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Concetta, una storia operaia

Intervista a Gad Lerner, che ha scattato un fotografia del lavoro in Italia nel 2017 a partire dalla storia della donna che a Torino s'è data fuoco negli uffici dell'INPS
Lerner, Gad
Foto: upi

A trent'anni dalla pubblicazione di "Operai" (oggi in Universale Economica Feltrinelli), un viaggio nei luoghi e nelle esperienze degli addetti Fiat uscito nel 1988, Gad Lerner è tornato ad affrontare la condizione operaia. Lo ha fatto nella primavera scorsa sulle reti Rai, e in autunno nel libro "Concetta", un'inchiesta sul lavoro nel tempo presente a partire dalla vicenda della donna di 46 anni che il 27 giugno 2017 si è data fuoco negli ufficio dell'INPS di Torino. Quell'operaia si chiama Concetta Candido e aveva lottato per sei mesi contro una burocrazia apparentemente invalicabile per ottenere la NASPI, il trattamento riservato ai lavoratori disoccupati.

 

salto.bz: Che cosa l'ha spinta a ricercare "più a fondo" nella storia di Concetta Candido?

Gad Lerner: È stata una coincidenza: nei mesi precedenti avevo incontrato a Genova tante donne, socie delle cooperative spurie addette alle pulizie, per un reportage televisivo che stavo facendo sulla condizione operaia. Mi avevano raccontato di retribuzioni assolutamente scandalose, impensabili, e di continue riduzioni dell’orario di lavoro, perché nella corsa a conquistare gli appalti con gare al massimo ribasso le imprese comprimevano tempi e salari, e le loro storie mi avevano colpito: mi ero reso conto che la nostra abitudine di considerare ai margini dell'economia queste società multiservizi, che operano in ambiti come la logistica, le pulizie, la manutenzione, il giardinaggio o il facchinaggio, si scontrava con un dato di realtà, che vede crescere questa popolazione. Senza questo incontro, confesso che molto probabilmente anche io avrei gettato solo uno sguardo, magari indignato e commosso, comunque distratto, alla notizia che il 27 giugno 2017 una donna si era data fuoco a Torino. Senza quell’incontro a Genova, che racconto nel penultimo capitolo del libro, probabilmente non mi sarei soffermato sulla storia di Concetta. Leggendo meglio i resoconti, invece, mi resi conto che quella donna impersonificava una condizione sociale diffusa in Italia, e che guardando a lei avrei potuto scattare una fotografia del mercato del lavoro di questi anni.

Quello che manca, non soltanto al giornalismo italiano, ma anche alla politica, e a quella di sinistra in particolare, è la capacità di costruire nessi logici, che possono derivare solo dalla sensibilità. Ricostruire che nella storia lavorativa ed umana di Concetta c’è una grande questione sociale, che si sta incancrenendo, che peggiora, richiede una sensibilità che oggi non c’è.

Il suo libro offre una riflessione sul giornalismo e sul flusso delle notizie. Non sappiamo più selezionare quelle importanti? O non ce ne è dato il tempo?

Sono convinto che se Concetta fosse morta, la sua vicenda sarebbe rimasta confinata in un trafiletto di giornale. Perché non c’è soltanto la tendenza del giornalismo contemporaneo a consumare in un battibaleno le notizie, che invecchiano rapidissimamente. In questo caso c’è di più, c’è un nostro istintivo moto di autodifesa in seguito al quale vicende come questa ci viene più facile, più rassicurante, annoverarle a raptus di follia. E quindi episodio di cronaca nera.

Quello che manca, non soltanto al giornalismo italiano, ma anche alla politica, e a quella di sinistra in particolare, è la capacità di costruire nessi logici, che possono derivare solo dalla sensibilità. Ricostruire che nella storia lavorativa ed umana di Concetta c’è una grande questione sociale, che si sta incancrenendo, che peggiora, richiede una sensibilità che oggi non c’è.
Considero proprio spezzato il legame tra politica e sociale. Questo vale anche per il giornalismo. Ci rassicura sapere che Concetta ha fatto così "perché è pazza". Una forma di rassicurazione che è anche un bisogno legale, giuridico. Non è un caso se la prima domanda che il medico dell’INPS, sceso dal primo piano fino a quel momento inaccessibile, rivolge a Giuseppe, il fratello, mentre la portano via con l’ambulanza, è: “Sua sorella ha già avuto turbe psichiche precedentemente?”. Devono costruire così una linea difensiva.

Nel libro si parla anche di Facebook: lei nota come Concetta non sia sincera nel mondo virtuale. Perché? Che spiegazione sì è dato?

La spiegazione è che questi social network sono i succedanei di un fallimento nelle relazioni personali dirette. Nel caso di Concetta, come in tanti altri, Facebook riempie una gigantesca porzione di tempo vuoto nelle giornate, la solitudine.
Poiché si tratta di un "gioco di ruolo", tutto dentro una realtà virtuale, nel definire l'approccio di ognuno di noi è fondamentale capire come si desidera apparire: nessuno vuole apparire come un fallito, e perciò nessuno lì dentro racconta volentieri vicende di sconfitta professionale, di difficoltà addirittura a reperire il minimo necessario per la sussistenza. Ci hanno instillato l’idea che queste cose facciano parte del nostro privato, del nostro intimo, e che è meglio non raccontarlo "in pubblico" perché ne andrebbe del nostro prestigio sociale. Comporterebbe una diminuzione di status. Così Concetta, che pure si è costruita un'immagine di donna combattiva, esuberante, che può lanciare invettive contro i politici, o manifestare la sua passione per gli animali o la fede religiosa, non sente di raccontare che l’hanno licenziata, e che incontra ostacoli insormontabili per avere accesso alla NASPI. È una vergogna che non si deve condividere con Facebook.

 

Nel suo libro si parla di solidarietà, e di solidarietà di classe. Dove esiste? Dove è scomparsa?

L’unica solidarietà che c'è è quella tra le 4 donne licenziate, e i loro compagni di vita. Nemmeno con la famiglia Concetta vuole condividere il suo dramma. Per timore di fare la parte della rompiscatole, della fallita, di quella che rischia di gravare sulle spalle di genitori non certo benestanti ed anziani, di dover tornare a vivere con loro a 46 anni.
Fa impressione la totale assenza in questo racconto degli altri cinquanta dipendenti della birreria. A costo di dire una banalità, se in quel luogo di lavoro, che è un’azienda di medie dimensioni, ci fosse stato dentro il sindacato, sono convinto che le cose sarebbero andate diversamente. Il sindacato invece viene considerato un soggetto inutile: viviamo l'epoca della disintermediazione, che dovrebbe migliorare i rapporti di lavoro, grazie alla relazione diretta, qui addirittura con padroni con i quali c’è consuetudine fin dalla comune frequentazione della parrocchia.

Non è solidale nemmeno il gruppo dirigente della sinistra di Settimo Torinese, guidato dall’ex sindaco e vero capo politico locale, Aldo Corgiat, che fa parte della corrente che ha fatto la scissione di MDP (oggi è in campagna elettorale per promuovere Liberi e Uguali, ndr). Nel libro racconto come queste persone, che si richiamano ad un progetto “laburista”, ritorno alle origini della sinistra, vivano lo stesso problema di totale cesura tra politico e sociale: non si accorgono di quello che gli passo sotto il naso; la loro "festa del lavoro" si svolge nei giardini pubblici sotto casa di Concetta, inizia due giorni dopo che lei si è data fuoco, ma non pensano di trattare la sua vicenda come un "fatto politico". Solo in un momento successivo, quando glielo facciamo presente, ammetteranno l’insensibilità. Non dico queste cose per colpevolizzarli: ci dobbiamo chiedere il perché accadano certe cose.

La spiegazione è che questi social network sono i succedanei di un fallimento nelle relazioni personali dirette. Nel caso di Concetta, come in tanti altri, Facebook riempie una gigantesca porzione di tempo vuoto nelle giornate, la solitudine.

Scrive, a un certo punto, di “lavoro retrocesso”. Che cosa intende dire?

Non so se l'uso mi derivi dal linguaggio sportivo, o da quello matematico. Retrocessione intanto vuol dire, in termini economici, che siamo di fronte a un calo complessivo ed individuale dei redditi da lavoro: le retribuzioni sono più basse che nel passato.
Quella di Concetta supera di poco i 700 euro, e non è una somma sufficiente per vivere. Prolifera il lavoro povero, il grande problema del nostro tempo. C'è poi un aspetto simbolico: quanto vale il lavoro? che importanza si vede assegnata nella cultura della nostra società? Anche qui io parlo di retrocessione. Chi fa un lavoro come quello di Concetta è considerato poco più che un incapace. Dei quali non occorre molto preoccuparci.

Si è perduto il prestigio sociale che la ideologia marxista assegnava comunque al lavoro manuale, il cui sfruttamento andava rovesciato, la cui organizzazione avrebbe comportato una rivoluzione dei rapporti sociali di produzione. Tutto questo è venuto meno, con l'ideologia messianica salvifica della classe operaia che liberando se stessa liberava l’umanità intera. E questa persona, l'operaio, è diventata molto meno interessante. Si trova a vivere le proprie difficoltà in solitudine. Che è l’altra parola chiave del libro.

Alle donne delle pulizie ha iniziato ad interessarsi di fronte a una banca, a Genova. Perché questo “tema”, legato ai servizi, è secondo lei così esemplare?

“Chi paga per primo?”. La scena che vedo davanti a Carige risponde a questa domanda: chi paga queste crisi bancarie? Non c'è differenza rispetto agli altri luoghi della produzione? Si risparmia sulla sicurezza, sulla manutenzione degli impianti, e creare valore per gli azionisti implica dei tagli di costi.
Allo stesso modo, si taglia sulle pulizie delle filiali. Si può pulirne una in appena 15-20 minuti, almeno secondo i protocolli delle nuove gare al massimo ribasso. E siccome la tariffa del contratto nazionale è di poco superiore ai 7 euro lordi, se quella somma la dividi per 4 capisci quali sono i redditi assicurati agli operai.