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Foto: Salto.bz
Gesellschaft | Avvenne domani

L'autunno dei sondaggi

L'ennesimo fallimento delle previsioni elettorali getta una luce sinistra su uno strumento amato dai politici che non amano il "faccia a faccia" con gli elettori.

L'esito clamoroso delle presidenziali americane ha riportato in primo piano il tema del sostanziale fallimento dei sondaggi d'opinione come strumento affidabile per valutare l'esito dei grandi confronti politici. È successo con Tump, che i sondaggisti davano concordemente come perdente, sia pur di poco, nei confronti della sua avversaria, era successo, qualche mese fa, quando in Inghilterra si votò per la Brexit.

In realtà questi sono solo gli ultimi due episodi di una lunga serie di casi nei quali le previsioni sull'andamento elettorale sono risultate del tutto o in parte sbagliate rispetto al dato reale uscito dalle urne e di queste situazioni alcune hanno riguardato direttamente l'Italia.

Il problema, dunque, esiste e non è di scarso rilievo visto che, nella cosiddetta politica 2.0, ai sondaggi viene attribuito un valore altissimo, tale da condizionare le scelte strategiche dei partiti e dei loro componenti.

Una premessa d'obbligo: d'ora in poi parleremo solo e unicamente dei cosiddetti sondaggi d'opinione, di quelle indagini cioè che pretendono di misurare le opinioni in merito alla politica, ai consumi, alle abitudini della gente attraverso  interviste, realizzate in genere con lo strumento telefonico. Nulla di quanto si dirà riguarda invece le analisi statistiche di tipo diverso che si effettuano attraverso la rilevazione dei dati di fatto.

La statistica, ben lo sappiamo, è una scienza che si pretende esatta. Viene insegnata nelle università e si basa su modelli matematici tanto complessi quanto incomprensibili per il profano. I guru di questa materia liquidano in genere come irrilevanti le obiezioni sulla scarsa attendibilità di alcuni dei prodotti che vengono sfornati in base alle loro dottrine. È assolutamente comprensibile che chi campa, spesso non male, proprio proponendo e vendendo sondaggi, sia esso un privato o un'agenzia pubblica, non ammetta facilmente la propria fallibilità. Sono i fatti, però, a dimostrare, come abbiamo visto, il contrario.

La crisi di credibilità investe tutto il settore dei sondaggi. Per quelli elettorali la prova del nove arriva immancabile a poche ore dalla chiusura dei seggi, ma nulla vieta di pensare che gli stessi margini di errore,  notevoli a quanto pare, non vadano ad inficiare anche la credibilità dei sondaggi di opinione che riguardano altri settori ed altre materie, per i quali non è prevista un'immediata controprova.

Anche chi non è ammesso alla contemplazione dei misteri dell'arte statistica, intuisce da solo che per realizzare un sondaggio attendibile è necessario soprattutto "centrare", come dicono gli iniziati, un campione attendibile, ovverossia riuscire a raccogliere le opinioni di un gruppo di persone che rappresenti, con la massima fedeltà possibile, l'universo del quale si vogliono cogliere le idee.

È proprio in questa fase che sorgono evidentemente delle difficoltà. In America e in Inghilterra, probabilmente, il campione non è stato scelto con accuratezza. Le nuove tecnologie riescono poi a complicare ulteriormente la situazione. Alec Ross, ex consulente informatico di Obama e autore di alcuni testi sul futuro digitale della nostra società ha osservato in proposito come i sondaggisti utilizzino per la maggior parte ancor oggi le linee telefoniche fisse come strumento per contattare i loro intervistati. Eppure noi sappiamo che ormai il telefono fisso sta scomparendo da moltissime case e comunque dalle abitudini di utilizzo di una parte sempre più consistente della popolazione. È un dato di fatto che rende ancor più impervia, sicuramente, la ricerca, da parte dei sondaggisti, del campione "perfetto".

Non sono fatti, questi, che riguardino paesi lontani. Da sempre l'Alto Adige è un terreno dove l'esercizio della scienza dei sondaggi incontra difficoltà ancora più pesanti da superare. Come esempio basterà ricordare, qualche anno fa, una statistica preelettorale che aveva dato addirittura la Suedtiroler Volkspartei, ad un anno circa dalle ultime provinciali, sprofondata sotto il 40% dei consensi. Previsione puntualmente smentita poi dal voto del 2013. In realtà, in provincia di Bolzano, il fattore derivante dalla composizione etnica rende ancora più complicato mettere assieme un campione veramente rappresentativo della realtà generale. In nessun altro luogo assistiamo a differenze così sostanziali nelle scelte politiche, così come nelle abitudini quotidiane, nelle tendenze culturali, nei modelli di comportamento, dal passaggio tra città e periferie o anche solo tra un quartiere e l'altro della stessa realtà urbana. Estremamente difficile poi individuare a priori l'appartenenza all'uno o all'altro gruppo.

Ecco dunque che la composizione del campione diviene esercizio complesso, che raggiungere i potenziali intervistati per l'intervista telefonica significa probabilmente dover scontare anche la furibonda antipatia che ci accomuna tutti (ed anche questo è un dato relativamente recente) verso molestatori telefonici che usano  prevalentemente la linea telefonica fissa per proporci contratti dalle mirabolanti prestazioni.

C'è infine un fattore che riguarda in modo particolare i sondaggi di tipo politico ed è quello sulla propensione degli intervistati a non dichiarare realmente le proprie opinioni o addirittura a mentire su di esse. Qui entra in campo un altro dei fenomeni relativamente nuovi che affliggono la nostra società. L'esercizio del voto è sempre stato, sin dalle origini, uno scontro quasi sempre durissimo tra idee e progetti diversi. Per lunghi decenni, tuttavia, l'elettore medio ha sempre votato "per" qualcosa o qualcuno, esprimendo la speranza che quel voto potesse portare a un cambiamento positivo della società ed anche, perché no, delle sue fortune personali. È evidente che negli ultimi tempi la situazione si è andata rovesciando. Tra i non molti che scelgono ancora di andare a votare, si tratti di elezioni vere e proprie o di consultazioni referendarie, in parecchi sono spinti dalla volontà di andare "contro" qualcosa o qualcuno. È una scelta che nasce dalla rabbia, sentimento un tempo associato all'immaturità, al cattivo carattere e ad azioni riprovevoli ed oggi invece nobilitato come un atteggiamento politico di altissima levatura.

Solo che, in fondo alla coscienza, permane, anche nell'arrabbiato, un filo di senso di colpa e non sono pochi, quindi, coloro che preferiscono nascondere davanti all'intervistatore-sondaggista le loro intenzioni.

Tra difficili campionature e bugie grandi e piccole l'arte del sondaggio vive una stagione problematica, ma la questione potrebbe sembrare secondaria se non si ponesse, urgente davvero, la questione dell'uso che la politica ha preso a fare di questi strumenti.

Dubito assai, infatti, che vi siano manager che, per decidere il futuro del marketing delle loro aziende si affidano solo e unicamente alle cifre dei sondaggi d'opinione. Ne tengono conto, ma usano molti altri strumenti, come l'esempio il rapporto quotidiano e diretto con la clientela.

I politici, invece, negli ultimi decenni, hanno visto nel sondaggio una comoda alternativa al rapporto con gli elettori e con i simpatizzanti delle loro forze politiche, quando non addirittura con gli scritti ai partiti stessi. Una scorciatoia indubbiamente allettante per sottrarsi al "faccia a faccia" con interlocutori scomodi. Una strategia comprensibile forse, ma solo fino a un certo punto, quando ci si muova a livello nazionale, ma che non trova giustificazione in realtà medie o piccole come la nostra. Qui una classe politica che "dialoga" con la base solo attraverso i "media" vecchi e nuovi e che usa i sondaggi per capire cosa succeda fuori dalle finestre del proprio ufficio non rischia solo di commettere, proprio a causa dell'imprecisione delle ricerche di cui abbiamo detto, dei gravi errori di valutazione. Il vero pericolo è quello che divenga sempre più profondo il fossato che separa i professionisti della politica dal resto della società. Gli effetti sono già davanti a noi: astensionismo dilagante, crescita esponenziale di un populismo che nega i principi fondamentali della democrazia rappresentativa. Non occorrono sondaggi per capire che il baratro è vicino.