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Contronarrare il videogioco

Nicoletta Schenk, communications director della bolzanina ProGaming, sulle opportunità del settore videoludico, il ruolo sociale in pandemia – e uno stigma da superare.
Gamer
Foto: Microsoft Italia

Era inizio marzo, siamo nel cuore della terza ondata e l'economia mondiale vive una battuta d'arresto. Ma ProGaming Italia, storica realtà imprenditoriale altoatesina, va in controtendenza. Ottenendo un importante riconoscimento internazionale: è tra le società inserite nella classifica “FT 1000 Europe’s Fastest Growing Companies” realizzata dagli analisti del Financial Times, il principale giornale economico-finanziario del Regno Unito. In un ranking dominato da finanza, energia e tech, è l’unica azienda della Games Industry italiana presente nella classifica, con un tasso di crescita medio di oltre il 50% ogni anno. Un risultato di assoluto prestigio sottolinea il CEO Daniel Schmidhofer, “soprattutto in un momento in cui l’intero sistema economico è messo in discussione: siamo cresciuti prima della pandemia e stiamo continuando a farlo grazie ad un mix tra virtuale e reale”. Quali sono le ragioni di tale crescita? E quale ruolo possono svolgere i videogiochi in un'epoca segnata da confinamento e distanziamento sociale?

salto.bz: Di cosa si occupa la vostra azienda?

Nicoletta Schenk: In questi anni il mercato dei videogiochi si è sempre evoluto. Anche in ProGaming abbiamo avuto lo stesso tipo di evoluzione: siamo passati dalla “classica” organizzazione di tornei di videogiochi a un'agenzia 360° di event management, marketing e comunicazione, specializzata nell'organizzazione di eventi (digitali e live) nel settore dell'intrattenimento digitale. Ci occupiamo di strategie di business, consulting, content e broadcast production... aiutiamo, guidiamo le aziende endemiche (e non) in questa “avventura” nel videogioco o – come ama essere chiamato ora – negli sport del videogioco competitivo. Continuando comunque sulla linea dell'organizzazione di tornei.

Dove operate?

Principalmente in Italia, ma negli ultimi anni ci siamo aperti ad Austria e Svizzera, nell'idea di aprirci anche all'Europa e a rapporti di livello internazionale, per cercare di avere vedute sempre più larghe. La sede è a Bolzano, la seconda sede a Milano, siamo in trenta persone. Non siamo molto conosciuti come realtà, ma siamo leader di settore: teniamo la quota di mercato italiana più grande.

 

In quest'ultimo anno, semplificando, il settore videoludico è andato in controtendenza rispetto ad altri settori.

Sì, quest'anno ci ha dato quello slancio che non ci saremmo mai aspettati, aprendoci trasversalmente al grande pubblico, al mass-market. Teniamo conto che il videogiocare nasce come attività da camera. L'anno della pandemia ha costretto un po' tutti a rimanere a casa e internalizzare, in casa, le attività che si facevano all'esterno. Questo ha portato a un incremento del videogiocare, ma anche di quello che è l'usufruire dei media digitali per assistere a queste “operazioni”, a questi eventi. Noi eravamo già preparati: le nostre attività nelle fiere o negli eventi stand alone le abbiamo portate, a livello di produzione, tutte da remoto. È mancata la componente fisica, ma si può videogiocare da casa, così come guardare tornei o produzioni broadcast. La lungimiranza è stata l'aver già un'infrastruttura.

Il 2020 è stato l'anno dello streaming anche per il videogioco?

Sì, nel 2020 abbiamo visto come sia esploso il fenomeno del broadcast, in generale dell'usufruire dei media digitali come Netflix: tutte le piattaforme streaming hanno fatto un boom veramente notevole. Sui videogiochi l'abbiamo potuto vedere, con numeri che hanno premiato il settore.

Secondo lei questo boom ha aiutato a cambiare l'immagine di chi non conosce questo settore, e non essendone fruitore è in qualche modo prevenuto? In altre parole, può aver migliorato la percezione dei videogiochi, a livello internazionale ma soprattutto italiano, o lo stigma persiste?

Assolutamente sì, è migliorata sia a livello di percezione del grande pubblico, ma anche di percezione delle aziende. Si parla molto dell'etichetta di internet gaming disorder, che comprende la dipendenza dai videogiochi sia online e offline. L'uso eccessivo è un fenomeno frequente negli adolescenti, diventa una vera e propria dipendenza. Teniamo però sempre conto che i casi di dipendenza vera e propria non sono tanti. Ovvio, è una questione di alfabetizzazione ed educazione al medium video ludico.

Educhiamo le nuove generazioni al giusto bilancamento tra virtuale e reale. Ed educhiamo i giocatori alle opportunità lavorative del videogioco.

Sono anni che cerchiamo di supportare la contro-narrazione sul medium video ludico e lo facciamo con tantissimi dei nostri partner: ci siamo accorti che non solo il grande pubblico ma pure le aziende che non conoscono il medium video-ludico, vedono nel videogioco un'opportunità per avvicinarsi ai Millenials e alla Generazione Z. Noi educhiamo i giocatori – o chi usufruisce del medium sia a livello di gioco che come spettatore – alle opportunità del videogioco, anche a livello imprenditoriale e lavorativo, come social media manager o produttore broadcast.

Nell'era pandemica che ruolo stanno assumendo i videogiochi?

L'isolamento sociale dovuto allo stress e alla pandemia ha sconvolto le abitudini, il bisogno e la voglia di stare a casa, persone che hanno smesso di lavorare, l'allontanamento dal nucleo familiare. Ciò ha portato all'aumento del medium dell'intrattenimento o della comunicazione digitale. E il gioco online ha avuto un aumento enorme, fino al 75%. Questo ha un po', non dico sdoganato, ma mostrato il medium da un altro punto di vista: non solo un hobby, ma anche un'opportunità.

La generazione dei nostri genitori è rimasta con la concezione della sala gioco: senza l'interazione col videogioco – e quella con altri videogiocatori. 

Nel trattare i videogiochi “da fuori”, viene messo in luce l'elemento di solitudine (e individualistico) a scapito di quello sociale. Ma in un anno nel quale era difficile incontrarsi fisicamente, l'online spesso ha consentito di mantenere il contatto con gli altri.

Non è passivo, infatti. Ma la generazione dei nostri genitori è rimasta con la concezione della sala gioco. C'era l'interazione sociale, ma non quella col videogioco – e con altri videogiocatori. Il cambiamento è avvenuto col multiplayer, lì si è cominciato a interagire con giocatori di altri paesi e ha consentito loro di ampliare le relazioni sociali. Aiutando per esempio tantissimi giocatori con l'inglese. Abbiamo medium che supportano queste attività videoludiche: parliamo di Discord, la chat più famosa tra i gamer, Twitch come canale preferenziale per usufruire di contenuti gaming ma non solo, con un certo livello di interazione. Ovvio, ci sono dei soggetti che già per predisposizione tendono a limitarsi in termini di interazione sociale e fisica: in quel caso il videogioco da un lato ha aiutato, dall'altro potrebbe entrare in dinamiche psicologiche complesse. Ritengo che la moderazione sia il requisito fondamentale in tutti i media, televisione, videogiochi, cellulari.

Si dice che la pandemia, un po' come altre grandi pandemie, cambierà il nostro modo di vivere il mondo e la società. Nel videogioco lascerà un'eredità, cambierà per sempre le abitudini?

È difficile fare proiezioni, tanto ci ha sconvolti questo cambio di rotta con la pandemia. Di certo la tendenza all'online resterà preponderante: non sappiamo quali saranno le restrizioni Covid, e quanto sia cambiata la mentalità delle persone, ma il digital sarà sempre più presente nella vita di tutti. Resterà però il bisogno di ritrovarsi nelle arene fisiche, di ritrovare – analogamente al calcio – lo sfogo nel tifo. I nostri grandi eventi si svolgono in grandi spazi, perciò confidiamo di tornare agli eventi fisici perché ha una componente di spettacolarità che non puoi percepire dietro a uno schermo: alla stregua dello sport, una partita allo stadio non darà mai le stesse emozioni di una partita davanti allo schermo sul divano. Nello spirito aziendale, gli eventi fisici creano unione, è nel nostro dna essere un po' nomadi...

Ora siete anche nel ranking del Financial Times...

È un risultato inaspettato ma non scontato. Questo dimostra in linea generale che, logistica a parte, l'intrattenimento entrerà sempre più nelle case di tutti, volenti o nolenti. Sta a noi educare le nuove generazioni, trovare il giusto bilancamento tra il virtuale e il reale. Lo vedo anche coi miei figli: dobbiamo essere bravi a trovare quel giusto compromesso.

In che modo?

Ad esempio, per un progetto con una banca online – con l'aiuto di uno studio specializzato in carbon footprint e il patrocinio del Ministero alle politiche giovanili – stiamo cercando di compensare attraverso riforestazioni le emissioni di CO2, ovvero il consumo di macchine e schermi utilizzati per le dirette e dai giocatori nel corso di un torneo di gioco. Iniziamo a dare un altro tipo di messaggio, sempre nell'ottica di sdoganare il videogioco e il suo ruolo sociale.