E quindi uscimmo a rivedere la gente
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Kultur | La recensione

Tempo di scrivere

Le lettere e il virus: Gabriele Di Luca ha scritto un diario non banale dei giorni della Grande Reclusione scavando fino al midollo delle parole.

Si è detto e ripetuto, forse con troppa enfasi, che il dover restare chiusi in casa per arginare il contagio da SARS-CoV-2, avrebbe liberato molto tempo da dedicare a pratiche altrimenti trascurate, ad iniziare dalla lettura. Gabriele Di Luca, uno che ha sempre letto molto, ha invece trovato in queste settimane il tempo di scrivere. Per 28 giorni ha seguito e discusso momenti, messaggi, immagini di un mondo in quarantena e li ha messi a confronto con la sua cultura, che è fatta di libri e molto altro. Ne è nato un lavoro originale, acuto, dotto, a volte ostico, a volte illuminante, divertente in molti passaggi e mai scontato.

“E quindi uscimmo a riveder la gente – Diario della Grande Reclusione”, è un libro che vive di citazioni, nel senso che si confronta con riflessioni e osservazioni che altri hanno compiuto. Il tutto sullo sfondo di una minaccia che forza la realtà, stravolge le abitudini e fa emergere situazioni e contesti inimmaginabili fino a poco prima. Il sorprendente è che accanto ai giganti della letteratura e della filosofia e molti altri autori, si riportano note di amici e persone comuni: nella variopinta rassegna trovano posto in molti, se hanno colto qualcosa di notevole o se danno spunto a una riflessione, o arrivano a una conclusione. Nel diario si citano così Lucrezio e il barbone Riccardo, Dante e un amico di Livorno, Leopardi e un testo scovato in rete... Interessante è anche il fatto che il racconto delle giornate mescola i generi. Di Luca non parla solo di libri, ma anche di quadri, di musica, di fotografie, di notizie che vengono dallo zoo di Hong Kong, da una nave di profughi nel Mediterraneo, da Lucca, dall'Argentina dove già circolano nomi sui bambini concepiti durante la quarantena; parla e ascolta tutti purché, sembra essere il presupposto di tutto il suo ragionare, si prendano sul serio le parole.

Il virus è “veleno e cura”, la Reclusione è “tempo incarcerato e liberato, perduto e ritrovato”

L'attenzione alle parole mi sembra il nucleo centrale di questo lavoro. Prima di tutto nel senso che effettivamente si capisce che l'autore ha scavato “fino al midollo delle parole”, arrivando a una scrittura precisa nei passaggi argomentativi, coinvolgente nelle descrizioni. Sempre l'attenzione alle parole lo porta a cogliere e denunciare certi vizi linguistici, che spesso equivalgono a vizi nel ragionamento, come ad esempio l'enfasi, la retorica dell'”Andrà tutto bene”, degli “Angeli” negli ospedali, del “Ne usciremo migliori”... che si è fatta largo nel discorso pubblico, specialmente all'inizio della quarantena. Infine, le parole e la scrittura sono, fin dal principio, il tema stesso del lavoro di trovare le parole e scrivere. Cosa può dire la scrittura e cosa no? Vale la pena affrontare quella fatica?

Sull'altro versante, nella elementare distinzione che possiamo tentare, ci sarebbe la realtà che sarebbe appunto da descrivere e da raccontare. Ma anche quella non è univoca. Il virus è “veleno e cura”, la Reclusione è “tempo incarcerato e liberato, perduto e ritrovato”, il pescatore fotografato alla finestra della sua casa affacciata su un canale non vuole affatto pescare un pesce e, per dirla in termini letterari, la vita che viviamo forse non è la nostra.

Quest'ultimo dubbio viene ad Augusto Nicotra, alter ego dell'autore, che compare a metà del diario. È un peccato che questo personaggio non sia stato introdotto prima perché a lui sono affidate le considerazioni di natura più personale e intima. Sono le pagine più letterarie di tutto il diario, che crescono fino all'epilogo, quando Gabriele e Augusto, se ho ben compreso, diventano nel racconto un unico soggetto. E anche questo ci riporta all'ambiguità del tutto.

Un libro che si confronta con riflessioni e osservazioni che altri hanno compiuto

Tornando alla domanda se sia possibile e se valga la pena scrivere inseguendo gli effetti di un evento così eccezionale come la pandemia, la risposta l'autore l'ha fornita dando alle stampe questo libro. Se abbiamo il piacere di leggerlo, il merito è anche della benevole insistenza di Aldo Mazza, direttore di edizionialphabetaverlag, che lo ha sostenuto e motivato. Gabriele Di Luca scrive su vari media, ha molti follower su facebook, una sua pagina internet, ma finora non aveva pubblicato un libro a nome suo. L'averlo fatto segna senza dubbio un passo importante nella sua carriera intellettuale. Con interesse sono da attendere i suoi prossimi lavori.