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Until it rains

Una nuova mostra nella galleria Spazio Cut celebra la poesia degli oggetti e avvenimenti quotidiani, delle piccole trasformazioni. L'intervista di Salto.bz
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Foto: Masatoshi Noguchi, Alexander Wierer

Until it rains. Nella delicatezza di questo titolo è racchiuso tutto il significato della nuova mostra inaugurata a Spazio Cut, la galleria in via della Rena cresciuta sopra il Salone Cocò come spazio espositivo alternativo, curato da Maximilian Pellizzari e Leonardo Cuccia: lo stupore di fronte alla poesia degli avvenimenti banali e quotidiani, l'esistenza e la produzione artistica come parte di un processo circolare fatto di cambiamenti e trasformazioni minime, la sopravvivenza come istinto primario e motore dei processi naturali e umani.

Gli artisti che si confrontano con lo spazio espositivo sono Alexander Wierer, originario di Bressanone formatosi tra l'Accademia di Belle Arti di Bologna e la Kunstakademie Münster in Germania, e Masatoshi Noguchi, nato a Tokyo e residente a Berlino dal 2013, educato alla Musashino Art University di Tokyo.

Le opere esposte sono per lo più assemblaggi realizzati con oggetti trovati ed opere processuali che affrontano le tematiche dell'instabilità della condizione contemporanea e la necessaria interdipendenza degli ecosistemi naturali e sociali. Troviamo una mappa del mondo realizzata con foglie di cavolo; un foglio di istruzioni per la realizzazione di origami fatti con banconote; il corrimano di un autobus su cui un ombrello è stato abbandonato proiettandosi in una dimensione extratemporale; un cuore di pezza talmente kitsch da meritare il titolo di "Killer"; la foto di una castagna che dimenticata in giardino ha dato vita ad un germoglio dimostrando la sua tenace voglia di sopravvivere.

 

 

Masatoshi e Alexander non potrebbero essere più diversi: il primo minuto, sorridente e irrequieto, il secondo alto e compassato, misurato come è misurato il suo sguardo verso le cose che lo circondano. Eppure in questo spazio relativamente ridotto le loro opere dialogano una accanto all'altra, interagendo come un sistema aperto, in cui si accendono in modo casuale e sorprendente rimandi e relazioni inaspettate.

 

Salto.bz: Vi conoscevate già prima di questa mostra?

Alexander Wierer: No, ci ha presentato Maximilian Pellizzari circa un mese fa in occasione della preparazione dell'esposizione. Non ci eravamo mai incontrati prima.

 

 

Come descrivereste la vostra poetica?

Wierer: La definirei quotidiana, una poetica della vita quotidiana. Il mio lavoro è sempre basato su oggetti e situazioni della vita di tutti i giorni. Utilizzo cose prese dal posto in cui vivo; le raccolgo, le trasformo. Sono cose in cui ognuno si può riconoscere. É un linguaggio un po' minimalista, fatto di azioni e trasformazioni minime. Penso alle cose come a tracce, che troviamo o lasciamo.
Piuttosto che pensare concettualmente un'esibizione per poi realizzarla preferisco farmi ispirare dagli oggetti e dalle situazioni per poi trasferirli in un contesto espositivo. Per me è anche importante il processo, lasciarlo aperto e vederne l'evoluzione.

Masatoshi Noguchi: Il mio lavoro ha una qualità un po' improvvisativa. Cerco delle connessioni sottili e nascoste tra cose apparentemente lontane, un contatto non subito evidente, ma poetico, che attraverso la fantasia cerco di mettere in luce.

 

Entrambi usate molto gli oggetti come medium. In cosa differisce il vostro approccio agli oggetti?

Noguchi: Il lavoro di Alexander è più scultoreo, io invece personalmente non sono così interessato alla forma, ma più a quello che può esserci dietro un oggetto ed in particolare il suo inserirsi in processi "circolari". Prima ero più interessato all'aspetto materiale, avevo un approccio più feticistico nei confronti degli oggetti, come sono fatti e la loro funzione.

 

 

Tu Aleksander ti riconosci di più in questo approccio? Una sorta di feticismo dell'oggetto?

Wierer: Dipende cosa si intende per feticismo. Però sì, il mio interesse si concentra soprattutto sull'oggetto e la sua funzione, la comprensione di questa interazione. Ad esempio se prendi un coltello nel contesto della cucina ha una sua funzione che però cambia radicalmente se lo porti fuori da quello spazio e ad esempio lo porti in giro in città...potenzialmente diventa un'arma. Queste trasformazioni e il rapporto tra l'oggetto e il suo significato sono ciò che mi interessa e diverte maggiormente.

 

C'è un dialogo consapevole tra le vostre opere in mostra?

Noguchi: É successo senza che lo avessimo veramente pianificato.

Wierer: Parlando dell'allestimento con Leonardo, Masatoshi ha aperto una valigia mostrando quello che c'era dentro, tre materiali che avrebbe voluto esporre. Tornato a casa ho cominciato a lavorare con in mente quello che avevo visto. Ad esempio uno dei lavori di Masa è fatto con foglie di cavolo e la sera mangiando un'insalata mi è venuta un'idea su come avrei potuto utilizzarla.
Non si può dire quindi che ci sia un vero concetto di collaborazione alla base, però in qualche modo ci siamo influenzati a vicenda.

 

 

Masatoshi, ho letto che oltre ad essere un artista sei anche un cuoco. É un'attività connessa in qualche modo al tuo essere artista o un semplice passatempo?

Noguchi: Ho proprio lavorato come cuoco e assistente cuoco nei ristoranti, e sì, mi piace molto cucinare, anche se trovare gli ingredienti in Europa per la cucina giapponese è difficile e molto costoso. Ogni tanto anche cucinare può essere interpretato in modo concettuale e culturale. Ad esempio quando ho cucinato per Hotel Amazonas, sul Renon, ho cucinato del cibo cinese ma nella sua versione giapponese. La cucina cinese è arrivata in Giappone con gli immigrati e ha subito un processo di adeguamento ai gusti dei giapponesi, quindi quello che ho preparato in quell'occasione era il frutto del miscuglio di diverse culture, di un processo circolare. Io tra l'altro sono per metà cinese.

 

E tu Alexander cosa fai nel tuo tempo libero?

Wierer: Mi piace molto l'attività manuale. Ultimamente per me è un tema interessante come si costruisce una casa, dal momento che sto per diventare padre e vorrei recuperare la vecchia casa di mio nonno per costruirci un "nido" per la mia famiglia. Dopo questa mostra la mia attenzione si concentrerà su questo lavoro, dopotutto non è così diverso, si tratta sempre di pensare ad uno spazio e creare qualcosa che abbiamo in mente, pensando alle funzioni dei materiali e degli oggetti.