Gesellschaft | Educazione

NON TOCCARE!

Dove ci sono bambini, c'è chiasso, c'è fermento, c'è movimento. E noi dovremmo imparare a coglierne il valore: la vita.
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Il valore dei nostri figli
Foto: elide mussner pizzinini

“Stronza!”, gli dice. E io, quasi a non volerci credere, la guardo esterrefatta. So pensare solo: sarà la nonna? La colpa della nipote è quella di averle spruzzate qualche goccia d’acqua della fontana, un po’ per gioco, uno di quegli scherzi innocenti a cui nessun bambino riesce a resistere, con la speranza che poi si possa riderne insieme. Invece le dice proprio stronza e quando incrocia il mio sguardo colpito, fa finta di niente tenendo il muso.

A Pienza entriamo in uno di quei tanti negozietti di giochi simil-toscani, molto probabilmente made in China. Il commesso sta sistemando le macchinine di legno, la proprietaria invece è in posizione di guardia, come se volesse difendersi dalla folla di turisti che presto arriverà, come se più che essere lì, vorrebbe essere da tutt’altra parte. I miei figli curiosano, guardano, toccano anche qua e là; sarà permesso? Io guardo che non facciano danni, che si comportino a modo, curioso con loro. Ma più ci avviciniamo alla proprietaria, più si irrigidisce, e quando poi non riesce più a trattenersi, con un movimento brusco spinge via la mano di mio figlio di quattro anni: “Non toccare, si rompe!”, lo riprende arrabbiata. Allora prendo mio figlio per mano: “Grazie, buona giornata!”, dico uscendo dal negozio, guardandola bene negli occhi e sorridendo. Chissà che con un po’ di gentilezza non le passi lo scorbutico. Più o meno la stessa scena la viviamo al mercatino dell’usato a San Cassiano, con i bimbi andiamo da bancarella a bancarella, guardiamo i vecchi oggetti, ci divertiamo a immaginarci da dove arrivano. Poi mio figlio appoggia la sua manina sul tavolo, non l’avesse mai fatto! “Non toccare! Occhio che si rompe, poi sono problemi, soprattutto per me!”, borbotta il venditore. Quando mio figlio poi, senza accorgersene si permette ancora una volta di toccare il tavolo, il tipo si mette a gridare: “Papà! Papà! Eh no, eh no, ho detto di non toccare!”. E così di nuovo ce ne andiamo.

Siamo a Marzamemi, il mare blu intenso, il cielo azzurro, la brezza marina e il silenzio. Stiamo pranzando in terrazza, ci godiamo la vista e mentre aspettiamo, i bimbi giocano con quello che si sono portati da casa. Intanto accanto a noi si siedono due signore del posto, con un bambino che avrà l’età di Edward, nostro figlio di quattro anni. Appena seduti, davanti al bimbo posizionano un iPad e accendono una puntata di Sponge Bob, che subito lo disconnette dalla realtà che lo circonda. Ad un tratto il coso suona, la mamma lo prende e finalmente il bambino alza gli occhi, distoglie lo sguardo dallo schermo, vede Edward, si avvicina. È come risorto! Si scambiano sguardi e parole, e quando stanno per iniziare a giocare, ecco che arriva la mamma: “E allora, lo vuoi o no?” riprende suo figlio, mostrando sull’iPad. Mogio mogio il bimbo si risiede al tavolo a fissare lo schermo, lasciando Edward con il suo aereo in mano. L’altro giorno camminando, vedo un padre che sta portando suo figlio nello zaino. Siamo nel parco naturale di Fanes-Sennes-Braies, rocce, alberi, ruscelli, prati, aquile che volano alte, ma il figlio poveretto, avrà avuto cinque anni, ha in mano uno smart-phone e sta guardando un cartone animato fissando il minuscolo schermo. E di queste scene se ne vedono a dozzine nei ristoranti: figli inebetiti, impalati davanti a devices di ogni tipo pur di non essere troppo ingombranti, pur di evitare voci troppo alte o movimenti troppo scomodi, pur di evitare di disturbare gli adulti. E quando in certi posti si entra con i propri figli alla mano c’è anche chi non riesce a trattenersi dal guardarti storto, quasi per dire: “Di nuovo uno di questi mostriciattoli.” E così c’è chi ha pensato bene, di fare delle sale gioco, peccato che più che sale gioco siano dei ripostigli per vecchi giocattoli rotti, e che quasi sempre siano in fondo in fondo, in cantina, vicino ai bagni, lontano da tutto e tutti, soprattutto lontano da chi di bambini non ne vuole proprio vedere. D’altronde come diceva quel mio amico: “Bisogna dare la possibilità ai genitori di parcheggiare i propri figli.” E sono sempre più i ristoranti o alberghi in cui addirittura non sono ammessi i bambini, o in parole più diplomatiche: sono luoghi riservati ad adulti. Mi sono sempre chiesta se facendo una prenotazione dovrei chiedere: “Accettate anche bambini?” Domanda che non dovrei certo fare se prenoto in un “Family Hotel”, peccato che mi sia promessa di evitare quelli che a me danno molto la sensazione di una ghettizzazione per famiglie. E siete mai andati in un bagno pubblico con un bambino piccolo? È un’impresa anche solo riuscire a lavargli le mani. E perché quando un gruppo di adulti fa baccano in un ristorante, nessuno si permette di riprenderli come si riprendono i bambini?

In Badia le scuole elementari non hanno un parchi gioco in cortile, perché si vogliono evitare tutti i rischi correlati. Ma non c’è neanche una scuola di musica adeguata, e così quando arriva il momento del concerto di fine anno i genitori e i parenti, con sguardi fieri e sorrisi commossi, si affollano in una delle aule magne semi-corridoio dove manca aria e acustica. Ci manca anche una piscina pubblica adeguata ai tempi e alle esigenze di chi del nuoto, vorrebbe farne uno sport che unisce. Non ci mancano però le piscine in generale, dato che ogni seconda scatola per turisti ne ha una, certo che quando si parla di turisti, si parla di ricavi, quando si parla di cittadini, si parla di perdite, soprattutto se poi sono bambini.

Ma davvero viviamo in una società che sempre più si sviluppa verso gruppi di interesse chiusi, dove gli uni non vogliono avere a che fare con gli altri? Davvero la nostra società privilegia coppiette e adulti “che rendono”, dimenticandosi di quello che davvero è uno dei più grandi valori che riusciamo a donare al mondo: giovani uomini e donne svegli, sinceri, integrati nella quotidianità, educati? In tedesco la parola Bildung ha una radice molto bella, da “bilden”, formare, costruire. Piuttosto di chiederci come riusciamo a evitare o confinare il chiasso di bambini scomodi, forse dovremmo chiederci qual’è il nostro contributo al futuro di questi giovani uomini e donne; quanto investiamo in educazione? Quanto del nostro tempo lo dedichiamo davvero a loro, ascoltandoli e formando dei cittadini consapevoli e coscienti, piuttosto che dei bambocci inebetiti fermi immobili davanti a degli schermi?

Per fortuna però non tutto è quel che sembra. C’è ancora chi della condivisione, della curiosità infantile ne fa una dote. C’è ancora chi vede speranza nella vivacità dei bambini, vede un futuro da costruire. Siamo sempre a Pienza, c’è un telaio grande e uno spazio piccolo con un giovane che della tessitura ha fatto la sua arte. Ezra entra e chiede: “Cosa stai facendo?”, e da lì in poi il giovane dedica un’ora intera a spiegare a mio figlio cosa sta facendo, prendendosi il tempo e cogliendo la grande ricchezza di questo scambio tra adulto e giovane uomo. E finendo in bellezza: siamo ad una festa di compleanno, cerco di contarli ma mi riesce difficile, si muovono in continuazione sparsi su quel grande prato, alla fine ci arrivo: sono 15 bambini che giocano liberi e felici e noi adulti siamo seduti, chiacchieriamo tra di noi e ci godiamo lo spettacolo più bello, la magia di questi figli, tutti insieme, che non temono ciò che verrà perché dentro di loro c’è così tanta vita da riuscire a contagiare chiunque sia disposto ad accogliere l’altro.