Film | salto weekend

Aftersun

Un padre, una figlia, una vacanza in Turchia e un sottosuolo di non-detti. Il film-debutto di Wells maneggia il fragile tessuto della memoria con empatia e realismo.
Aftersun
Foto: Screenshot

L’esordio alla regia della scozzese Charlotte Wells è il titolo (indie) del momento. Aftersun, disponibile sulla piattaforma MUBI, è un’opera bellissima ma contiene un’insidia: la possibilità di tenervi suo malgrado a distanza, e se questo succede vorrete fare causa a tutti quelli che stanno gridando al miracolo da quando il film è uscito.

Cos’è

Aftersun racconta di una vacanza che la 11enne Sophie (Frankie Corio) e il suo giovane padre single Calum (lei vive con la madre a Edimburgo), interpretato da Paul Mescal, trascorrono in un resort economico all inclusive in Turchia alla fine degli anni ’90. Calum fa del suo meglio per regalare a Sophie la vacanza perfetta, ma qualcosa sembra turbarlo profondamente. Il film, che ha debuttato lo scorso maggio al Festival di Cannes e che è stato distribuito dalla A24, mostra Sophie che, nel presente, rivede i vecchi filmati girati con la videocamera da lei e Calum durante il periodo passato nella località balneare turca, cercando di ricostruire cosa sia successo al padre dopo la fine di quell’estate.

Aftersun | Official Trailer

 

Com’è

Aftersun parla di memoria, dell’evoluzione e della ricontestualizzazione dei ricordi, di rimpianti e di tumulti interiori. È un film molto personale - sebbene a tratti universale - e quindi bisogna entrarci dentro o rischia di sembrare un’opera troppo cerebrale. È in gran parte una rappresentazione accurata di un breve periodo della vita di due persone normali che fanno cose normali. Wells, che ha anche scritto il film, esplora con cura il rapporto padre-figlia ma si concentra apparentemente sull’irrilevante insistendo su una miriade di dettagli semplici e ordinari - partite a biliardo, bagni in piscina, karaoke, sala giochi, animazione da villaggio turistico -, un approccio che potrebbe portare a chiedersi, non a torto, perché stiamo guardando tutto questo, perché vale la pena essere coinvolti in questa storia e sforzarsi di vedere ciò che non è esplicitamente espresso.
Il significato del film è in tutti quei piccoli momenti (uno su tutti la sequenza con Under Pressure dei Queen, davanti alla quale è un’impresa non commuoversi).

I ricordi di Sophie legati agli eventi di questa vacanza hanno un valore simbolico rispetto a quello che verrà dopo. C’è un senso di presagio che aleggia durante tutto il film. Qualcosa infatti accade, o è accaduto. Ma il cosa, il come, il perché e il quando rimangono fuori dalla nostra portata. E per quanto questo possa essere frustrante la potenza di Aftersun deriva soprattutto dalla sua resistenza a spiegare esattamente cosa tormenta Calum. Le sue preoccupazioni lo opprimono. Sophie lo percepisce. La storia è raccontata dal punto di vista della figlia, ma ci sono scene in cui lei non compare. Il film, quindi, ritrae il presente in prima persona di alcuni giorni trascorsi in compagnia del padre quando Sophie era più giovane e la distanza retrospettiva di Sophie adulta che guarda indietro a quella vacanza domandandosi cosa deve aver passato suo padre.
La consapevolezza a più livelli non è nei dialoghi ma nelle immagini, che per inciso rivelano sicurezza, maturità e una grande padronanza del mezzo, impressionanti per una regista esordiente.

Sophie non sta solo ricordando suo padre, ma un tempo e un luogo, e i momenti - sulla carta - più felici e spensierati dell’infanzia possono assumere toni cupi se visti nello specchietto retrovisore, sembra volerci dire Wells. Se mettiamo da parte il cinismo e ci concediamo un po’ di vulnerabilità allora saremo disposti a essere travolti da questa malinconia ostinata, che in fondo è anche la nostra.

Voto: ***½