Umberto Gandini
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Kultur | Ricordo

Giornalista e traduttore

In memoria di Umberto Gandini

Un paio d’anni or sono chiesi ad Umberto Gandini di raccontarmi perché, nell’autunno del 1967 decise di abbandonare da un giorno all’altro assieme a buona parte dei colleghi che lavoravano alla cronaca di Bolzano il giornale Alto Adige dove lavorava da anni, per il quale aveva seguito tutte le vicende del terrorismo altoatesino e dove gli avevano già comunicato la promozione ad inviato speciale e di andare a tentare l’avventuroso esperimento editoriale di una pagina di cronaca altoatesina inserita nel quotidiano Il Giorno di Milano.

Quel che mi disse allora è contenuto in un mio piccolo saggio su quella vicenda editoriale, che segna un momento particolarmente importante nella vita politica dell’Alto Adige, e che, se gli sconvolgimenti dovuti alla pandemia non lo impediranno, dovrebbe comparire tra non molto sulla rivista Archivio Trentino. Di quella testimonianza trascrivo qui solo una frase, quella introduttiva.

Bisognava convincere gli italiani ad accettare una soluzione della vicenda altoatesina che per loro significava dover sopportare un'ingiustizia. L'informazione, controllata dall'Alto Adige, era schierata su posizioni assolutamente nazionaliste. E allora come si fa ad avere una voce che spieghi quantomeno cosa sta succedendo. E allora Berloffa organizzò questa storia. Per un certo periodo pareva che, a fare una redazione dovesse venire il Corriere della Sera, poi tentarono in altre maniere. Infine, con Italo Pietra, che era il direttore del Giorno, combinarono di fare questa redazione. Era evidente sin dall'inizio che sarebbe stata un'operazione ‹a tempo›.

Così Umberto Gandini, scomparso oggi all’età di 85 anni, raccontava quell’avventura e così in effetti le cose andarono. La piccola redazione, guidata da Gianni Bianco lavorò dal 1967 al 1972. Quando, a missione compiuta, la pagina altoatesina de Il Giorno fu soppressa, Gandini fu, non a caso, l’unico a rientrare nei ranghi dell’Alto Adige, dove, come è immaginabile, le dimissioni collettive erano state vissute come un imperdonabile tradimento. In quella redazione ha continuato a lavorare sino al giorno del suo pensionamento, affiancando però all’attività giornalistica quella, crescente, di traduttore di prosa e testi teatrali dalla lingua tedesca.

Faceva il paio, in quella redazione, con un’altra giornalista, Elsa Müller, anche lei capace di aggiungere al lavoro quotidiano sulle notizie, quello di traduzione dei testi. Così, mentre Umberto Gandini mandava agli editori italiani i testi tradotti, ad esempio, di quel Guido Knopp che ha dipinto con i suoi lavori la tragica odissea dei profughi tedeschi alla fine del secondo conflitto mondiale o forniva al Teatro Stabile le versioni italiane delle commedie di Thomas Bernhard, Elsa Müller, al contrario, appagava la voglia di fantasie di avventura dei lettori di lingua tedesca con l’intero ciclo delle opere di Emilio Salgari. Così andavano le cose in quegli anni nel mondo giornalistico altoatesino, grazie anche alla speciale predilezione che l’editore Servilio Cavazzani aveva, ad onta delle sue posizioni politiche, per i bravi giornalisti che sapessero perfettamente il tedesco e la stenografia.

Con il suo essere perfettamente bilingue ma anche e soprattutto con una conoscenza profonda e diretta nelle vicende altoatesine sin dagli anni del secondo dopoguerra, Umberto Gandini è stato a lungo l’ospite assiduo dei dibattiti radiofonici e televisivi in lingua tedesca. Era un professionista dalle convinzioni salde alimentate da un’inesausta curiosità che lo portò, ad esempio, a indagare su una vicenda come quella del Battaglione Bozen e della strage di via Rasella. In anni più recenti aveva affiancato l’attività di traduttore a quella di scrittore, cimentandosi persino con il mistery.

Scompare con lui un testimone del tempo lucido e rigoroso. Ne sentiremo la mancanza.