contatto con gli abitanti del luogo, uno scontro culturale all’inizio era inevitabile, ma poi ho ‘preso le misure’”.

 

L’analisi condotta negli anni scorsi dal docente riporta che nel complesso gli atteggiamenti linguistici influenzano l’apprendimento della seconda lingua della provincia di Bolzano (italiano o Hochdeutsch) “e, soprattutto, il rapporto e il contatto che i membri di entrambi i gruppi linguistici hanno, che è determinato principalmente dalle politiche linguistiche, ma che, attraverso gli individui, si sviluppa fino a generare spazi esclusivi per ciascuna delle lingue parlate nella provincia. Allo stesso modo, l’integrazione dei gruppi linguistici è definita dal contatto tra loro, che è spesso stabilito dalle politiche linguistiche piuttosto che dagli stessi individui”.

Se la politica linguistica - attesta la ricerca - non tiene veramente conto della realtà del territorio e non si inserisce in modo costruttivo nella quotidianità le persone possono acquisire atteggiamenti negativi, come nel caso degli italofoni in merito al loro rapporto sia con l’Hochdeutsch imparato a scuola, sia con il dialetto sudtirolese come mezzo di espressione del gruppo linguistico tedesco.
La convivenza, infine, è una condizione per cui non sono solo gli atteggiamenti linguistici a definirla, poiché le limitazioni di contatto tra i membri dei gruppi italiano e tedesco sono alla base di molti degli aspetti che impediscono alla comunità di avere atteggiamenti favorevoli verso le lingue.

Questi fin qui illustrati sono solo i primi risultati sulla relazione tra le attitudini linguistiche e lo sviluppo del bilinguismo a Bolzano e dintorni, ad un livello diverso da quello scolastico, e danno quindi modo di avviare nuove ricerche in questo campo che potrebbero coinvolgere le altre popolazioni della provincia. “In futuro - conclude Sergio - si potrà fare molto di più sulle politiche linguistiche e sull’effetto che queste hanno sui nuovi abitanti del territorio, compresi coloro i quali parlano lingue diverse dall’italiano o dal tedesco”.

 

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Karl Trojer Mo., 21.03.2022 - 10:48

È interessanate, che un professore colombiano si interessi della situazione linguistica sudtirolese. In uno studio futuro potrebbe essere utile esaminare pure il modo in cui le due etnie si incontrano nei campi di lavoro e di collaborazione professionale; in proposito io trovo, che non ci sono delle barriere consistenti, inquanto è normale usare il "Hochdeutsch" e non esiste un dialetto italiano altoatesino.

Mo., 21.03.2022 - 10:48 Permalink