Gesellschaft | Gioco d'azzardo

“Sarò sempre un giocatore”

La storia di Mario (nome di fantasia) e della sua dipendenza da gioco. Dai casinò al tarlo del gratta e vinci. La psicoterapeuta Sepp: “La tentazione è molto diffusa”.
Dadi
Foto: Pixabay

Il volto di Mario è un compendio di resilienza e vulnerabilità. La storia di questo signore bolzanino di 62 anni, distinto e un po’ schivo, inizia 37 anni fa quando per la prima volta entra in un casinò a Venezia e fa una puntata alla roulette vincendo 110mila lire. “Un giorno maledetto” che battezzerà un’assiduità fino ad allora sconosciuta, ci racconta. Dopo che la città lagunare esaurisce il suo fascino tentacolare, per 8 anni, Mario inizia a fare la spola fra i casinò di Seefeld e Innsbruck. Finché il germe del gioco d’azzardo si ritira restando a lungo latente. Poi, 10 anni fa, insieme a una collega di lavoro, Mario compra un biglietto gratta e vinci da 5 euro e si porta a casa 50 euro. “Si è riaccesa la ‘fame’ e mi ha fregato. C’è una sorta di frenesia mentre con una moneta si tira via la patina argentea dal biglietto - dice - un brivido che dura solo qualche secondo”. Vince? “Il massimo è stato mille euro, due volte”. Ne perde invece, in tutto, circa 50mila.

 

 

Da due anni, dopo un passaggio al centro terapeutico Bad Bachgart di Rodengo, Mario è in cura presso l’ambulatorio Hands di Bolzano, dove oltre ai colloqui con gli psicoterapeuti frequenta riunioni settimanali di gruppo con altri giocatori per “estirpare questo craving, il desiderio spasmodico di acquistare i gratta e vinci”. E i giocatori, che da anni non cedono alla vocazione, fanno da sponsor. “Loro ne sono usciti, posso farcela anch’io. So che devo stare alla larga dalle slot machine, le luci artificiali, i suoni ipnotici, le monete che scendono, quell’isolamento totale da tutto ciò che ti circonda. È già difficile non capitolare davanti alla mia di dipendenza”. Ad aprile, infatti, Mario ha una ricaduta.

 Uno rimane giocatore per tutta la vita, anche quando smette

“Mi sono giocato 50 euro, non doveva succedere. La sera, quando sono a letto, mi assale questo pensiero di andare a comprare un biglietto, solo uno, e questo pensiero non mi molla. Ma se perdi i soldi poi vuoi recuperarli e allora ricominci da capo, speri nella prossima vincita”. Si interrompe un momento, di fronte a un pensiero severo: “Uno rimane giocatore per tutta la vita, anche quando smette”. Mario è sposato e ha due figli di trent’anni. “Con mia moglie siamo andati vicini molte volte alla separazione, con i ragazzi è stata ancora più dura. La vergogna era tanta. All’inizio sono riuscito a nascondere il problema ma poi i prelievi in banca sono cominciati a diventare frequenti e i miei se ne sono accorti. Io mi illudevo di risolvere i miei impegni bancari con le giocate. Ma chi vince grandi somme non è mai un giocatore compulsivo. Eppure ho continuato ad alimentare, senza tregua, questa ossessione”. 

 

Un business ghiotto

 

Nel 2016 gli italiani hanno bruciato 96 miliardi nel gioco d’azzardo che continua ad essere un settore economicamente strategico per lo Stato. “L’assurda contraddizione è che questo Stato incassa montagne di denaro e poi deve spendere comunque ingentissime somme per curare i giocatori patologici”, osserva con amarezza Mario. E nel frattempo il ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro nonché vice presidente del consiglio Luigi Di Maio ha annunciato, presentando il cosiddetto “decreto dignità”, di voler vietare totalmente la pubblicità sul gioco d’azzardo

Sempre nel 2016 in Alto Adige la spesa per il gioco d'azzardo è stata di 808 milioni di euro, come certifica un’indagine dell’ASTAT. Il dato relativo ai giocatori patologici si aggira intorno all’1,3% a cui si aggiungono le persone con un tipo di gioco “problematico” e che potrebbero sviluppare una dipendenza (il 2,8% circa). I tipi di azzardo più diffusi tra gli altoatesini sono gratta e vinci, lotto e superenalotto, totocalcio. 

 

Il giocatore

 

Stefania Sepp, psicoterapeuta del centro terapeutico Hands, spiega che il giocatore ‘tipo’ in Alto Adige è generalmente maschio, giovane, precario. Alta è la percentuale di extracomunitari che giocano, “ma questo dato prevalente non deve distogliere l’attenzione dai target comunque molto sensibili come le donne over 50 e gli anziani, né far credere che persone ‘benestanti’ siano immuni da questo tipo di problematica. Nell’attività clinica il dato diventa più trasversale nel senso che conosciamo persone di qualsiasi estrazione sociale, pur confermando la tendenza prima descritta”.

Non esiste un tratto caratteriale correlato con il gioco d’azzardo patologico (GAP). Si parla piuttosto di una “dimensione più complessa di tipo bio-psico-sociali caratterizzante una persona, ovvero l’insieme di caratteristiche personali fisiche e psichiche, l’ambiente in cui ci si trova a vivere, la familiarità con problematiche di dipendenza, il rapporto con i soldi, eccetera”, chiosa l’esperta. 

 

 

Il gioco d’azzardo e i giocatori d’azzardo patologici sono sempre esistiti, ma indubbiamente anche solo prima degli anni ’90 in Italia la possibilità di azzardare era meno diramata. “Con l’aumento dell’offerta di punti in cui si può scommettere, l’aumento della tipologia di giochi d’azzardo, la sempre maggior velocità con cui vengono costruite le fasi del gioco (vedi ad esempio l’evoluzione del lotto: da una estrazione settimanale, a tre estrazioni settimanali e ora al lotto istantaneo, in cui posso scommettere ogni 5 minuti - e così per altri tipi di azzardo), anche per una persona che voglia smettere la tentazione è molto diffusa”, evidenzia la dottoressa Sepp.

Altro elemento da non sottovalutare il fatto che le sale da gioco sono spesso luoghi che cercano di fidelizzare il cliente “offrendo consumazioni gratuite, facendo sentire le persone a loro agio e colmando evidentemente dei bisogni anche relazionali di chi frequenta questi posti (vedi la sala bingo, dove le persone dicono di andare per socializzare)”. Va da sé che le situazioni di precarietà economica coincidano di frequente con l’aumento degli importi azzardati, alla ricerca del colpo di fortuna. Nell’indulgenza del circolo vizioso.