Kultur | Un film che insegna

THE POST-RECENSIONE

Va in scena la storia americana
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THE POST

Si tratta del nuovo film per la regia di Steven Spielberg con due candidature agli oscar miglior film e miglior attrice protagonista a Meryl Streep. Siamo nel 1971, Katharine Graham – interpretata da Meryl Streep - è la prima donna alla guida del The Washington Post in una società dove il potere è di norma maschile. Ben Bradlee – interpretato da Tom Hanks – è invece lo scostante e testardo direttore del suo giornale. Nonostante siano molto diversi l’indagine che intraprendono e il loro coraggio provocheranno la prima grande scossa nella storia dell’informazione, con una fuga di notizie senza precedenti, svelando al mondo intero la massiccia copertura di segreti governativi riguardanti la guerra in Vietnam, durata per decenni. Un film sobrio, elegante, per essere compreso da tutti, anche da chi non conosce la storia americana o non sa come funziona la redazione di un giornale. Un classico: lineare, accademico, ma non eccezionale. Il regista viaggia su acque sicure: apparentemente di denuncia, rimane in realtà abbastanza sul politically correct, adagiandosi su temi che difficilmente l’opinione pubblica non conosce e non approva già. A meno che non gli venga data una chiave di lettura più moderna, ovvero guardandolo nel contesto degli anni ’70 - dove è ambientato - ma traslandolo ai giorni nostri, probabilmente l’obbiettivo di Spielberg: raccontare una storia che ha 50 anni per capacitarsi della sua incredibile attualità. Un regista posato, formale, a tratti retorico, Spielberg punta il dito a varie categorie di persone. In primis i giornalisti, a cui sembra dire: “Raccontala, ma raccontala giusta”. La vicenda è vissuta dal punto di vista di un gruppo di giornalisti, che, più aumenta il rischio, più come degli investigatori, indagano su qual è e dov’è la verità. Non si accontentano di riassumere qualcosa scritto da altri, ma fanno di tutto per arrivare dritti alla fonte giusta e leggere con i loro occhi le migliaia di documenti che rivelano la realtà sui segreti governativi del Vietnam, riguardanti giovani mandati a morire in guerra non per vincerla, ma per far vedere al mondo la grandezza dell’esercito americano. A questo punto si tocca uno dei temi più scottanti legati al film: il giornalismo. Il giornalismo è una nobile professione, di enorme responsabilità, nella quale risiede l’informazione e l’educazione della popolazione. “I giornali non devono essere a servizio di chi governa, ma a servizio di chi viene governato” dice una frase del film: questa è una verità che moltissimi giornalisti non prendono nemmeno in considerazione dando posto a fake news o a notizie distorte, gonfiate o non verificate, solo per scatenare quello slancio emotivo che si riversa in fiumi di commenti indignati sui social media. Il film fa riflettere sul fatto che viviamo ancora in un’epoca di squallore giornalistico in cui le inchieste serie e al servizio del cittadino sono ormai. Un’altra riflessione che coinvolge i due protagonisti di questa pellicola concernono l’etica professionale: sia Katharine che Ben hanno – o hanno avuto - amicizie molto influenti sul piano politico, il che potrebbe condizionare il giudizio lucido di un giornalista, sia per questioni affettive che di comodo. Pensiamo ai nostri giornali, a quanto siano a volte schierati da una parte piuttosto che dall’altra della politica, oppure pensiamo ai giornali del passato manovrati dalle grandi dittature del nostro secolo. Guardando il film si capisce che raccontare la verità nonostante i legami non è sempre così semplice, ma anche omettere o non parlare di qualcosa per proteggerla è una forma di menzogna. Questo non vale solo per i giornalisti, ma spesso nella loro professione ne dovrebbero sentire più la pressione rispetto ad altre categorie. Inoltre, oggi, essendoci centinaia di testate giornalistiche, abbiamo l’impressione che esista una libertà di stampa molto più ampia rispetto al passato, ma tutta la falsità da cui siamo circondati serve solo a farci distogliere lo sguardo dalle questioni di rilievo, e di questo i giornalisti che la sostengono sono responsabili: titoli sensazionalistici e informazioni non verificate, in pasto a una fetta di pubblico vastamente scolarizzato, alimentano l’ignoranza e la conseguente ostilità delle persone. “The Post” è un film girl power. Inizialmente il personaggio di Meryl Streep non sembra affatto caparbio, brillante e deciso, ma una donna insicura ogni volta che si vede costretta ad affrontare un gruppo di rampanti uomini al potere. Sa di essere vista come una persona debole soltanto perché considerata del sesso sbagliato a ricoprire determinati ruoli, e non gliene viene certo fatto mistero. È reputata incapace di gestire il giornale con un certo polso, e in qualche modo, così come viene dipinta, ci si sente, nonostante dimostrerà il contrario. Spielberg punta il riflettore su due argomenti, ora come allora, di ampio spessore – il giornalismo, con tutte le sue varie sfaccettature, e il ruolo della donna, specialmente se al potere innescando nella mente degli spettatori in modo intrinseco una provocazione chiara e forte.

ANA ANDROS