Gesellschaft | L'intervista

“Il primo nemico è l’ignoranza”

Paolo Zanella, presidente di Arcigay Trento, sull’indolenza dell’Italia in tema di diritti lgbt, la miopia culturale di Ugo Rossi, la destra irosa e il coming out del ’96
Zanella, Paolo
Foto: Paolo Zanella

salto.bz: Zanella, oggi è la Giornata internazionale contro l’omofobia, occasione per fare il punto sullo stato di avanzamento della lotta ai pregiudizi in materia di orientamento sessuale?

Paolo Zanella: Credo che il diritto sancisca alcune cose e la cultura altre, ancora più importanti. La legge sulle unioni civili, approvata due anni fa, ma anche - qualora passasse - quella che mira a punire chi commette reati a matrice omotransfobica, sono strumenti importanti, il problema è che a livello culturale il cambiamento resta comunque lento. Ci sono altri paesi che, diversamente dal nostro, da tanti anni hanno leggi sul matrimonio fra persone dello stesso sesso e sulle adozioni, faccio l’esempio della Spagna, e non è che lì l’omofobia sia sparita. Ribadisco, si tratta di un problema culturale che è molto radicato nelle nostre società, e in particolare in Italia dove su tutte le tematiche che riguardano l’identità sessuale siamo molto, molto indietro. 

Scuola compresa, dunque?

In generale la scuola non fa alcun tipo (o lo fa in maniera molto soft) di lavoro sul rispetto dell’alterità. Se le persone gay, lesbiche e trans sono sempre “impreviste”, nel senso che non sono mai contemplate, è ovvio che quando ci si trova a confrontarsi con l’altro fa fatica. 

Al di là di tutte le interpretazioni politiche che si possono dare e che non commento, perché quando si parla di diritti delle persone i ragionamenti di convenienza andrebbero messi da parte, la decisione del governatore Rossi è interpretabile come una grandissima mancanza di cultura. E se l’assessore all’istruzione della Provincia autonoma di Trento, che è Rossi stesso, è il primo a essere ignorante allora siamo davvero in cattive mani.

Questo riguarda evidentemente anche i genitori che spesso non supportano i figli lgbt, come messo in luce dalla campagna di Arcigay nazionale.

Sono genitori che fanno parte di una generazione che non è preparata ad affrontare questo tema, ma il punto è che non lo sono nemmeno quelle di oggi. E questo è un problema reale. 

Torniamo così all’esigenza di riempire il vuoto culturale.

Una questione di cui dovrebbe farsi carico la politica visto che decide i programmi ministeriali delle scuole, che sceglie ad esempio di togliere l’educazione civica dal programma scolastico. Come pensiamo di mandare avanti le future generazioni senza educarle alla cittadinanza, termine che comprende tante cose fra cui il rispetto delle diversità e le questioni legate all’identità sessuale? Siamo un Paese con un altissimo tasso di femminicidi che colpiscono anche le donne trans, eppure di questi specifici delitti si parla sempre troppo poco sebbene il fenomeno rientri nella violenza di genere e abbia una matrice ulteriore che è quella della transfobia. 

Ma se la stessa classe politica è parte del problema, esemplare il rifiuto sintomatico del presidente Rossi nel concedere il patrocinio della Provincia di Trento al Dolomiti Pride del 9 giugno, allora che si fa?

Per creare una cultura dell’inclusione che valga per tutti, per praticare un modo intelligente di stare al mondo, per mirare a un orizzonte aperto serve obbligatoriamente che la politica faccia passi in questa direzione. Nel nostro piccolo, in Trentino, vedremo come andrà a finire alle prossime provinciali. Il gesto del presidente Rossi di non dare il patrocinio al Pride è indice di miopia, senza contare che abbiamo una giunta di centrosinistra autonomista, che non è ovviamente la sinistra dura e pura, ma dovrebbe comunque condividere certi valori. Le motivazioni del diniego sono state risibili: ci è stato detto che non apportiamo alcun contributo alla crescita e alla valorizzazione della società trentina e della sua immagine. Ecco, dire questo significa non aver capito cos’è un Pride. Al di là di tutte le interpretazioni politiche che si possono dare e che non commento, perché quando si parla di diritti delle persone i ragionamenti di convenienza andrebbero messi da parte, la decisione del governatore Rossi è interpretabile come una grandissima mancanza di cultura. E se l’assessore all’istruzione della Provincia autonoma di Trento, che è Rossi stesso, è il primo a essere ignorante allora siamo davvero in cattive mani. E a maggior ragione saremo in piazza il 9 giugno.

Nel programma elettorale del M5s non c’era una parola sui diritti lgbt, il centrodestra di cui fa parte la Lega ha anche fatto campagna elettorale contro le unioni civili e, sebbene abolire questa legge non sia, io credo, nell’ordine delle cose, certo è che con un governo di questo tipo non vedremo alcun tipo di progresso.

In quanto alla legge contro l’omofobia, che nell’ultima legislatura si è arenata in commissione al Senato, ora si ricomincia da capo.

Devo dire che sono lieto che l’iter di quella legge non sia giunto a conclusione, visto com'era stata ritoccata. Puniva il singolo ma dava di fatto un lasciapassare a chi discriminava in maniera organizzata, appartenenti a un’associazione, alla Chiesa, o a un partito politico, e questo era paradossale. Ora è già stato depositato un altro ddl in Parlamento. Io dico che fare una legge per reprimere un fenomeno negativo sia giusto, ma credo che così si punisca quella che è la conseguenza di una mancanza di cultura e investire nella cultura per prevenire certi atteggiamenti dovrebbe essere un atto di buon senso.

E la proposta di una legge locale contro l’omotransfobia vedrà mai la luce?

Nel 2012 come Arcigay e Arcilesbica abbiamo presentato alla Provincia di Trento un progetto di legge, di iniziativa popolare, di contrasto all’omotransfobia, raccogliendo 7mila firme. Una proposta che, al contrario di quella affidata al Parlamento, non ha a che fare evidentemente con la sfera penale ma con tutte quelle misure di inclusione nei settori che sono di competenza provinciale, dalla scuola, al lavoro, alla sanità. La legge è stata però bloccata dall’ostruzionismo dell’opposizione e ora stiamo lavorando con la Provincia per l'attuazione della mozione sul tema, votata come contropartita alla legge che non si è riusciti ad approvare. Ritengo che le leggi locali siano molto più incisive perché vanno a condizionare maggiormente la vita quotidiana di ognuno.

La preoccupa un futuro governo a guida Lega-Movimento 5 stelle? Crede ci sia il rischio di una regressione in materia di diritti?

Mi preoccupa molto e su diversi fronti. Nel programma elettorale del M5s non c’era una parola sui diritti lgbt, il centrodestra di cui fa parte la Lega ha anche fatto campagna elettorale contro le unioni civili e, sebbene abolire questa legge non sia, io credo, nell’ordine delle cose, certo è che con un governo di questo tipo non vedremo alcun tipo di progresso. La Lega è quella che ha aperto in Lombardia gli sportelli anti-gender, che poi ha chiuso perché risultati fallimentari, e non scordiamoci poi che i 5 stelle hanno affossato la stepchild adoption quando si discuteva della legge sulle unioni civili, sono imprevedibili.

La visibilità collettiva è lo strumento più potente che abbiamo. Anche per questo il Pride è fondamentale, è un evento che cambia le piccole città in cui arriva. È una festa, ma anche veicolo di un messaggio che per me ancora prima dell’uguaglianza riguarda il diritto alla diversità.

E a proposito di adozioni Giorgia Meloni, leader di Fratelli D’Italia, ha detto che è pronta a votare la fiducia al governo se vieta proprio le adozioni gay.

Siamo di fronte a una destra reazionaria e incattivita. Inquieta il fatto che per queste persone sia cruciale il voler impedire l’avanzamento dei diritti per una certa categoria di persone, questa è omofobia all’ennesima potenza. Noi cercheremo di fare come sempre il nostro presidio sul territorio e speriamo che cambi il vento.  

Cosa spera che possa cambiare concretamente, realisticamente?

L’anno prossimo saranno 50 anni dai moti di Stonewall, in questo lasso di tempo è cambiato il mondo per le persone lgbt, che a un certo punto hanno preso la parola, si sono raccontate, e rese visibili. E la visibilità collettiva è lo strumento più potente che abbiamo. Anche per questo il Pride è fondamentale, è un evento che cambia le piccole città in cui arriva. È una festa, ma anche veicolo di un messaggio che per me ancora prima dell’uguaglianza riguarda il diritto alla diversità. E spero che questo messaggio arrivi. 

È stato detto che la comunità lgbt in Alto Adige è piuttosto invisibile, in Trentino la situazione è meno critica in questo senso?

In Trentino è più vivibile, devo dire anche grazie al lavoro trasversale di associazioni, ANPI, ARCI, sindacati. La lotta deve essere intersezionale, secondo noi. I diritti da difendere sono quelli di tutti, disoccupati, per esempio, stranieri, donne lgbt che oltre alla discriminazione sessuale devono fronteggiare anche un sentimento misogino.

Siamo di fronte a una destra reazionaria e incattivita. Inquieta il fatto che per queste persone sia cruciale il voler impedire l’avanzamento dei diritti per una certa categoria di persone, questa è omofobia all’ennesima potenza.

Cosa l’ha motivata a diventare un attivista?

Io ho avuto la fortuna, anche per questioni di carattere, di accettarmi molto presto, ho fatto coming out a 16 anni, nel ’96. Dopo varie vicissitudini personali e dopo aver acquistato maggiore consapevolezza ho capito che dedicarmi alla questione dei diritti era quello che mi interessava, e in questi ultimi 5 anni abbiamo fatto la nostra parte a Trento e dato risposte a tanti giovani. Sono i risultati che abbiamo ottenuto ad avermi incoraggiato.

E il suo coming out com’è stato?

Ogni coming out è diverso per ognuno e ogni giorno è “nuovo”, dal momento che viviamo in una società che dà per scontata l’eterosessualità delle persone. Ho avuto genitori che mi hanno accettato, per cui non ho incontrato quelle grandi difficoltà che invece ho trovato in tante altre storie. È che fisicamente ho le spalle molto strette, ma metaforicamente molto larghe [ride].