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Solo tredici chilometri

Parla Giovanni Accardo, uno dei due autori del romanzo pubblicato con questo titolo in cui si ricostruisce in modo intrigante una vicenda giudiziaria
libro
Foto: Edizioni alphabeta Verlag

Si leggono quasi tutte d’un fiato le 352 pagine del nuovo romanzo di Giovanni Accardo scritto a quattro mani con Mauro De Pascalis, Solo tredici chilometri, uscito da poco con le Edizioni alphabeta Verlag. Già l’immagine di copertina (del direttore di fotografia di tanti film made in Südtirol, Daniel Mazza) svela un po’ dello spirito della narrazione e soprattutto dell’ambientazione: un tocco di controluce sfuma i netti contorni di una veduta su una strada provinciale di campagna, la linea bianca che sfila dritta in mezzo all’asfalto grigio, le numerose silhouette degli alberi spogli su entrambi i lati. L’immagine appare quasi in bianco e nero: quella realtà immortalata è racchiusa nelle tonalità che passano dal bianco verso il grigio scuro, così come la nostra storia narrata è immersa in un clima interpersonale e sociale privo dei colori della vita. 


Il nucleo della storia è presto raccontato, trattandosi di un fatto di cronaca cui i due autori si sono ispirati per narrarne le vicende giudiziarie: una ragazza di 19 anni viene trovata in un fosso ai margini di una strada di campagna nel Veneto e uno degli indumenti che indossa conduce a un ragazzo della Val Pusteria che è anche l’ultima persona che l’aveva vista viva. Ovviamente è/pare/potrebbe essere lui il colpevole… Che cosa è accaduto? È davvero quel giovane di nome Martin l’autore dell’omicidio, dato che (quasi) tutti gli indizi conducono a lui? Accardo e De Pascalis ricostruiscono con garbo linguistico e grande sensibilità una vicenda alquanto intricata creando - come si legge sul risvolto di copertina - un “legal thriller” non privo di colpi di scena, ma anche un “romanzo di formazione” appartenendo l’io narratore coniugato in prima persona al personaggio di Marco De Vitis: è un giovane avvocato al suo primo caso di difesa che dunque ha molto da apprendere da colui che chiama in suo aiuto come “guida professionale”, ossia il professor Serra, un noto penalista che insegna Procedura penale all’università di Padova, il foro più vicino a quello di Venezia, città in cui l’imputato è stato rinchiuso nel carcere dopo essersi presentato volontariamente alle unità inquirenti. 


Il libro inizia descrivendo il ritrovamento del corpo della ragazza, ma soltanto dopo un’azzeccata citazione tratta da uno dei testi teatrali di Luigi Pirandello, Così è (se vi pare), l’autore per eccellenza dei molteplici aspetti che segnano la realtà e la verità: “Che possiamo noi realmente / sapere degli altri? / Chi sono, come sono… / ciò che fanno… / perché lo fanno…”.
Ne abbiamo parlato con uno dei due autori, Giovanni Accardo, classe 1962, scrittore e insegnante, originario della Sicilia, che vive da 25 anni ormai a Bolzano. Ha scritto alcuni saggi sul mondo della scuola e due romanzi, Un anno di corsa (nel 2006, pubblicato con Sironi editore) e Il diavolo d’estate (2019, uscito per Ronzani editore). Collabora con Edizioni Alphabeta Verlag da qualche anno come curatore, avendo realizzato Dialogo sull’Albania (2019) dove sono raccolti scritti di Alexander Langer e Alessandro Leogrande, nonché due volumi di antologie di racconti per la collana “Parole del tempo/Zeitworte”, Risentimento (2019) e Indifferenza (2020). 

salto.bz: Come si scrive un romanzo a quattro mani?

Giovanni Accardo: Non conosco una ricetta e a dire il vero per me è stata la prima volta, per cui l’abbiamo fatto - per così dire - “a modo nostro”. Il coautore è Mauro De Pascalis (classe 1967, avvocato e docente, noto penalista e giuslavorista del Foro di Bologna, insegna diritto e economia presso il Rainerum a Bolzano, dove vive ed è stato inoltre consigliere comunale, ndr). È stato lui a fornire lo spunto per la storia del romanzo, ispirata a un fatto di cronaca, dove va detto subito che la storia è quella ma nella finzione la realtà viene rielaborata. De Pascalis ha dunque scritto la storia, seguendo la vicenda secondo lo schema del percorso investigativo e dal punto di vista giudiziario, io gli ho dato forma, cioè lingua e struttura, scrivendo un capitolo dietro l’altro, e via via abbiamo proseguito in uno scambio continuo capitolo per capitolo. È stato un lungo work in progress durato ben cinque anni!

Che cosa significa scrivere ispirandosi a un fatto di cronaca?

Uno scrittore legge di un caso e si incuriosisce, ad esempio un mio amico sta seguendo con attenzione la storia della coppia sparita recentemente a Bolzano. Oppure pensiamo al cantautore Fabrizio De André e alla sua Canzone di Marinella, basata altrettanto su una storia vera. Un fatto realmente accaduto suscita in chi lo r/accoglie domande e immagini riguardo a cosa possa essere accaduto o no. Così luoghi e fatti reali vengono trasformati in un romanzo, dove i luoghi fisici rimangono tali ma nella realtà abbiamo persone che agiscono (o hanno agito), nel romanzo diventano personaggi dotati di pensieri, emozioni, speranze e desideri, e sono collocati in una dimensione dove possono aver luogo incontri e scontri mai avvenuti nella realtà vera. Quindi ci si chiede: è morta una ragazza di 19 anni, che cosa può essere accaduto? Molti degli indizi portano al giovane che l’aveva vista per ultimo. Come nel caso della coppia Neumair tutti gli indizi portano al figlio Benno. Ma sarà davvero stato così? Chi lo sa. Ed è questo che mi intriga come scrittore, il concetto di verità che di fatto non esiste, nel senso che nessuno c’era oltre alla vittima o le vittime e l’assassino. I giudici non c’erano, devono ricostruire i fatti. 

Questo è un dato che mi ha molto affascinato nel libro, ossia che l’avvocato De Vitis, parlando con un giornalista afferma che saranno i fatti a parlare…

L’indagine è l’aspetto su cui ci siamo concentrati di più, tenendo conto peraltro del lato umano e mi piaceva l’idea di un giovane avvocato appena laureato che affronta il suo primo vero caso, ancora gonfio di ideali. Come procede? Ed è qui che quello che in un primo momento abbiamo definito un “legal thriller”, nel senso che l’ambientazione è dentro le pratiche legali, diventa anche un romanzo di formazione perché quel giovane avvocato si confronta con un esperto professore e compie un percorso di apprendimento e di crescita. Mi interessa molto la formazione – forse perché faccio l’insegnante? – e soprattutto questo tipo di approccio, forse non redditizio dal punto di vista economico per le vendite del libro, voglio dire che un lettore forse preferisce identificarsi con un personaggio negativo e non con un avvocato rispettoso del genere umano e della giustizia. Questo romanzo non è “contro” nessuno, né contro la magistratura né contro la vittima né contro l’assassino. Anzi è proprio la vittima che va tutelata in primis, così come va tutelato anche l’eventuale autore del fattaccio, trovandosi lui nel nostro caso in carcere benché ancora non sappiamo se sia innocente o colpevole. Un altro fattore che mi intriga molto è quello del fatto per cui, grazie a una serie di coincidenze puramente casuali, una persona si trovi in mezzo a una situazione cui di fatto è totalmente estranea. Se vogliamo citare un esempio concreto, basti pensare agli anni ottanta del secolo scorso quando Enzo Tortora fu accusato ingiustamente finché il tutto si rivelò un errore giudiziario. 
Ben consapevoli di tutto questo nella vita reale, non abbiamo assolutamente voluto porre l’uno contro l’altro, bensì creare quel minimo che basta a livello di tensione tra avvocato e pubblico ministero, nel perseguire sul filo della correttezza dal punto di vista delle indagini per risolvere al meglio i punti non chiari.

Confesso che a fine lettura alcune domande mi sono rimaste “al di là di ogni ragionevole dubbio” per citare una espressione dell’avvocato De Vitis, e ogni tanto mi vengono in mente…

È il complimento più bello se un libro continua a suscitare domande, vuol dire che qualcosa ha mosso in chi l’ha letto. Soprattutto perché qui non si tratta di un testo di filosofia. Abbiamo volutamente lasciato in sospeso alcuni aspetti, in quanto non tutto può essere chiarito, anche nelle migliori procedure – se si leggono i fascicoli - rimangono spesso lati bui irrisolti. Nel nostro romanzo abbiamo proceduto secondo la massima per cui il pubblico ministero deve portare la giuria, popolare e togata, nel luogo del crimine, ben conscio di non esserci stato, rendendolo il più possibile verosimile. Non corrispondente al vero, perché la verità qui non esiste, essendo nota unicamente a chi c’era effettivamente, ossia la vittima e il suo assassino. Ed è per questo motivo che si parla spesso di “abilità” di un avvocato quando salva l’indagato dalle accuse, perché ha saputo smontare quel costrutto verosimile proposto.


Tornando all’attuale fatto di cronaca che sta inquietando ma anche appassionando una grande platea, provinciale e nazionale, quello del caso Neumair: che cosa mi dice a proposito?

Il mio coautore De Pascalis, da buon avvocato, sostiene che saranno i fatti a parlare e chi non li conosce non può fare altro che aspettare. Per quanto mi riguarda, ho avuto l’occasione di osservare anche a distanza la vicenda, essendo stato per un periodo in Sicilia a trovare i miei, dove l’ho seguita guardando alcune trasmissioni televisive. Mi sono accorto che una certa stampa, un certo giornalismo quindi, ne parlava in modo quasi alterato e conoscendo la realtà di Bolzano mi rendevo conto che molto non poteva corrispondere alla realtà. Mi colpisce quella morbosità che scatta in alcuni e alcune nel raccontare fatti simili. Questo non va bene perché si finisce a non parlare più di fatti ma a illustrare ipotesi formulate con molta approssimazione. Chiedo una maggiore serietà e severità nel dare le notizie, un dato, questo, di cui già mi ero accorto nel leggere la rassegna stampa riguardo al fatto di cronaca cui ci eravamo ispirati, chiedendomi sin da allora chi passava certe informazioni alla stampa.

Questo è un altro aspetto che trattate in modo egregio nel romanzo, riportando di tanto in tanto le notizie che potevano essere uscite sui giornali - per altro corrispondenti alla nostra realtà locale - ma c’è soprattutto quel giornalista Angelo Pili che spesso insegue il nostro avvocato per fargli dire le cose che vorrebbe sentirsi dire ma che di fatto non corrispondono alla realtà.

Ecco, quel Pili è un chiaro esempio di un giornalista che vuole lo scoop e nella fretta di pubblicare non effettua i necessari controlli. Anche questo personaggio è esemplificativo di cosa incontriamo durante le nostre ricerche, per esempio nel nostro caso un giornale locale dell’Alto Adige e uno del Veneto avevano entrambi riportato la notizia che la vittima sarebbe stata ritrovata con un filo attorno al collo, quando questo dato era completamente inventato. I giornalisti dovrebbero essere un po’ più attenti e rispettare le fonti giudiziarie, invece spesso amano formulare le loro ipotesi. Qui va nuovamente fatta la domanda cruciale: chi conosce i fatti? Anche per la stampa vale la regola del massimo rispetto per le vittime e per gli investigatori, quando il più delle volte purtroppo molti sono più interessati alla spettacolarizzazione. Basti pensare a certe trasmissioni del mattino in tivù perlopiù dirette alle casalinghe, vivendo a Bolzano mi sono reso proprio conto di quanto sia incredibile riuscire a scodellare un tale fiume di informazioni approssimative.