Kultur | Salto afternoon

Una passione lunga due generazioni

L'intervista ad Alessandro Casciaro che interverrà all'SKB questa sera per parlare del mercato dell'arte e del lavoro del gallerista.
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Foto: Ochsenreiter

Il Südtiroler Künstlerbund dedica una serata al misterioso mondo del mercato dell'arte. Questa sera alle ore 18.00 presso la sede dell'SKB in via Weggenstein 12 si parlerà di arte digitale e analogica, del mestiere del gallerista e di come lo scenario stia cambiando anche in funzione delle nuove tecnologie.

Tra i relatori c'è anche Alessandro Casciaro, titolare dell'omonima galleria in via Cappuccini, che in questo mondo è cresciuto dal momento che il padre Ennio Casciaro fondò quasi sessant'anni fa la prima galleria di Bolzano, la Galleria Goethe, da cui passarono molti grandi nomi del panorama altoatesino ma anche le mostre personali di artisti del calibro di Morandi, Depero, Severini, Vedova, Carrà, Anselmo, Sironi...insomma tutti i più grandi nomi dell'arte italiana della seconda metà del Novecento.

Con Salto.bz abbiamo voluto anticipare i temi di questa serata facendoci raccontare da Alessandro Casciaro il mestiere del gallerista e "l'arte" di muoversi nel mondo dell'arte.

 

Salto.bz: Come venne in mente a suo padre l'idea di aprire una galleria, ormai 57 anni fa?

Alessandro Casciaro: Mio padre Ennio è stato appassionato di arte fin da giovane. Aveva cominciato a lavorare in un negozio di cornici, "Cornici Spadari", dove faceva l'apprendista, e lì ebbe modo di conoscere diversi artisti che frequentavano il negozio. Da lì nacque l'idea di avviare una galleria d'arte; non esisteva all'epoca una realtà di questo tipo, non solo a Bolzano ma in tutta la regione. Così mio padre formò una piccola squadra di cui facevano parte artisti divenuti poi noti, come Karl Plattner, i fratelli Vallazza, Josef Kienlechner...insomma figure di un certo livello.

 

 

E lei come mai ha deciso di proseguire questa attività seguendo le orme di suo padre?

Io a dire la verità sono architetto. Ho studiato architettura e ho anche praticato per un certo periodo. Poi c'è stato un momento in cui liberamente e per passione ho scelto di intraprendere l'attività di gallerista e portare avanti questo lavoro. É stata una scelta di vita se vogliamo, anche perché fare entrambe le cose non sarebbe possibile. L'attività di gallerista mi occupa al cento per cento. Ma è un lavoro che amo, affascinante e sempre in evoluzione. Bisogna aggiornarsi continuamente...in fondo non esiste una scuola che ti insegna a fare questo mestiere, anche se ultimamente sono nati dei corsi di studio legati all'arte che si concentrano sull'aspetto manageriale...ad ogni modo, una vera scuola non c'è e l'attività si impara sul campo.

c'è stato un momento in cui liberamente e per passione ho scelto di intraprendere l'attività di gallerista e portare avanti questo lavoro. É stata una scelta di vita se vogliamo

 

Quali sono le capacità richieste da un lavoro di questo tipo?

Beh, innanzitutto ci vuole la passione per l'arte, la conoscenza dell'ambiente e ovviamente un buon network...devono concorrere quindi diversi fattori. Poi ovviamente quando l'attività è avviata diventa un'attività aziendale a tutti gli effetti e bisogna tenere sotto controllo l'aspetto economico, gestionale. C'è poi la parte dell'organizzazione del programma: una galleria ha un programma annuale di mostre che va curato e organizzato almeno con un anno di anticipo. C'è quindi una parte di event management che bisogna saper gestire oltre all'attività che si svolge al di fuori della galleria e a cui è importante partecipare, come le fiere d'arte, le collaborazioni esterne ecc.
Naturalmente la scelta e la gestione degli artisti sono questioni fondamentali. Il gallerista lavora di solito con una squadra, un gruppo limitato. C'è quindi una scelta alla base che si fonda sia sul gusto personale che su considerazioni professionali, e poi un lavoro di promozione attraverso le mostre in galleria, le collaborazioni, le fiere ecc.

 

 

Quindi cosa guida la scelta degli artisti per la squadra?

Come detto: il gusto personale prima di tutto. Un artista deve piacere al gallerista. D'altra parte però c'è sempre anche l'esigenza di vendere, quindi negli anni si deve valutare se la promozione ha anche un qualche rendimento. Da ultimo c'è un aspetto relazionale; si deve creare un rapporto di fiducia reciproca che è fondamentale.

Solitamente come viene a conoscenza di un artista?

Spesso con il passaparola tra le persone con cui già lavoro, oppure alle mostre e alle fiere può capitare che nasca un primo interesse nei confronti di qualcuno. Poi va approfondito conoscendosi, facendo una visita allo studio per vedere le opere e farsele spiegare. Naturalmente negli anni poi si valutano i risultati, anche commerciali, perché per una galleria che vive del commercio di opere d'arte vendere è essenziale.

Negli anni '60 mio padre si confrontava con la generazione uscita dalla guerra che aveva acquisito un nuovo benessere; c'era un certo ottimismo, un'euforia e una spontaneità nell'approcciarsi all'arte

 

La galleria ha un'esclusiva sugli artisti della sua squadra?

Ci sono vari livelli. I "top player" internazionali, quindi diciamo le gallerie davvero grosse che si muovono a livelli anche economici molto più alti - non il mio mercato quindi - fanno dei veri e propri contratti con i loro artisti, con delle condizioni precise e tutta una serie di aspetti legali. Nel caso di gallerie come la mia di solito non c'è un vero contratto, si tratta di più di un "gentlemen's agreement"; ci si chiarisce e si stabilisce un programma insieme chiedendo una certa lealtà e una forma di esclusività territoriale. Si stabilisce quindi un rapporto di reciproca fiducia, sono per lo più regole non scritte.
Fare rete e stabilire accordi con altre gallerie in altri stati o regioni è importante perché può dare maggiore sicurezza all'artista, una garanzia in più di visibilità.

 

 

Com'è cambiato il mercato dell'arte in questi quasi 60 anni di attività della galleria?

Questo arco temporale è enorme e tutto è cambiato più volte. Negli anni '60 mio padre si confrontava con la generazione uscita dalla guerra che aveva acquisito un nuovo benessere; c'era un certo ottimismo, un'euforia e una spontaneità nell'approcciarsi all'arte. Era anche un circuito più ridotto dal punto di vista numerico con meno artisti e meno gallerie, quindi c'era grande passione e grande entusiasmo quando si organizzavano mostre; c'era un clima un po' pionieristico. Questo non vuol dire che adesso non ci sia l'interesse, anzi...ci sono però le nuove generazioni e un nuovo gusto da parte del pubblico...

Questo però è abbastanza naturale...

Sì è normale che cambi il gusto e che quindi di conseguenza debba cambiare il programma della galleria, fa parte del nostro lavoro. Rispetto alle abitudini diciamo che uno dei cambiamenti sostanziali è l'accesso alle informazioni. Internet e la globalizzazione hanno aperto le gallerie - parlo anche del mio caso - al mondo, però dall'altra hanno aperto anche al pubblico di consumatori uno spettro più ampio di opportunità. Nel passato c'era una fidelizzazione maggiore tra il collezionista d'arte e la galleria, che era il suo canale privilegiato per accedere alle informazioni, come una finestra sul mondo dell'arte nel territorio. Adesso al contrario io ho un portafoglio clienti più ampio ma la fidelizzazione è più rara, c'è un rapporto meno esclusivo e c'è più concorrenza. Oltre al fatto che ci sono molti più artisti, e di questi molti si promuovono attraverso i social media e altri strumenti online che permettono di raggiungere un pubblico ampio.
Però non è mutato l'interesse nei confronti dell'arte e del suo consumo. Ci sono anche nuove generazioni a cui interessa l'oggetto artistico.

E come estrazione, ceto sociale, il pubblico è cambiato?

Beh ovviamente lavorando con artisti di un certo livello ci sono costi di un certo tipo, che non sono sostenibili per tutti. Il prezzo fa ovviamente una selezione di cui siamo consapevoli. Questo non vuol dire che chi ha la disponibilità economica poi sia automaticamente interessato ad acquistare opere d'arte...

Ma non era più comune un tempo che anche il ceto medio collezionasse opere d'arte?

Sì certo, un tempo acquistare arte era più comune anche per il ceto medio; i professionisti - come architetti, ingegneri ecc. - erano proprio lo zoccolo duro della clientela. Ora per come si è evoluta la società questo profilo è venuto un po' a sparire. La classe media rispetto agli anni '60 e '70 si è molto ridotta e ha possibilità più ridotte...

Qual è invece la sua opinione sulla scena artistica locale?

A livello locale se ci confrontiamo con il resto d'Italia il mondo dell'arte è supportato bene, anche in termini di sostegni e sovvenzioni. Il mio unico pensiero è che sarebbe auspicabile che l'arte superasse la questione etnica e linguistica, non nel senso di un annullamento delle tradizioni legate ai gruppi e alle culture, che devono continuare ad essere valorizzate, ma nell'ottica della produzione contemporanea di arte, della sua promozione e circuitazione.

Come vede lei invece il nuovo mercato dell'arte digitale e l'utilizzo degli NFT (Non-Fungible Token)?

É un mondo ancora tutto da scoprire e che secondo me tocca ancora poco l'arte analogica. Bisogna capire se il caso degli NFT riguardi più l'arte o il business, il mondo delle cripto valute, che comunque esattamente come il mercato dell'arte è soggetto a fluttuazioni anche drammatiche. Per il momento comunque il collezionismo di arte analogica si muove su un altro piano e quello degli NFT è un mondo che si interseca solo in parte a quello dell'arte e al suo mercato.