Gesellschaft | La protesta

“Diteci quanti sono stati infettati”

Infermieri sul piede di guerra: chiedono i dati dei contagiati fra il personale sanitario. Ribetto (Nursing up): “Tamponi ai calciatori ma non agli infermieri? Paradosso”
Infermieri
Foto: upi

Cresce fra gli infermieri e gli operatori sanitari il contagio da coronavirus. E di pari passo aumenta la paura. La chiarezza è dunque d’obbligo. “I numeri forniti globalmente dall’Istituto superiore di sanità parlano già di oltre 2200 operatori contagiati, noi vogliamo sapere da questo governo i dati del personale interessato divisi per qualifica e pertanto quanti infermieri e professionisti sanitari delle varie qualifiche sono stati colpiti dal virus. Stesso dato lo chiediamo alla nostra Provincia di Bolzano”, dice Massimo Ribetto, referente regionale del sindacato Nursing Up, che aggiunge: “Siamo la categoria che passa più tempo a diretto contatto con il paziente”.

La richiesta è che il personale venuto in contatto con pazienti positivi, indipendentemente che abbia avuto o meno i dispositivi di protezione, sia sottoposto immediatamente al tampone. “Lo chiediamo anche per il personale che, seppur in assenza di contatto diretto con pazienti positivi, manifesti determinati sintomi che potrebbero essere riconducibili alla malattia. Pretendiamo che ci sia una risposta rapida al tampone, a Pavia fanno un prelievo di sangue e i dipendenti hanno l’esito in tempi brevissimi. In questo momento i nostri professionisti sono un vettore significativo di diffusione della malattia e pertanto vanno attuate misure straordinarie a tutela degli stessi operatori, dei loro familiari e degli utenti”.

Paradossalmente, ai calciatori ed ai politici i tamponi si fanno, mentre agli infermieri e ai professionisti sanitari in trincea no

Intollerabile, tuona il sindacato, la previsione contenuta nell’articolo 7 del D.L. 9 marzo 2020 n. 14 secondo cui i dipendenti soggetti alla sorveglianza sanitaria, “debbano continuare a lavorare come nulla fosse, anche se potenzialmente infetti, con il plausibile pericolo di essere loro stessi vettori di infezione verso le famiglie e il resto del mondo”. Previsione, sottolinea Nursing Up, che va cancellata “senza indugio in sede di conversione”. 

 

S.O.S.

 

Il problema della mancanza di tute e mascherine è noto e continuano ad arrivare segnalazioni dagli infermieri che lamentano una distribuzione razionata di materiale e sono preoccupati di non avere una idonea quantità di dispositivi di protezione, spiega Ribetto, “chiediamo alla Provincia di impegnarsi nel reperire sul mercato mondiale ogni tipo di dispositivo di protezione individuale per gli infermieri che svolgono la loro attività professionale in condizioni di rischio da coronavirus come indicato dall’OMS (camici, calzari, tute contenitive, caschi, guanti, ecc.), ma anche mascherine di tipologia FFP2 e/o FFP3, un adeguato numero di tute 3 classe tipo 4, da utilizzare a seconda dei casi. Gli infermieri e i professionisti sanitari - prosegue il sindacalista - sono esposti costantemente al contagio e ormai, trattandosi di pandemia, non è più possibile discernere chi tra i pazienti potrebbe essere positivo o meno, tutti devono essere trattati con la massima cautela, dotando il professionista della massima protezione possibile”.

E monta la rabbia: “Paradossalmente, ai calciatori ed ai politici i tamponi si fanno, mentre agli infermieri e ai professionisti sanitari in trincea no”, ammonisce Ribetto. “Chi mette a rischio gli infermieri danneggia anche i cittadini e ciò vale anche per coloro i quali, investiti delle proprie responsabilità istituzionali, ancora non si rendono conto che un infermiere non protetto è un soggetto che, più di chiunque altro rischia di far ammalare gli altri, e che se si ammala viene messo fuori gioco”. E in questo momento di emergenza, in particolare, non possiamo permettercelo.

 

 

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Heinrich Tischler Di., 17.03.2020 - 16:09

Das kann ich nur unterstützen. Wenn man hört dass 10 - 20 % der Infizierten dem Sanitätsbereich zuzuschreiben sind, so ist das eine hohe Zahl und eine wohl sehr hohe mögliche Quelle zur Weitergabe des Virus. Da gebe ich auch der Präsidentin der Ärztekammer Recht, dass nur geschütztes Sanitätspersonal mit Patienten in Kontakt kommen soll. Sicherlich wird es verständliche Probleme geben, z.B. Überforderung der Labors, Mangel an Schutzkleidung, aber gerade hier gilt es sofort die Lösung zu finden.
Loben und Applaus bei flashmobs ist zu wenig!

Di., 17.03.2020 - 16:09 Permalink
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Klemens Riegler Mi., 18.03.2020 - 08:18

Antwort auf von Heinrich Tischler

Natürlich ist im Prinzip das Testen eine der wichtigsten Maßnahmen im Kampf. Die diesbezügliche Kapazität ist das andere Problem. Dass im Sanitätsbereich 10 - 20% der Infizierten zu finden sind, ist statistisch logisch. Dieser Prozentsatz dürfte sogar niedrig angesetzt sein. Ich gehe inzwischen von mind. 30% der Bevölkerung aus. Und zur Bevölkerung zählt auch das Sanitätspersonal. Sofern es schlimmer wird, könnten symptomlose Infizierte trotzdem in Strukturen mit "Nur Infizierten" arbeiten, dürften diese Zone dann allerdings nicht mehr verlassen.
In dieser Zeit anfangen zu Meckern und zu Plärren bringt jedenfalls gar nichts! Hinweise sind gut - Schuldzuweisungen nicht!

Mi., 18.03.2020 - 08:18 Permalink