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Foto: Claudia Cardinale
Gesellschaft | Maltrattamenti

Lo sguardo delle donne

Dove comincia la violenza di genere? Ce lo rivela una breve fenomenologia dello sguardo.

In un tempo nel quale tutti sembrano avere parole per tutto, non è male restare talvolta senza parole. Restare senza parole è la sensazione che ho avuto (e che ho) quando mi è capitato (e mi capita) di leggere i racconti di molestie o di violenza che le donne stanno testimoniando mediante una imponente azione di denuncia. Resto senza parole perché penso che le mie parole servano a poco, e serva invece molto di più leggere e ascoltare. La condizione dell'ascolto è indispensabile per non limitare lo spessore di queste denunce, significa fare loro spazio, più spazio possibile. E solo dopo aver fatto più spazio possibile alle parole delle donne, allora – forse – diventerà nuovamente possibile dire anche qualcosa di sensato, vale a dire qualcosa dotato di un senso nutrito da quelle parole. Nell'attesa che arrivi quel momento, mi piacerebbe però anche invitarvi a leggere o rileggere un bellissimo racconto di Italo Calvino, contenuto nel libro Palomar. Il racconto si intitola “Il seno nudo” e descrive come meglio non si potrebbe la fenomenologia dello sguardo maschile sulle donne (o meglio: sul corpo delle donne) in una progressione insistente che sfocia nella molestia. Il racconto comincia così: “Il signor Palomar cammina lungo una spiaggia solitaria. Incontra rari bagnanti. Una giovane donna è distesa sull'arena prendendo il sole a seno nudo. Palomar, uomo discreto, volge lo sguardo all'orizzonte marino. Sa che in simili circostanze, all'avvicinarsi di uno sconosciuto, spesso le donne si affrettano a coprirsi e questo gli pare non bello: perché è molesto per la bagnante che prendeva il sole tranquilla; perché l'uomo che passa si sente un disturbatore”. Non rivelo il seguito, perché vale la pena che cerchiate il racconto e lo leggiate dall'inizio alla fine (ha peraltro il vantaggio di essere molto breve). Il problema che si pone è comunque questo: fino a che punto può spingersi l'interesse che un uomo mostra nei confronti di una donna per non trasformarsi in qualcosa di disturbante, di minaccioso e quindi di insopportabilmente molesto? Parlo qui solo di sguardi, perché è già utile che ci concentriamo su questa soglia minima di contatto per individuare il confine che non è lecito superare. Il confine, credo, risiede nello sguardo della donna che ricambia quello dell'uomo, stabilendo in modo inequivocabile le condizioni della sua liceità. Senza la legittimazione accordata dallo sguardo della donna, tale confine diventa pericolosamente troppo sottile, troppo incerto ed occorre così interrogarsi sull'autismo delle proprie pretese. Ciò vuol dire, allora, che bisogna smettere di guardare o prestare un'attenzione concupiscente nei confronti delle donne? No. Ciò vuol dire che noi uomini – perché qui è in particolare a loro che mi rivolgo, in un discorso da uomo ad altri uomini – dobbiamo sospendere il gesto di dominazione neutralizzante al quale siamo abituati e cominciamo finalmente a guardare come siamo guardati, rispettando la differenza dello sguardo che ci rivolgono le donne, senza il quale ogni rapporto è privato del suo punto di appoggio essenziale, e per questo può rivelarsi violento.