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“In Francia rischio sottovalutato”

Rosanna Sestito da Parigi spiega la reazione tardiva dei francesi: “Macron ha preferito parlare di movimenti consentiti più che di divieti, ma ha prodotto confusione”.
Rosanna Sestito
Foto: Rosanna Sestito

Abbiamo raccolto testimonianze in giro per il mondo per capire come viene vissuta, nei vari Paesi, la situazione coronavirus. Ecco Rosanna Sestito, socio-antropologa e ostetrica, che vive a Parigi dove svolge attività nel campo della socio-antropologia medica, mentre suo marito vive a Bolzano.

 

Perché in Francia si fa fatica a integrare il rischio legato al coronavirus?

 

L'impressione che il virus colpisca soprattutto gli altri, la tendenza a negare il rischio o l'imprecisione dei messaggi di salute pubblica spiega la reazione tardiva delle francesi e dei francesi.

La reazione delle popolazioni a un rischio di epidemia è il risultato dell'incontro tra la percezione del rischio di infezione, la natura delle relazioni sociali, il quadro sociale e le politiche pubbliche. Questo è ciò che ci insegna la sociologia, sottolineando il divario tra gli ambienti socio-culturali e i generi.

 

I rischi rimandati, l’invulnerabilità, l’invisibilità, la negazione, la sfida costituiscono dei freni…

 

Di fronte al Covid-19, la difficoltà è capire che le azioni e le interazioni sociali di oggi possono produrre, in modo esponenziale, malati e morti del prossimo mese e saturare i servizi ospedalieri di casi gravi, avendo minori possibilità di sopravvivenza.

Ma la gestione dei rischi differiti, le cui conseguenze possono manifestarsi nel giro di dieci giorni, si basa sulla possibilità di anticipare l'evoluzione di un'epidemia, che può sembrare inizialmente invisibile e irreale, attraverso l'accesso a delle informazioni chiare.

Il primo freno nasce spesso dalla convinzione che solo gli "altri" sono interessati (“affetti”). Considerare l'alterità come patogena e l'identità come protettiva porta alla categorizzazione delle persone, etichettate come diverse, estranee o pericolose, che sono soggette a stigmatizzazione ed esclusione, come “l'asiafobia”. Questo processo difensivo di alterazione del rischio produce strategie di protezione immaginarie, per difendersi da un senso di invulnerabilità: "Non sono io che mi preoccupo, è l'altro".

Macron ha preferito parlare di movimenti consentiti e non di divieti, ma così ha prodotto confusione

 

Differenziarsi dalle persone vulnerabili o fragili ne è un altro

 

Fintanto che il rischio di contrarre o di morire a causa di Covid-19 si presenta come un rischio che colpisce in modo particolare gli anziani, i fragili o le persone con altre patologie mediche, i giovani e i sani possono non sentirsi vulnerabili o preoccupati, anche se sono agenti attivi nella trasmissione del virus.

Tuttavia, dopo l'epidemia di HIV/AIDS, sappiamo che la costruzione di gruppi di persone a rischio, che ovviamente devono essere protette, diminuisce, per la popolazione in generale, la percezione di situazioni di rischio ordinario: avere una vita sessuale (per l'AIDS) o sociale (per il Covid-19) non protetta.

Però, la possibilità di credere in un rischio deriva anche dall'identificazione dei sintomi nei pazienti e dei segni tangibili di pericolo nella società. È su questa esigenza che navigano notizie false e teorie cospirative, che aumentano la sfiducia nei confronti del discorso ufficiale e alterano la capacità di prevenzione solidale. Le forme più gravi vengono ricoverate in ospedale e sfuggono alla normale visibilità sociale. L'attuale invisibilità e le forme minori di Covid-19 nelle persone che hanno meno di 50 anni, spiegano anche la loro difficoltà a prendere coscienza del rischio mortale e il loro posto nodale nella diffusione delle epidemie.

Sentimenti di alterità, invulnerabilità e invisibilità producono paradossalmente comportamenti individualistici a rischio: continuare ad uscire senza applicare gesti di barriera e senza proteggere gli altri solidalmente. 

Il processo difensivo di alterazione del rischio produce strategie di protezione immaginarie

Atteggiamenti temporanei di sfida di fronte alla malattia possono poi portare a sfidare le raccomandazioni ufficiali e a non modificare la propria vita quotidiana, a stabilire al contrario fatalistiche assunzioni di rischi consensuali, o di invulnerabilità conquistatrice, in comportamenti ordinari dai quali tutti sperano di uscire fiduciosi, invincibili e cresciuti.

La negazione, che mobilita falsi argomenti per negare il pericolo e rifiutare di (auto)proteggersi, spesso nasconde il rifiuto di sostenere l'onere mentale e sociale della gestione del rischio: cambiare la propria vita quotidiana, la famiglia, l'organizzazione professionale e sociale, il reddito, le vacanze, insomma un'identità sociale e una routine che l'epidemia sconvolge.

Così, di fronte al costo generato dall'onere dell'epidemia, si fanno compromessi in termini di benefici e vincoli, sia immediati che ritardati, spesso in modo diverso a seconda dell'età, della classe e del sesso.

Quando la minaccia immediata aumenta, uno stordimento o addirittura uno shock può causare ripiego, fuga o obbedienza, ma anche rabbia contro le persone, contro le istituzioni o operatori sanitari, o ancora ansia, panico, quando il rischio viene preso in considerazione e il pericolo è diventato non più probabile ma palpabile.

 

Le politiche pubbliche sono responsabili delle capacità di risposta

 

Di fronte a queste molteplici sfide, i messaggi di salute pubblica devono essere precisi. Le misure sanitarie radicali devono anticipare i tempi di reazione collettiva. 

Le reazioni di rispetto e di lealtà, preferibili alla fuga o alla trasgressione, dipendono dalla chiarezza e dal rigore dei messaggi ufficiali. I dati attuali sulla mortalità possono apparire minimi e le istruzioni date eccessive, fintanto che il rischio di mortalità futura non verrà visualizzato e integrato. Non mostrare questa famosa "curva" mutevole delle previsioni dell’epidemia, per evitare il panico, può anche portare ad una mancata comprensione delle dinamiche dell'epidemia e aumentare la mancata osservanza delle istruzioni.

Annunci contrastanti o mezzi toni possono avere effetti perversi, quando mascherano la realtà di un disastro prevedibile e di vincoli inevitabili. 

Il sentimento di invulnerabilità facilita i comportamenti a rischio: come uscire senza indossare protezioni per sè e per gli altri

Non voler parlare di divieti o di isolamento, ma elencando le eccezioni e i movimenti consentiti, può aver portato il presidente Macron a produrre incertezza e confusione.

Preferisce forse usare il distanziamento sociale a confinamento? Usare un tono gentile e dispiaciuto per annunciare senza nominarlo, quasi scusandosi, un isolamento, può suggerire una misura facoltativa, soprattutto se accompagnata da deroghe scritte. Un quadro rigoroso e un'informazione chiara, senza essere liberticida (draconiana), può comunque aiutare la popolazione a sviluppare strategie di conformità coerenti, anche temporaneamente.

Questa epidemia mette quindi in discussione la nostra identità di soggetti sociali definiti dal nostro bisogno di vivere in una società gestita da delle politiche. Evidenzia la questione dell'articolazione delle responsabilità delle politiche pubbliche, della società e degli individui. 

L’adeguatezza delle politiche pubbliche che modellano, limitano o incoraggiano le nostre interazioni o allontanamenti sociali, determina anche i rischi che corriamo. 

Però l’UMANO è un animale che crea la società per vivere e che deve, per sopravvivere a un virus, ridefinire tutte le sue priorità e organizzazioni. 

Si tratta innanzitutto di salvare i nostri centri di sopravvivenza, gli ospedali, maltrattati dalle riforme politiche ingrate e dall'inaccettabile riduzione delle risorse, dell'asfissia programmata dovuta a polmoniti generalizzate, che ha già cominciato a decimare gli operatori sanitari.