Gesellschaft | Profughi

Alma mater

Bolzano: una notte di novembre il figlio di una giovane eritrea apparentemente scompare. Una vicenda dai contorni sfocati che evidenzia le lacune dell’accoglienza.
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Foto: Giavasan

Questa è una storia che non sarebbe dovuta accadere e che avremmo preferito non dover raccontare. È la storia di Alma, 31enne profuga eritrea, che come molti altri disperati, protagonisti di tempi feroci, attraverso il Mediterraneo, un Acheronte che si è fatto mare, cercano riparo sul suolo italiano, troppo spesso solo simulacro di libertà. Multiformi solitudini che pronunciano l’orrore del mondo. Alma è arrivata a Bolzano qualche sera fa, dopo essere approdata a Milano e prima ancora sulle coste siciliane. Notata da un’operatrice di Volontarius accanto alla biglietteria della stazione dei treni aveva l’aria sperduta di chi si trova in un paese straniero e non riesce a comunicare. Alma conosce solo il tigrino, lingua semitica parlata nell'Eritrea centrale e nella regione etiopica del Tigrai fino al Lago Ascianghi. Si trova un’interprete, un ragazzo che lavora all’hotel Alpi.

La donna racconta di essere arrivata la sera prima e di aver dormito insieme al suo bambino di 12 anni, all’aperto, sotto una tettoia, fra via Alto Adige e viale Stazione (succede anche questo a Bolzano), insieme ad altri profughi, e di essersi svegliata nel cuore della notte accorgendosi che il piccolo era sparito. Ad attivarsi, quindi, sono subito anche i volontari di Binario 1 che conducono la giovane eritrea dagli agenti della Polfer per fare una denuncia di scomparsa. La polizia ferroviaria li rimanda però alla questura dove gli operatori sperano di ottenere un “foglio d’invito” che permetta alla donna, sconvolta e inconsolabile, di essere ospitata temporaneamente in un albergo. Nel frattempo, tuttavia, il mediatore linguistico deve allontanarsi per tornare al lavoro e in questura, senza un’adeguata traduzione, non si può procedere con la denuncia. Servono più informazioni su quanto accaduto. Dopo aver ricevuto il foglio d’invito la ragazza viene quindi invitata a ripresentarsi il mattino seguente insieme al mediatore.

Alma non vuole tornare in questura, ma a Milano, è da lì che arriva ed è lì che, è convinta, è andato suo figlio. In evidente stato confusionale, intorno a mezzogiorno e un quarto, la donna prende le sue cose e sale sul treno per il capoluogo lombardo. “Siamo venuti a sapere che Alma si trovava nel centro Arca, dove era stata registrata lo scorso 8 novembre - racconta Eliana Muraro, volontaria di Binario 1 che ha seguito da vicino la vicenda -. Abbiamo tentato di contattare gli operatori della struttura milanese ma sono passate molte ore prima di riuscire a parlare con qualcuno, e alla fine abbiamo scoperto che la ragazza è stata registrata da sola e che non c’era alcun bambino con lei”. I volontari tornano in questura per visionare le riprese delle telecamere di videosorveglianza (non è chiaro perché i filmati non siano stati controllati la mattina stessa quando Alma era ancora in questura) per accertarsi che il bambino non ci fosse, ma le immagini non aiutano a fare chiarezza.

Insieme agli operatori di Volontarius abbiamo fatto di tutto per aiutare Alma, l’abbiamo vestita e rifocillata, ma lei a un certo punto è partita come un razzo - dice con voce affranta Muraro -, abbiamo fatto richiesta alla Polfer di Verona e di Milano di portare la donna, se dovessero riuscire a trovarla, al centro Arca, e intanto sono andata al camper della Volontarius e al parco della stazione perché conosco tante persone che vivono per strada e speravo ci aiutassero a trovare questo bambino, ma non c’è, probabilmente non è mai esistito”. Altre plausibili teorie vengono snocciolate dalla volontaria: “Alma aveva il corpo martoriato, era stata malmenata in Libia e derubata dei documenti e del cellulare, volevamo rivolgerci a quel programma, Chi l’ha visto?, ma senza il telefono non avevamo nemmeno una foto del figlio. Pensavamo che in tutta questa storia ci fosse la mano di un passatore e invece probabilmente il bambino è stato rapito in Libia o è morto durante la traversata, forse si tratta di un'elaborazione incompiuta di un lutto. Alma comunque è arrivata da sola a Milano e poi a Bolzano”.

Avvilente è constatare che episodi come questi non fanno che alimentare una contronarrazione che smaschera le approssimazioni blande di una Provincia afona. L’evidenza della realtà conferma una cronica mancanza di risorse e competenze e una letargia in materia di politiche di accoglienza, risvegliata - si fa per dire - solo da biasimevoli e maldestri tentativi - le storture innegabili della circolare Critelli (Alma non è forse la prova vivente di quei “vulnerabili” meritevoli di tutela di cui si parla nel documento?) - di affrontare un fenomeno di cui ancora si fatica a comprendere la dimensione emotiva, politica e sociale. E nel frattempo si resta a mollo in un limbo di soluzioni tampone, adempiendo con meticoloso zelo al ruolo di burocrate nel rifiutare di concedere sostegno alle persone perché non possiedono i “requisiti” necessari per essere accolti nelle relative strutture.  

“Non ho mai visto un caso come quello di Alma a Bolzano, non ci sono i mediatori e questa è una grave pecca, abbiamo bisogno di persone che siano pronte ad aiutarci ogni volta che si presenta l’occasione”, avverte Muraro, esponente di un terzo settore che sempre più frequentemente si sostituisce, suo malgrado, ai doveri della Provincia occupando di peso un fronte sguarnito, perfino in situazioni di non facile approccio come quella appena descritta. C’è, a quanto pare, un diffuso istinto di salvaguardia - da parte delle istituzioni - che professa in astratto principi e valori congelando di fatto il pragmatismo richiesto dalle contingenze. Scriveva il poeta statunitense Charles Bernstein: “quello che sfugge a volo d’uccello è perfettamente visibile da terra”. Casomai la Provincia decidesse, saggiamente, di cambiare prospettiva riportandola all'altezza dello sguardo, superando così la parzialità d'intenti finora dimostrata.