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Schwazer assolto, la Wada non ci sta

L’Agenzia mondiale antidoping replica al gip di Bolzano: “Inorriditi dalla sentenza”. La World Athletics: “Niente Giochi di Tokyo per Schwazer”. La ricostruzione del caso
Alex Schwazer
Foto: Mark Easton

Sono le 23.15 (ora italiana) del 18 febbraio 2021. Arriva al termine di una giornata concitata il tweet della Wada, l’Agenzia mondiale antidoping. La notizia dell’archiviazione del procedimento penale a carico di Alex Schwazer da parte del gip del Tribunale di Bolzano, Walter Pelino, campeggia su tutti i quotidiani online nazionali (e non). Alla controparte questa narrazione da “giustizia è fatta” non va giù, e minaccia azioni legali dicendosi “inorridita” dalla sentenza del tribunale di Bolzano.

 

“Accuse sconsiderate”

 

La Wada “ha preso atto con grave preoccupazione dei commenti fatti oggi (giovedì scorso, ndr) da un giudice del tribunale di Bolzano nella decisione sul caso penale nei confronti del marciatore Alex Schwazer. Posto che il lungo dispositivo della sentenza necessiterà di essere valutato nella sua completezza, la Wada è inorridita dalle numerose accuse sconsiderate e prive di fondamento” recita il tweet. “Nel corso del dibattimento Wada ha fornito prove schiaccianti corroborate da esperti indipendenti che il giudice ha rigettato in favore di teorie senza sostanza”. Wada “era parte civile in questo procedimento ed era impegnata nel compito di assistere la Corte nella definizione della sua sentenza. L’agenzia resta ferma nelle prove che ha fornito e rigetta nei termini più decisi le critiche diffamatorie contenute nella sentenza. Una volta che tutto il provvedimento sarà stato analizzato, Wada valuterà tutte le opzioni disponibili inclusa l’azione legale che sarà possibile intraprendere”.
 

 

Intanto nella serata di ieri (19 febbraio) è arrivata anche la dura presa di posizione della World Athletics (ex Iaaf): “Il signor Schwazer non potrà partecipare a competizioni internazionali fino al 2024”, ovvero l’anno in cui scadrà la sua squalifica per doping. “Rifiutiamo qualsiasi intento da parte dell’atleta o di altre persone di minare o annullare la decisione finale e vincolante del Tas” scrive in una nota la Federazione internazionale di atletica. E ancora: "World Athletics preferisce non commentare la decisione delle Autorità Italiane di non perseguire l'atleta per il crimine di doping. Questa è una questione di legge nazionale. La Wada si è unita a World Athletics nel rifiutare completamente qualsiasi suggerimento di manipolazione in questo caso”.
Resta il fatto che Schwazer potrà presentare nuovamente ricorso contro la squalifica al Tas di Losanna.

 

L’autoreferenzialità di Wada e Iaaf

 

Minuziosa è la ricostruzione del “caso Schwazer” fatta dal giudice Pelino, che nell’ordinanza di archiviazione scrive accuse pesanti nei confronti di Wada e Iaaf: nell’odierno sistema esse “operano in maniera totalmente autoreferenziale ed il presente procedimento ha eloquentemente dimostrato come esse non tollerino affatto controlli dall’esterno ed anzi siano pronte a tutto per impedirlo, al punto di produrre dichiarazioni false e porre in essere frodi processuali”.
Il controllante e il controllato finiscono per coincidere, anzi per invertirsi, come le mail (quelle hackerate dai russi di Fancy Bear, ndr) da cui emergono pressioni subite dal laboratorio di Colonia, eloquentemente dimostrano”.

Nell’ordinanza il giudice non risparmia nemmeno critiche al pm Giancarlo Bramante, che pure aveva chiesto l’archiviazione. Secondo Pelino l’accusa non avrebbe “adeguatamente valutato rilevantissimi elementi di prova. I dubbi che hanno fermato il pubblico ministero a metà del guado sono frutto della produzione di atti falsi con cui i consulenti nominati da Wada hanno tentato di inficiare i dati emersi dalla perizia”.
Il gip ipotizza i reati di “falso ideologico, la frode processuale e diffamazione” nei confronti di chi avrebbe manipolato le provette di Schwazer e rimette gli atti al Pm, invitandolo a indagare sui reati citati.

 

Le zone buie

 

Nelle 87 pagine del provvedimento vengono elencati dettagliatamente tutti i lati oscuri del caso iniziato con il controllo antidoping del primo gennaio del 2016 che porterà alla squalifica di 8 anni di Schwazer da parte del Tribunale arbitrale dello sport di Losanna.

Ampio spazio è dedicato allo scambio di e-mail (vicenda ricostruita all'epoca dei fatti da salto.bz) intercorse il 20 febbraio 2017 fra Thomas Capdeville, l’antidoping senior manager della Iaaf, e il consulente legale Ross Wenzel, “finalizzate - scrive il giudice - ad esercitare una pressione sul laboratorio di Colonia affinché resistesse alla richiesta di consegnare i campioni sequestrati. Esse configurano una mera ‘opacità’ o una illecita interferenza finalizzata ad influire sull’esito della rogatoria internazionale e dunque un reato?”.
Le mail - la cui autenticità viene implicitamente confermata dalla stessa Iaaf che denunciò l’attacco informatico subito dagli hacker di Fancy Bear - sono quelle in cui si parla esplicitamente di plot (complotto) ai danni di A.S. (Alex Schwazer)

 

C’è il ritardo sospetto delle comunicazioni: i “ben 39 giorni intercorsi tra l’accertamento della (presunta) positività e la sua comunicazione all’atleta, avvenuta a pochi giorni dall’inizio dei giochi olimpici, al punto da costringere la difesa a recarsi a Rio de Janeiro per perorare il proprio infruttuoso ricorso”.

Ci sono le falle nella catena di custodia, le provette non sigillate, e la reticenza dei tecnici del laboratorio di Colonia, accreditato Wada, a consegnare alle autorità giudiziarie la provetta B: “perché - scrive il gip - non si voleva consegnare il campione B, quello che secondo la stessa Iaaf è conservato proprio a garanzia dell’atleta, cioè a tutela dei suoi diritti?”.
E ancora: appare “eclatante il fatto che tra gli elementi di ‘opacità’ si trascuri totalmente il dato, rilevantissimo, della terza provetta non sigillata e già scongelata, che il responsabile del laboratorio di Colonia voleva rifilare al perito, asserendo che contenesse 6 ml di urina in precedenza prelevata dal campione B. Proprio questa provetta, del tutto al di fuori della catena di custodia ed asseritamente proveniente dal campione B, dimostra, infatti, la totale inconsistenza della catena di custodia, inclusa e prima fra tutte proprio quella concernente il campione B”.

C’è poi la questione dell’elevata concentrazione di DNA nelle urine di Schwazer. “Tutti i campioni di riferimento hanno mostrato a due anni di distanza un decadimento del 90%” ad eccezione dell’urina prelevata all’olimpionico altoatesino il primo gennaio 2016: a distanza di due anni e due mesi la concentrazione di Dna risultava essere tra le 20 e le 50 volte superiore alla media. Dunque “non solo l’ipotesi di manipolazione consente di spiegare come e perché sia avvenuta questa anomala concentrazione del Dna, ma questa costituisce, allo stato, anche l’unica spiegazione convincente”, “concreta” e “coerente con le evidenze”, scrive Pelino.

Infine, fra i punti toccati dal giudice, c’è la violazione dell’anonimato: il flacone prelevato il primo gennaio 2016, invece della consueta indicazione generica della nazione, indica “Racines, Italia”. “Che equivaleva a scrivere direttamente il nome di Alex Schwazer” sulla provetta.